“SCRUTARE I SEGNI DEI TEMPI”
DOVERE COSTANTE DELLA CHIESA

Carlo Molari

La formula ‘segni dei tempi’ (ST) è stata rimessa in circolo nella teologia cattolica dal Papa Giovanni XXIII e dal Concilio Vaticano II. Il riferimento originario è l’espressione di Gesù riportata in forma chiara nel Vangelo di Matteo e in forma implicita nel Vangelo di Luca. Scrive Matteo: "Quando si fa sera, voi dite: bel tempo perché il tempo rosseggia; e al mattino: oggi burrasca perché il cielo è rosso cupo. Sapete dunque interpretare l'aspetto del cielo e non sapete distinguere i segni dei tempi?" (Mt.16,2-3). Luca a sua volta riporta le parole: "Ipocriti! Sapete giudicare l'aspetto della terra e del cielo, come mai questo tempo non sapete giudicarlo? E perché non valutate da voi stessi ciò che è giusto?" (Lc 12,56-57). Chi parla dei segni dei tempi? Giovanni XXIII convocando il Concilio Ecumenico con la CostituzioneHumanae salutis (Natale 1961) richiamava l’insegnamento di Gesù: "facendo nostra la raccomandazione di Gesù di saper distinguere i segni dei tempi (Mt.16,3), ci sembra di scorgere, in mezzo a tante tenebre, indizi non pochi che fanno sperare sulle sorti della chiesa e dell'umanità" (EV 1,4*). Anche nella Enciclica Pacem in terris (1963) il Papa indicava la condizione dei lavoratori e della donna, il processo di decolonizzazione e il dramma della potenza atomica come segni ai quali prestare attenzione. Il Concilio ha ripreso la formula esplicitamente in quattro luoghi. Nel decreto sui presbiteri chiede che questi: “siano pronti ad ascoltare il parere dei laici… in modo da poter assieme riconoscere i segni dei tempi” ...

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