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FRANCESCO
CHE SAPEVA LEGGERE I SEGNI DEI TEMPI

Franco Ferrari

Indubbiamente, questo di Francesco è stato un pontificato complesso, sia per il travagliato momento storico, sia per le difficoltà che la Chiesa sta attraversando. Un pontificato scomodo, una pietra d’inciampo, a volte motivo di scandalo per i Sommi sacerdoti.

I vari polveroni sollevati da più parti durante il suo pontificato ora si depositeranno a terra, così si potrà leggere e capire la vera portata della sua eredità.

Occorrerà, certo, attendere il lavoro degli storici per comprendere pienamente. E indubbiamente, come in ogni pontificato, si troveranno luci ed ombre. In particolare, sarà interessante comprendere quanto il metodo dell’avviare processi possa essere stato produttivo.

Ma pur nell’emozione del momento un aspetto sembra emergere prepotentemente: la capacità di leggere i “segni dei tempi”, in altre parole i bisogni profondi degli uomini e delle società, che aiutano (o dovrebbero aiutare) a ridefinire via via sia il rapporto Chiesa/mondo, sia la riforma continua della Chiesa.

La Misericordia
Nel continuo richiamo ad un ritorno al Vangelo nella vita di tutta la Chiesa, Francesco ha portato l’attenzione sul suo dato centrale: la misericordia. Alla fine del Giubileo (2015-2016) ad essa dedicato firmerà solennemente in piazza san Pietro la Lettera apostolica Misericordia et misera: “La misericordia non può essere una parentesi nella vita della Chiesa, ma costituisce la sua stessa esistenza, che rende manifesta e tangibile la verità profonda del Vangelo […] chiede di essere ancora celebrata e vissuta nelle nostre comunità” (n. 1). “Il perdono è il segno più visibile dell’amore del Padre […] La misericordia è questa azione concreta dell’amore che, perdonando, trasforma e cambia la vita”. (n. 2).

Un’attenzione, fatta subito segno di diverse obiezioni per la dialettica misericordia/giustizia, ma che sta in stretta continuità almeno con i suoi tre immediati predecessori. Per esemplificare, Dives in misericordia (1980) è un’enciclica di Giovanni Paolo II, così come l’istituzione della domenica della Divina Misericordia che si celebra subito dopo la Pasqua.

La dimensione sociale dell’evangelizzazione
A questo tema è dedicato un intero e articolato capitolo della Evangelii gaudium, il documento programmatico del pontificato (2013). La conversione pastorale è uno dei processi avviati per affrontare la crisi della Chiesa. Scrive Francesco: “…tanto l’annuncio quanto l’esperienza cristiana tendono a promuovere conseguenze sociali. […] Una fede autentica – che non è mai comoda e individualista – implica sempre un profondo desiderio di cambiare il mondo, di trasmettere valori, di lasciare qualcosa di migliore dopo il nostro passaggio sulla terra” (nn. 180, 183).

Un impegno che Francesco per primo ha cercato di mantenere con la costante e fattiva attenzione, attraverso l’Elemosineria apostolica, alle periferie, alle situazioni di emarginazione, ai poveri che “sono la carne di Cristo”.

È qui che si sono appuntate e si appuntano, ancora oggi, molte critiche: dall’iniziativa degli Incontri mondiali dei Movimenti popolari fino a dire che ha privilegiato le questioni sociali, ecologiche e geopolitiche rispetto alla Dottrina e alla missione tradizionale della Chiesa: l’evangelizzazione e la salvezza delle anime.

La terza guerra mondiale “a pezzi”
Un tragico segno dei tempi, che verrà additato continuamente dopo la prima volta nell’omelia della celebrazione tenuta al Sacrario di Redipuglia, per il centenario dell’inizio della Prima guerra mondiale: “Anche oggi, dopo il secondo fallimento di un’altra guerra mondiale, forse si può parlare di una terza guerra combattuta “a pezzi”, con crimini, massacri, distruzioni” (13.9.2014).

Il cambiamento d’epoca
È la grande categoria utilizzata in molteplici discorsi e documenti magisteriali per sollecitare la ricerca e il cambiamento non solo nella Chiesa. “Oggi non viviamo un’epoca di cambiamento quanto un cambiamento d’epoca. Le situazioni che viviamo oggi pongono dunque sfide nuove che per noi a volte sono persino difficili da comprendere. Questo nostro tempo richiede di vivere i problemi come sfide e non come ostacoli”, dirà alla Chiesa italiana al Convegno nazionale di Firenze nel 2015.

