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MOLTE CHIESE CRISTIANE, UN’UNICA CHIESA DI CRISTO

Giovanni Cereti

Il ritorno della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani (18-25 gennaio), richiama l’attenzione dei discepoli di Cristo sull’intollerabilità delle divisioni e sulla necessità di una riconciliazione fra tutti i cristiani in un mondo che si va unificando e fra Chiese che sono finalmente libere dalle ingerenze degli Stati che hanno una grande responsabilità per le separazioni esistenti.
Il tema che viene proposto quest’anno è quello dell’urgenza di un coinvolgimento di tutto il popolo cristiano per il superamento delle attuali divisioni, con riferimento a 1Cor 1, 1-17: Cristo non può essere diviso.
Contrariamente all’opinione corrente, per la quale l’impegno per il ristabilimento della piena comunione fra tutti i cristiani sembra essersi molto raffreddato in tutte le Chiese, gli eventi del 2013 e i documenti pubblicati nel corso dell’anno appena concluso sembrano volerci dimostrare proprio il contrario.

Segni di speranza
Fra gli eventi, non è inutile ricordare quanto sia stata importante l’elezione di papa Francesco, che dal suo primo incontro con il popolo cristiano si è presentato come vescovo di Roma, con un’affermazione piena di implicanze ecumeniche, insieme all’assemblea del Consiglio Ecumenico delle Chiese (CEC) che si è tenuta a Busan in Corea del Sud all’inizio del mese di novembre, sul tema Dio della vita, guidaci alla giustizia e alla pace.
Quanto ai documenti sarà sufficiente ricordare quello della Commissione teologica del CEC, Fede e Costituzione, dal titolo La Chiesa: verso una visione comune, presentato a Ginevra il 7 marzo 2013. Questo documento, al quale tutte le Chiese sono invitate a rispondere (così come è stato per Battesimo Eucaristia Ministero del 1982), costituisce la terza e definitiva elaborazione.
Insieme ad esso, merita attenzione il documento pubblicato dalla Commissione cattolico-luterana sull’unità e la commemorazione comune della Riforma nel 2017, con il titolo: Dal conflitto alla comunione, che contiene le linee guida per una preparazione delle Chiese a celebrare il quinto centenario dell’inizio della Riforma, data nella quale avremmo desiderato poter celebrare una piena riconciliazione ma nella quale potremo almeno sentire quanto le siamo ormai vicini.
E anche il nuovo anno promette avvenimenti di non minore importanza, come l’incontro di papa Francesco con Bartolomeo I a Gerusalemme per la fine di maggio.

Tutti questi eventi ci interessano, perché mai come oggi i cristiani sentono che per la comune fede in Cristo e per il comune battesimo formiamo veramente insieme un’unica famiglia di Dio, un unico Popolo di Dio, un’unica Chiesa.
Per i cattolici, una tale convinzione non si fonda sulle acquisizioni del movimento ecumenico, ma proprio sui documenti del concilio Vaticano II. Nel capitolo secondo della Lumen Gentium si parla per esempio della Chiesa come popolo di Dio. Ora di questo popolo di Dio fanno parte i cattolici (LG 14) come i cristiani delle altre Chiese (LG 15), mentre è di tutti gli altri che si dice che ‘sono ordinati al popolo di Dio’.
Ed è soprattutto il decreto sull’ecumenismo, Unitatis Redintegratio, ad affermare esplicitamente che tutti i cristiani “giustificati nel battesimo dalla fede, sono incorporati a Cristo” (UR 3) e cioè entrano a fare parte della Chiesa corpo di Cristo. Fra tutti i battezzati esiste quindi già una reale comunione, che per il fatto di essere fondata sul battesimo ha carattere sacramentale.

La Chiesa di Cristo è presente nelle diverse Chiese cristiane
Il sinodo dei vescovi del 1985 ha affermato, facendo così propria una convinzione largamente diffusa nel movimento ecumenico, che dall’insieme dei documenti del Vaticano II emerge la concezione della Chiesa come una comunione. La comunione si intende abitualmente come comunione nella fede (in virtù del comune riferimento alla Scrittura e ai simboli di fede della Chiesa antica), nei sacramenti, nella missione o testimonianza, nel ministero e nella vita fraterna del popolo di Dio.
Ma chi appartiene alla Chiesa comunione? La Chiesa cattolica sa di fare parte dell’unica Chiesa di Cristo: la Chiesa di Cristo sussite (è presente) nella Chiesa cattolica (LG 8; UR 4). Essa crede di avere conservato la sostanza del patrimonio della rivelazione e l’integrità dei sacramenti e dei ministeri.

