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OGGI SERVE UN INSEGNAMENTO
DELLA RELIGIONE AL PLURALE

Filippo Binini

Da diversi anni l’insegnamento della religione cattolica (IRC) nella scuola italiana sembra aver imboccato un pendio scivoloso. In particolare, la scelta di un numero sempre più rilevante di studenti di non frequentare tale insegnamento e il crescente pluralismo religioso rischiano di rendere l’IRC una disciplina sempre più marginale nel panorama scolastico. Il tutto, almeno apparentemente, nella più totale indifferenza da parte di chi invece dovrebbe occuparsene.

Sarebbe al contrario importante che, sul tema, si potesse aprire un dibattito serio fra chi in Italia si occupa della formazione di ragazzi e ragazze, a partire dagli insegnanti di religione. 

La progressiva diminuzione degli avvalentisi
Sebbene la CEI non sembri dare particolare peso alla questione, gli studenti che scelgono di avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica sono in costante diminuzione dal 1991, anno in cui si è cominciato a registrare i dati degli avvalentisi in Italia. Da allora, tale linea di tendenza non ha mai accennato a cambiare rotta.

Se peraltro è vero che ancora oggi circa l’85% degli studenti italiani frequenta l’ora di religione, è altrettanto vero che un’analisi dei dati per ordine di scuola ci restituisce un’immagine ben diversa. Il numero di studenti che si avvalgono dell’IRC nelle scuole superiori, ad esempio, scende sotto l’80%, e negli istituti professionali si arriva addirittura al 50%.

Lo stesso accade con una lettura per aree geografiche: in alcune zone del Paese l’IRC è frequentato dalla stragrande maggioranza degli studenti (specie al Sud), in altre zone ormai da anni la maggioranza sceglie di non avvalersene (come in alcune città del Nord).

Questi dati dovrebbero interrogare in qualche modo. Com’è possibile sostenere il valore della cultura religiosa, riconosciuta nel Concordato dalla Repubblica Italiana (art. 9), e allo stesso tempo la facoltà di non avvalersene, continuando a non vedere che sempre più studenti scelgono di ignorare un patrimonio culturale e storico così importante?

La crisi d’identità dell’IRC
L’impostazione dell’insegnamento della religione cattolica risente di un inquadramento ormai datato; l’ultima modifica al concordato ha più di 35 anni e stenta a rispondere adeguatamente a quei cambiamenti che nell’ultimo trentennio hanno ridisegnato la società italiana, anche in ambito religioso. In primo luogo, un crescente disinteresse di giovani e adulti per la religione (solo gli anziani, ormai, sembrano mantenere un solido legame con la fede) e una presenza di altre credenze sempre più marcata.

A causa di tale impostazione, fortemente difesa dalla CEI durante la revisione concordataria del 1984 nei confronti di chi proponeva soluzioni alternative e in gran parte ancora di stampo confessionale, l’IRC attraversa da tempo una crisi d’identità piuttosto palese. Lo si evince in particolare osservando due tendenze, in qualche modo legate fra loro.

Anzitutto, la scarsa chiarezza della disciplina rispetto ai suoi contenuti specifici. È piuttosto comune, ad esempio, trovarsi di fronte a piani di lavoro di IRC talvolta completamente diversi tra un’insegnante di religione e l’altro, o tra un istituto e l’altro. La questione va ben al di là della libertà d’insegnamento, perché lascia alla più completa discrezione del docente anche alcune «competenze minime» indispensabili per poter padroneggiare il fatto religioso. Possibile, ad esempio, che un corso di religione non affronti in alcun modo il linguaggio simbolico, i meccanismi rituali, i miti?

La seconda tendenza mi pare che faccia seguito alla prima. A causa dell’incertezza sui contenuti, l’insegnante di religione ripiega spesso sulla «testimonianza». Tende, cioè, a percepire il suo ruolo nella scuola come quello di un testimone credibile di vita cristiana. Non di rado, negli incontri di formazione per gli insegnati o nei messaggi della CEI, il fulcro dell’IRC sembra essere questo. Ma è corretto che sia così?

Un insegnante di religione è chiamato a essere un buon testimone del Vangelo in quanto cristiano, non in quanto insegnante, e non diversamente da quello di matematica o di italiano. Ma ogni insegnante, compreso quello di religione, ha anche il dovere professionale e educativo di trasmettere alcune competenze specifiche legate alla propria disciplina.

Credo occorra fare molta attenzione a non confondere i piani, la testimonianza di vita cristiana con le competenze specifiche dell’IRC. Limitandoci a testimoniare la verità della religione (la nostra), non staremmo infatti facendo, implicitamente o esplicitamente, proselitismo? Perché dire a qualcuno «guarda com’è bella la mia religione», se non per sottintendere «seguila»? Ma questo non è forse il compito della pastorale ecclesiale? E nel caso in cui quest’incarico venga invece affidato, implicitamente o esplicitamente, all’insegnante di religione, l’ora di IRC non rischia di trasformarsi in una nicchia di potere (clericale) all’interno della scuola (pubblica)? 

