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Cesare Baldi
La nozione di “popolo di Dio” per esprimere la realtà ecclesiale si è imposta nella chiesa cattolica durante l’ultimo concilio ecumenico e papa Francesco la riafferma con insistenza, ma non ci sembra ancora sufficientemente approfondita a livello teologico, scarsamente assimilata a livello pastorale e sostanzialmente disconosciuta a livello giuridico.
Prendere coscienza di una nuova identità La costituzione dogmatica Lumen gentium la propone come concetto determinante per descrivere la Chiesa stessa; dopo aver presentato nel primo capitolo il mistero della realtà ecclesiale, essa dedica il secondo proprio alla nozione di popolo, come concetto chiave per esprimere il disegno universale di salvezza: «Dio volle santificare e salvare gli uomini non individualmente e senza alcun legame tra loro, ma volle costituire di loro un popolo» (LG 9).
È nostra convinzione che una pastorale del popolo di Dio sia possibile e realizzabile, ma domandi un certo numero di cambiamenti nell’attuale prassi ecclesiale, tali da permettere l’effettiva assunzione della cosiddetta “ecclesiologia di comunione”, emersa proprio nell’ultimo concilio e riaffermata a più riprese da papi e sinodi come «idea centrale e fondamentale dei documenti del concilio»[1].
Tale visione teologica si concentra appunto sul passaggio da una Chiesa, identificata come “società perfetta” gerarchicamente ordinata, a una “Chiesa-comunità”, segno e strumento di comunione con Dio e di unità del genere umano (cf. LG 1).
Ora, per compiere tale mutamento di paradigma, occorre che l’intero popolo di Dio prenda coscienza ...
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