Dovrebbe appartenere alla fede della comunità cattolica anche il riconoscimento che la Chiesa di Cristo sussiste anche nella Chiesa ortodossa. Essa è stata sempre riconosciuta come vera Chiesa, di essa altissimi elogi vengono fatti nei documenti del Vaticano II, che affermano fra l’altro che “con la celebrazione dell’eucaristia del Signore in queste singole Chiese, la Chiesa di Dio è edificata e cresce” (UR 15). Non per nulla Giovanni Paolo II ha chiesto ripetutamente che l’unica Chiesa di Cristo torni a respirare con i suoi due polmoni, d’Oriente e d’Occidente. Infine, la Chiesa cattolica nei diversi documenti del dialogo riconosce di essere insieme con la Chiesa ortodossa parte dell’unica Chiesa di Cristo[1]. Tutto questo deve essere detto non solo per le Chiese ortodosse bizantine ma anche per le cosiddette antiche Chiese ortodosse orientali (copti, armeni, siriaci, ecc.).

Diversi gradi di comunione
La concezione della Chiesa come una comunione consente, infine, di dare fondamento teologico a un’ulteriore considerazione, fondata su un passo di UR 4 in cui si afferma che fra la Chiesa cattolica e i membri delle altre comunità cristiane esiste già ora una certa comunione, anche se non piena (“sono separati dalla sua piena comunione”). Ciò dovrebbe significare che anche gli altri cristiani con le loro Chiese fanno parte dell’unica Chiesa di Cristo ma che nella comunione dell’unica Chiesa ci possono essere gradi diversi di comunione. In effetti nei principali documenti del dialogo ecumenico si afferma di cercare quale grado di comunione esiste fra la Chiesa cattolica e ognuna delle altre Chiese che sono in dialogo e in rapporto con essa.

Per comprendere meglio questo punto, possiamo riflettere sulla nostra appartenenza alla Chiesa cattolica e sulla profondità della nostra comunione con il Signore. Anche all’interno della comunità cattolica vi è una grande diversità di carismi (quelli dei diversi ordini e congregazioni religiose, delle diverse Chiese locali, ecc.) che pure vivono in piena comunione fraterna, ma soprattutto vi possono essere gradi diversi di comunione, a seconda dell’intensità della fede e dell’impegno nel servizio del Signore e degli altri. Si può forse dare consistenza teologica al dato sociologico che distingue i cristiani in credenti e praticanti, credenti poco praticanti o non praticanti, non credenti anche se battezzati, ecc. I cristiani di tutte le Chiese ferventi nella fede e ascoltatori della Parola sono più vicini fra loro, al di là delle barriere confessionali, di quanto lo siano con i cristiani della propria Chiesa che sono tiepidi nella fede e poco praticanti (come lascia intendere l’ultima frase di UR 7).

Riconoscere e stimare il patrimonio comune
Tutto questo ci consente di concludere che veramente i cattolici sono chiamati a “riconoscere con gioia e stimare i valori veramente cristiani, promananti dal comune patrimonio”, che si trovano presso gli altri cristiani, e ad apprezzare i frutti dello Spirito nelle loro comunità, come di fatto già si fa ascoltando i teologi e gli uomini spirituali di tutte le Chiese a prescindere dalla loro appartenenza confessionale. D’altra parte, è opportuno ricordare che tutte le comunità cristiane presentano imperfezioni e sono tutte bisognose di riforma e di rinnovamento nel loro cammino verso il Regno: il Concilio invita alla riforma prima di tutto proprio la Chiesa cattolica. Soprattutto, nessuno deve ergersi a giudice sopra gli altri, ricordando l’ammonimento di Paolo che “ciascuno di voi, in tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso” (Fil 2,3-4).
Vivere questa comunione nel Signore che già oggi ci unisce con tutti i cristiani è una sorgente di grandissima gioia e costituisce un atto di obbedienza al Signore che vuole che la sua comunità si apra anche ad accogliere tutti gli altri fratelli e sorelle della nostra umanità, ma che sa che ciò può accadere soltanto se i suoi discepoli vivono uniti fra loro (Gv 17,21), finalmente riconciliati anche sul piano visibile e partecipi della piena comunione eucaristica ed ecclesiale.