Un cambiamento d’epoca che preciserà così nella Costituzione, per le università ecclesiastiche, Veritatis Gaudium (2017): un “cambiamento d’epoca, segnalato da una complessiva «crisi antropologica» e «socio-ambientale» […]. Si tratta, in definitiva, di «cambiare il modello di sviluppo globale» e di «ridefinire il progresso»: «il problema è che non disponiamo ancora della cultura necessaria per affrontare questa crisi e c’è bisogno di costruire leadership che indichino strade» (n.3).

Il fondamentalismo religioso
Nel centro del mondo islamico ad Abu Dhabi, capitale degli Emirati Arabi, davanti a settecento esponenti religiosi (vescovi, rabbini, imam) Francesco firmerà con il Grande Imam della più antica università del mondo arabo (al-Azhar del Cairo), il documento Fratellanza umana per la pace e la convivenza comune (2019). Per combattere i fondamentalismi religiosi e le conseguenti guerre, occorre che l’umanità entri in “un’arca che possa solcare i mari tempestosi del mondo: l’arca della fratellanza umana”. Un’arca dove vi siano: libertà religiosa, protezione dei luoghi di culto, i diritti delle donne, la tutela dei minori e delle minoranze religiose, dialogo e giustizia, la condanna del terrorismo e dell’uso politico della religione, …

L’unità della Chiesa
A settant’anni dal Concilio Vaticano II, l’ecumenismo e il dialogo interreligioso sono oggi diventati dei forti segni dei tempi. A far uscire il tema dalle stanze degli specialisti vi hanno pensato le migrazioni e la sempre crescente identità multietnica e multireligiosa delle società. Con i popoli migrano anche le religioni.

Per Francesco la ricerca dell’unità è stata “una priorità per la Chiesa cattolica” e per lui “una delle principali preoccupazioni quotidiane”, indicherà, perciò, una duplice via d’azione.

Superato il tempo dello scambio di informazioni per una conoscenza reciproca è ora il momento per lo “scambio dei doni”, che lo Spirito ha fatto alle diverse Chiese e che può costruire relazioni amicali.  Ad esempio, lo scambio con le Chiese ortodosse può aiutarci a comprendere la collegialità e la sinodalità (EG, 246).

Una seconda direttrice riguarda il lavorare e testimoniare insieme per parlare all’umanità delle grandi sfide che ha di fronte: la pace, anzitutto; la salvaguardia del creato; i diritti umani; la libertà religiosa; le migrazioni; la povertà; le opere di misericordia.

Le migrazioni
Un fenomeno globale e persistente al quale la Chiesa presta attenzione da lungo tempo (siamo alla 110a Giornata per le migrazioni) e che già Benedetto XVI aveva definito un “segno dei tempi” nel Messaggio del 2006.

Francesco ha mantenuto costantemente viva l’attenzione non solo con i Messaggi della giornata dedicata, ma con molteplici viaggi e iniziative, tra questi ricordiamo: appena eletto, il viaggio a Lampedusa; la celebrazione a Ciudad Juárez ai confini tra Messico e Stati Uniti dove si ammassano migliaia di persone in attesa di varcare il confine (2016); le visite al campo profughi di Lesbo (2016 e 2021); l’aver riportato con sé da Lesbo 3 famiglie di rifugiati siriani musulmani (2016).

E ancora le parole nel Messaggio “Urbi et orbi” del giorno di Pasqua, poche ore prima della morte: “Quanto disprezzo si nutre a volte verso i più deboli, gli emarginati, i migranti!”.

Gli abusi di coscienza, di potere e sessuali
Più che un segno dei tempi, una piaga, che si è fatta purulenta e che è stata messa a nudo per iniziativa della giustizia civile in molti paesi. Nel 2018 si raggiunge l’apice dello scandalo. Francesco interviene convocando a Roma, per quattro giorni, i Presidenti delle Conferenze episcopali e i Superiori degli ordini religiosi (21-24 febbraio 2019). Una sorta di training per aiutare i vescovi a superare la “cultura del silenzio”. Ne seguiranno una serie di interventi di carattere legislativo che chiariscono le responsabilità dei vescovi e le modalità di intervento.

