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DELLA GIUSTIZIA EDUCATIVA

Fulvio De Giorgi

Il 90° anniversario della nascita di don Lorenzo Milani (27 maggio 1923) è giunto pressoché contemporaneamente al referendum bolognese sulla scuola dell’infanzia che ha riacceso un dibattito nazionale ancora sui diritti e sulla natura pubblica della scuola cattolica.
Non intendo riprendere la questione della libertà educativa, peraltro segnalata dal card. Bagnasco nella sua recente prolusione all’assemblea della CEI, nella quale ha affermato: “ancora una volta chiediamo che si riconosca concretamente il diritto dei genitori a educare i figli secondo le proprie convinzioni. Sempre di più, invece, sono costretti a rinunciare sotto la pressione della crisi e la persistente latitanza dello Stato”.

Ascoltare il racconto di chi soffre
Senza negare la questione della “libertà”, mi pare più urgente, alla luce dei segni dei tempi, sviluppare qualche considerazione, proprio alla luce della lezione milaniana, sulla questione della giustizia educativa. Siamo infatti, come ha detto il papa ai vescovi italiani, “consapevoli della debolezza della nostra libertà, insidiata com’è da mille condizionamenti interni ed esterni, che spesso suscitano smarrimento, frustrazione, persino incredulità. Non sono certamente questi i sentimenti e gli atteggiamenti che il Signore intende suscitare; piuttosto, di essi approfitta il Nemico, il Diavolo, per isolare nell’amarezza, nella lamentela e nello scoraggiamento”. Ritroveremo, invece, “la gioia di una Chiesa serva, umile, fraterna”, se saremo “capaci di ascoltare il silenzioso racconto di chi soffre e di sostenere il passo di chi teme di non farcela; attenti a rialzare, a rassicurare e a infondere speranza. Dalla condivisione con gli umili la nostra fede esce sempre rafforzata: mettiamo da parte, quindi, ogni forma di supponenza, per chinarci su quanti il Signore ha affidato alla nostra sollecitudine”.

“Esclusivamente o di preferenza”
Queste bellissime parole del papa – delle quali avvertiamo l’importanza e che speriamo siano presto valorizzate, sul piano pastorale complessivo, dalla Chiesa italiana – ci suggeriscono che, nel discutere delle “scuole cattoliche” con un atteggiamento di dialogo verso tutti, non dobbiamo dimenticarci il loro carisma d’origine, quasi direi la loro ‘ragione sociale’: che se per qualche congregazione insegnante è stata l’educazione delle classi dirigenti, per la maggior parte è stata l’educazione del popolo. Il Concilio Vaticano II ha invitato Pastori e fedeli ad aiutare le scuole cattoliche affinché possano “venire incontro soprattutto alle necessità di coloro che non hanno mezzi economici o sono privi dell’aiuto e dell’affetto della famiglia o sono lontani dal dono della fede” (Gravissimum educationis, n. 9). E la  Congregazione per l’Educazione Cattolica ha precisato: “Poiché l’educazione è un efficace mezzo di progresso sociale ed economico dell’individuo, se la Scuola Cattolica rivolgesse le sue cure esclusivamente o di preferenza ai membri di alcune classi sociali più abbienti contribuirebbe ad affermare la loro posizione più vantaggiosa rispetto ad altre e favorirebbe un ordine sociale ingiusto” (La scuola cattolica, n. 58).

