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L’UMANITA’ E’ IL POPOLO DI DIO

Vi è differenza e sviluppo tra religione, fede e nuova umanità. Questo concetto attraversa tutto il libro di Mancini. La iniziale identificazione in una determinata religione – cioè in un particolare sistema di credenze, pratiche e costumi – deve conoscere una conversione alla fede. E questa, in quanto risposta adeguata all’Amore divino, deve svolgersi come cammino di gestazione di una umanità nuova, deve incarnarsi in esperienze di liberazione dall’ingiustizia, dal male, dalla paura, dalla morte definitiva. «Una chiesa fedele è quella tesa a favorire la gestazione dell’umanità promessa. E’ materna nel senso che la sua azione autentica è sempre volta a far nascere la fede oltre la religione e a far nascere l’umanità nuova dall’adesione tipica della fede» (143).

E’ necessaria, perciò, una logica antisacrificale. “Misericordia io voglio e non sacrificio” (Mt 9, 13; 12, 7). Le religioni vorrebbero il sacrificio, ma il sacrificio implica la distruzione, in quanto la concepisce come creatrice e salvifica e soprattutto è un travisamento del senso della Croce, vista come espiazione piuttosto che come amore. Nella logica antisacrificale siamo aiutati dalla esperienza di Gesù, non nel senso “religioso” di un Dio che risolve ogni problema, ma nel senso di un’infinita apertura al Padre. Ci sentiamo con ciò figli, e quindi fratelli e sorelle. La Scrittura ci invita a convertire il cuore dei padri e delle madri ai figli e alle figlie e, si può aggiungere, quello degli uomini alle donne. La connessione tra le generazioni deve intrecciarsi con quella tra i generi. «E’ proprio questo il confine lungo il quale la religione termina per lasciare il posto alla fede e alla sua legittima incarnazione in comunità di umanità fraterna e sororale» (134), che si muovono verso chi non ha potere e fondano la convivenza sulla comunione e sulla giustizia, non sul dominio.

In questa prospettiva occorre ripensare il concetto di popolo di Dio.  «Questo concetto non coincide con la Chiesa visibile, formalizzata attraverso segni, pratiche, luoghi sacralizzati. Il popolo di Dio è originariamente e resta l’umanità intera, anzi l’intero creato: la comunità di tutti i viventi. […] Questo popolo nasce nell’evento della nascita della comunità che si stabilisce tra quelli che subiscono il potere verticale e quelli che imparano a rifiutarlo, generando insieme un’azione che rimuove le barriere tra gli esseri umani» (88).

Nell’ultimo capitolo Mancini, soffermandosi sulla necessità di elaborare un nuovo pensiero teologico, abbozza una critica della cultura occidentale. Di essa si è fin troppo nutrito il cristianesimo tanto che, più che di radici cristiane dell’Europa, bisognerebbe parlare di radici occidentali della cristianità. Si tratta di una cultura che ruota attorno a quattro logiche: dell’identità esclusiva, della potenza, della proprietà, del sacrificio. Ben diversa è la logica di Gesù, secondo la quale abbiamo « la comunione invece dell’identità esclusiva, la libertà dal male invece della potenza, la condivisione invece della proprietà, la misericordia invece del sacrificio» (164). Espressioni diverse di un identico modo di amare. Occorre riscoprirne il senso e ripensarle alla luce delle esperienze di conversione e liberazione che avvengono nel mondo. «Tali esperienze vanno accolte, raccolte e riconosciute comunitariamente» (165). E’ un invito che merita di essere preso in considerazione.

Marco Bertè

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