Giovanni Cereti
Presbitero genovese, dottore in Giurisprudenza e in Teologia, ha tenuto corsi di Teologia ecumenica e di dialogo interreligioso in diverse Facoltà ecclesiastiche. E’ consulente del Segretariato per le attività ecumeniche (SAE).


[1] Commissione mista internazionale per il dialogo teologico fra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa, L’uniatismo, metodo d’unione del passato e la ricerca attuale della piena comunione (Balamand, 1993, nn. 13-14, in EO 3, 878/1879) e soprattutto il recente documento di Ravenna, nel quale cattolici e ortodossi riconoscono insieme che la chiesa si regge in maniera sinodale o conciliare, ma che a norma del canone 34 degli apostoli a tutti i livelli ci deve essere un protos; e questo protos a livello universale non può non essere per tutte che il vescovo di Roma, primo dei patriarchi secondo l’antica tradizione.

2 Commenti su “MOLTE CHIESE CRISTIANE, UN’UNICA CHIESA DI CRISTO”

  1. Ho partecipato domenica scorsa a un culto ecumenico cattolico-luterano presso la parrocchia luterana di Choisy le roi, presso Parigi. Il parroco cattolico che ha letto un bel sermone relativo alle letture bibliche svolte ha apprezzato il dialogo ecumenico “nel rispetto delle nostre differenze”. Certamente il rispetto è la base per poter dialogare, ma un vero dialogo non si può fondare sul presupposto di non voler cambiare nulla degli altri e soprattutto di sé, per incontrarsi realmente, a fondo. Altrimenti, l’ecumenismo rischia di divenire un abile esercizio di magnanimità religiosa, utile a puntellare il proprio piccolo e traballante potere sociale.

  2. Stavamo conversando, nella Comunità di San Francesco Saverio, a Trento di matrimonio e di divorzio, stimolati dalle domande di papa Francesco sulla famiglia. La risposta l’abbiamo trovata quando uno di noi, più esperto, Alfredo de Riccabonna, ci ha ricordato la storia antica e il Vangelo. E così abbiamo potuto scrivere, serenamente e con convinzione: “nei primi quattro secoli, a determinate condizioni, era ammesso il secondo matrimonio, richiamandosi alle Scritture (Mt 19,9 e 1 Cor 7,15-16. Anche dopo la divisione del 1054 questa regolamentazione venne mantenuta dalla Chiesa ortodossa. Estendere oggi tale disciplina alla Chiesa cattolica avrebbe anche un grande valore ecumenico”. Io a questo punto ho intuito un sospiro di sollievo sul volto dei presenti. Alfredo è anche fra i fondatori dell’Alfid, l’Associazione laica delle famiglie in difficoltà.
    L’ecumenismo si è intrecciato così con la consultazione sulla famiglia. Per qualcuno l’ecumenismo viene prima, suggerisce la soluzione, per altri viene dopo, alla conclusione della ricerca sulla famiglia. Poi abbiamo anche scoperto il grande contributo che ha dato in questo campo Gianni Cereti.
    Lo stesso ragionamento possiamo farlo a proposito di celibato ecclesiastico e di sacerdozio femminile. Per la prima volta quest’estate, io e Laura, a Paderno del Grappa, alla 50° Sessione di formazione ecumenica del Sae, abbiamo passato una settimana intera con ortodossi e protestanti. Preti ortodossi sposati con mogli e figli, una donna pastora protestante presiedeva la Santa Cena. La domanda viene spontanea: perché nella Chiesa cattolica i preti devono essere maschi e celibi? E’ anche così che l’ecumenismo ci interpella e ci sollecita, ci conforta e ci rasserena. Silvano Bert-Trento

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