Ridefinire l’IRC come spazio di dialogo
Una prima criticità da superare è l’impianto confessionale della disciplina – che peraltro, in una realtà sempre più multireligiosa, risulta anche sempre più discriminatorio, visto che nessuna delle altre fedi presenti in Italia gode di uno spazio dedicato all’interno della scuola.

In questo senso, non mi pare che la direzione possa essere quella di offrire, ad ogni confessione religiosa, uno spazio distinto all’interno della scuola, com’è avvenuto in altri Paesi europei, affiancando all’ora di religione cristiano-cattolica quella di islam, di cristianesimo ortodosso e così via. Da un lato, significherebbe un aumento esponenziale della complessità (per quali religioni attivare un corso e per quali no? Come assumere i docenti? Quali enti sarebbero titolati a formarli? Come organizzare concretamente le lezioni all’interno delle scuole, sempre carenti di aule?), dall’altro traccerebbe una strada che procede non in direzione del dialogo e dell’inclusione fra le religioni, ma piuttosto verso una loro inconciliabilità.

Quel che ha cambiato la società italiana negli ultimi decenni, e in particolare la scuola, non è il pluralismo religioso (sono sempre esistite religioni differenti), ma la sua portata e, ancor più, l’esperienza diretta che ne facciamo quotidianamente. Il confronto concreto e tangibile con un altro universo simbolico, però, richiede il possesso di strumenti sia sul piano cognitivo che su quello esistenziale affinché l’interazione non si trasformi in rifiuto e intolleranza. Oggi, pertanto, mi sembra che la strada da percorrere sia piuttosto quella di un’educazione alla convivenza. Occorre andare verso un insegnamento delle religioni, al plurale; uno spazio educativo in cui differenti visioni del mondo possano dialogare e interagire (posizioni agnostiche e ateiste comprese), ponendo gli studenti di fronte alla realtà e alla complessità della vita reale, dove il dialogo assume inevitabilmente un posto sempre di più centrale.

Rimettere al centro i contenuti
Altrettanto importante diventa ristabilire chiaramente alcune «competenze minime» che l’insegnamento della religione ha il compito di trasmettere agli studenti. Ciò le permetterebbe di superare alcuni limiti che oggi concorrono a rendere l’IRC una «materia debole» all’interno del panorama scolastico. Rimettendo al centro contenuti della disciplina, l’insegnamento della religione potrebbe:

  1. essere maggiormente trasparente di fronte agli allievi, agli altri insegnanti, ai genitori (in base a che cosa, ad esempio, oggi si sceglie se avvalersi o meno dell’IRC, se i nuclei affrontati possono cambiare di continuo?)
  2. dialogare più facilmente con le altre discipline scolastiche, offrendo punti di riferimento tangibili su cui costruire percorsi interdisciplinari, oggi sempre più richiesti e necessari all’interno della scuola;
  3. fornire agli studenti strumenti reali ed efficaci per poter comprendere la struttura, i linguaggi e i meccanismi che caratterizzano le religioni, dotandoli dunque di una buona cassetta degli attrezzi per rapportarsi al fatto religioso e al dialogo.

All’interno della scuola italiana, l’andamento dell’IRC assomiglia sempre di più al paradosso di Achille e la tartaruga. Abituati a pensare che in Italia la religione sia solo quella cristiano-cattolica, la scuola non si è mai curata particolarmente della presenza di altre fedi (salvo periodici e sterili dibattiti sulla presenza del crocefisso in aula), che però progressivamente hanno guadagnato terreno. Senza accogliere positivamente questa nuova presenza e senza ridiscutere seriamente i contenuti della materia, l’insegnamento della religione cattolica rischia – come Achille – di non riuscire a tenere il passo. Fuor di metafora, rischia di trasformarsi in una disciplina sempre più marginale al contesto scolastico, sempre meno frequentata e significativa. Con il pericolo che prima o poi avvenga una rottura, magari guidata dalla scuola stessa, che oggi percepisce dell’IRC sempre di più gli elementi di criticità e sempre meno il suo valore.

Filippo Binini
Insegnante di religione; membro dell’Associazione Viandanti.
Ha pubblicato Pluralismo religioso a scuola: una proposta, Pazzini, 2022, pp. 190

[Pubblicato il 5 febbraio 2022]
[L’immagine che correda l’articolo è ripresa dal sito: https://mediumaevumweb.wordpress.com]

Nel sito, sul tema, vedere:
Elio Damiano, Insegnamento della religione. Tanto rumore per nulla?