Questo è un processo avviato, ma che resta ancora dolorosamente aperto per lentezze e “dimenticanze” nell’attuazione.

È un segno dei tempi che la Chiesa abbia iniziato a parlare apertamente e cercato di affrontare un male che colpisce anche molti altri mondi: la famiglia, lo sport, la moda, …

La sinodalità
Che la Chiesa abbia sempre bisogno di essere riformata (semper reformanda) è un segno dei tempi che attraversa tutte le epoche. Francesco ha scelto la via della sinodalità per attuare un profondo rinnovamento, in buona sostanza una riforma della Chiesa.

“Una delle eredità più preziose” del Vaticano II. Un “camminare insieme, Laici, Pastori, Vescovo di Roma” affinché la Chiesa possa affrontare le potenti sfide del terzo millennio.

Sei le sessioni sinodali convocate da Francesco per affrontare ambiti in cui la Chiesa è in affanno: la famiglia (due sessioni), i giovani, l’Amazzonia e la questione cruciale della sinodalità (due sessioni).

Disegnare un modello di Chiesa sinodale per capovolgere la piramide, per portare a termine il rinnovamento conciliare, per sconfiggere il clericalismo, per coinvolgere tutti i battezzati-laici, per valorizzare il ruolo delle donne e la centralità della coscienza, per ridare forza all’evangelizzazione.

Un cammino difficile e lungo. La sua morte ci ha colto in mezzo al guado. Ma difficilmente si potrà abbandonare.

                                                                                      ** ** **

Noi, popolo di Dio, insieme al prossimo successore di Pietro, di tutto questo ce ne dovremo ricordare perché la riforma della Chiesa non la fa un papa da solo o lasciato solo.

«Non è compito del Papa offrire un’analisi dettagliata e completa sulla realtà contemporanea, ma esorto tutte le comunità ad avere una “sempre vigile capacità di studiare i segni dei tempi”» (Evangelii gaudium, n. 51): ci ha ricordato Francesco, citando Paolo VI in Ecclesiam suam (n. 19), un’enciclica del 1964.

Franco Ferrari
Presidente Associazione Viandanti 

[Pubblicato l’ 23.4.2025]
[L’immagine  è ripresa dal sito: avvenire.it]

7 Commenti su “FRANCESCO
CHE SAPEVA LEGGERE I SEGNI DEI TEMPI”

  1. Grazie Franco. Un azzeccato panoramico profilo di Francesco, frammento significativo della storia della chiesa e della società. Da qui partiremo per valutare il gravoso impegno di continuare, potenziare, modificare in meglio il servizio universale del Vescovo di Roma.

  2. Francesco ci parve subito “Una lieta notizia”. Piergiorgio Rauzi, direttore della rivista l’Invito (Trento, n.231 /2013) la spiegò così: “Perché alla domanda di quale fosse il suo film preferito ha risposto ‘Il pranzo di Babette’, cioè il recupero della convivialità anche e non solo attorno all’altare”. Cioè: è il papa che fa la Chiesa, ma è anche la Chiesa che fa il papa. Avviato presto il Sinodo della famiglia la Comunità di S. Francesco Saverio partecipò con entusiasmo, con il documento, “La fede attraverso l’amore e la laicità” (l’Invito n.234 /2014). Il vescovo Luigi Bressan ci informò che le consultazioni erano state avviate “secondo le indicazioni avute”. Vita Trentina, il settimanale diocesano, ci informò poi che su 271 questionari distribuiti le parrocchie avevano risposto in meno di 60, che sulle risposte era stato posto l’embargo, ma che stava emergendo uno ‘scisma sommerso’. Qualche tempo dopo il direttore fu sostituito. Cioè: è il papa che fa la Chiesa, ma è anche la Chiesa che fa il papa. Questa tensione, fra clero e laici, nel clero e nei laici, fra luci e ombre, ha attraversato tutti gli anni del pontificato di Francesco. E sarà la tensione che attraverserà il prossimo pontificato.

  3. Grazie carissimo Franco, per averci riassunto magistralmente l’operato e la “traccia” lasciata da Francesco, in un momento in cui il dolore per la sua perdita è ancora così tanto presente.