La lezione di don Milani
E questo, appunto, ci ricorda don Milani. In Lettera a una professoressa i ragazzi della scuola di Barbiana rimproveravano la scuola statale di far parti uguali tra poveri e ricchi. E aggiungevano: “Certe scuole di preti sono più leali. Sono strumento della lotta di classe e non lo nascondono a nessuno. Dai barnabiti a Firenze la retta d’un semiconvittore è di 40.000 lire al mese. Dagli scolopi 36.000. Mattina e sera al servizio d’un padrone solo. Non a servire due padroni come voi”. Oggi la situazione è molto cambiata, ci sono congregazioni religiose silenziosamente impegnate sulla frontiera della povertà, ma vale, comunque, sempre la domanda: che dire di una Chiesa povera e per i poveri (secondo la prospettiva conciliare, riaffermata da papa Francesco) che gestisse scuole per i ricchi? Sarebbe certo un suo diritto, legale e legittimamente acquisito, ma avrebbe senso? Sarebbe segno evangelico? Renderebbe veramente manifesta e comprensibile a tutti la sincerità (senza interessi o secondi fini) dell’azione della Chiesa? Non dice il Concilio che la Chiesa “rinunzierà all’esercizio di certi diritti legittimamente acquisiti, ove constatasse che il loro uso potesse far dubitare della sincerità della sua testimonianza” (Gaudium et spes, n. 76)?

Fare strada ai poveri senza farsi strada
Sul presente delle scuole cattoliche è difficile dire una parola unica, tanto diverse sono le esperienze. Sicuramente, tuttavia, il loro futuro, come le loro origini, sta nel fuggire – per usare le parole del papa – “la lusinga del denaro e i compromessi con lo spirito del mondo”, e dunque – per usare accenti milaniani – nel fare “strada ai poveri senza farsi strada”. Gli allievi delle scuole cattoliche dovrebbero essere, nella maggioranza, figli dei poveri, degli extra-comunitari, degli emarginati o senza famiglia o disabili. Se la libertà educativa vuole che le scuole cattoliche siano aperte a tutti, la giustizia educativa vuole che esse diano il meglio delle loro energie pedagogiche agli ultimi. E solo così – nella classifica evangelica ed escatologica delle scuole – saranno le prime.

E certamente un gesto significativo – per segnare una svolta pastorale verso una nuova evangelizzazione, cioè verso un annuncio del Vangelo, non delle strutture – sarebbe se la CEI dedicasse una parte dell’8 per mille ad aiutare quelle scuole – senza differenze tra statali, comunali o autonome paritarie – che danno il meglio per i figli dei poveri. Sarebbe veramente la “parte milaniana”.

Fulvio De Giorgi
Docente di Storia dell’Educazione all’Università di Modena e Reggio Emilia.
Coordinatore del Gruppo di Riflessione e Proposta di Viandanti.

3 Commenti su “DELLA GIUSTIZIA EDUCATIVA”

  1. L’articolo mi sembra molto buono. Il problema centrale mi sembra, per la Chiesa, italiana in particolare, come per le scuole cattoliche, sia quello di uscire da un atteggiamento autoreferenziale, da un ‘ecclesiocentrismo’ che impedisce di cogliere una distanza sempre crescente con tanta parte della società.

  2. Condivido il contenuto dell’articolo anche se un conto sono le scuole superiori ed altro quelle materne, nella maggioranza delle quali trovare la “lusinga del denaro” mi pare molto, molto difficile. Più facile trovare gravissime difficoltà di tirare avanti. Francamente io non condivido lo spirito laicista con il quale è stato promosso il referendum bolognese. Mi pare una iniziativa anti-storica, ampiamente datata. Sono iscritto al PD.

  3. Bene, anche queste cose sono dette chiare. Penso al bisogno di interventi di sostegno e di recupero che la scuola pubblica non riesce a dare ad alunni che se assistiti nei compiti, nell’accompagnamento allo studio, non finirebbero probabilmente nel novero dei “dispersi” che costituiscono una nuova povertà sociale rilevante. Penso al sostegno degli alunni diversamente abili, soprattutto nei casi in cui il perseguimento di un regolare curricolo scolastico rimane possibile. Potrebbe la scuola pubblica provvedere da sé (con i fondi destinati altrove)? Non è questione solo di fondi, ma propriamente di sensibilità e scelta educativa che la comunità cristiana dovrebbe riconoscere come urgente. Salesiani, Rosminiani ecc. sono avvertiti.

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