  4. Capisco il turbamento della sorella Clotilde. Tuttavia ho accumulato abbastanza fiducia in un Collegio cardinalizio scelto per la gran parte da papa Francesco per non temere derive di restaurazione. Eppure anch’io sono in apprensione, non tanto per chi sia alla fine il designato, che lo Spirito ha già scelto, ma perché avverto il timore che tale e tanto compito incute. È certo una palese mancanza di fede da parte mia, che però mi spinge a pregare per essere già fin d’ora in comunione con lui e potermi mettere a disposizione. Perché tale compito tutti ci coinvolge, come Francesco ha insegnato invitandoci a camminare insieme fra di noi e con l’umanità tutta per la pienezza del Regno. E che altro possiamo fare, rendendoci francamente consapevoli di questa Chiesa reale che vuole andare avanti ma che si trova tuttora al palo? Non si tratta di andare a manifestare in piazza San Pietro. Occorre andare a manifestare sui sagrati delle nostre chiese e proporre vie non violente ma determinate di dialogo ai nostri parroci, fra cui non intravedo che rari e timidi pontieri, come d’altronde rari e timidi vedo i manifestanti. Ora tocca a noi. Noi dobbiamo essere i pontieri fra un clero ancora troppo torpido, troppo geloso della propria posizione, troppo affezionato alla schiera dei praticanti, e la moltitudine.

  5. Molto buono, come al solito, Franco. Concordo pienamente. Soprattutto sulla necessità di accompagnare, come laici, il papa nella riforma della Chiesa e nel cambiamento del mondo.

  6. Scrivo per esprimere semplicemente un mio pensiero e preoccupazione: che “tipo” di Papa il Conclave deciderà di eleggere dopo la scomparsa di un Papa come Francesco?
    Dico così perché in questi gg ascoltando alcuni dibattiti su questo tema, mi sembrava la descrizione di un contesto internazionale, abbastanza allargato (Africa, America, Inghilterra..), che non aspettava altro che la sua scomparsa per poter ripristinare “ordine e stoppare insane aperture”.
    Tutto questo sta accadendo alla conclusione di questi anni in cui si è lavorato
    come Sinodo per raccogliere “germogli”, aprire strade, accogliere chi è messo al bando: tutto questo lavoro è assolutamente ininfluente, anzi, inesistente nella mente del futuro Conclave?
    La domanda che mi faccio, che propongo anche a Voi come Viandanti e Rete Viandanti, è: come far sentire la nostra voce, come poter dire che anche noi siamo Chiesa e come battezzati vorremmo dire la nostra circa quale Papa sarebbe utile nella società contemporanea in questo momento storico?
    Non vogliamo restaurazione, chiusure, muri, cammini faticosamente iniziati vanificati.
    Non dico di andare in piazza San Pietro con manifesti e tamburi, ma di cercare vie non violente ma determinate di dialogo per dire a questo Conclave che la gente, il popolo, credente o non, ha bisogno, vuole un uomo che costruisca ponti, che abbia il coraggio di cercare incontri impossibili, in questo mondo in cui violenza, sopraffazione, il Dio denaro ed il potere sono legge.
    Un uomo che sappia parlare a tutti, che abbia il Vangelo stampato nella testa, che non sia l’uomo dall’alto del Pulpito ma pastore in mezzo alle pecore e fuori da ogni pressione della Politica.
    Da come ho sentito invece la parte più reazionaria, conservatrice, del futuro Conclave ha intenzioni ben diverse, ed esistono anche pressioni delle Politiche per non dare continuità all’operato ed allo stile di Papa Francesco.
    Mi chiedo se il Conclave, tutti questi cardinali, sia giusto che possano decidere per noi senza tener conto delle indicazioni (in verità non concluse) date dal Sinodo, da questa Chiesa reale che vuole andare avanti. Possiamo solo stare idealmente in P.za San Pietro col naso all’insù pregando in silenzio e aspettando la famosa fumata bianca?
    Come farsi sentire in questa settimana che precede l’apertura della elezione?

  7. Bello il tuo pezzo caro Franco (nome che significa “libero”). Penso che tutti e tutte i viandanti si possano identificare con questo tuo testo. Ci sentiamo presto

    Alberto

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