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LA NOSTRA ANIMA EBRAICA

Cristiani ed ebrei è un’interessante collana curata dal gruppo interconfessionale Teshuvà di Milano, comprendente testi finalizzati alla scoperta dell’ebraismo e a favorire l’incontro tra ebrei e cristiani. Non poteva mancare, quindi, un volume di Paolo De Benedetti, che di questo incontro è una sorta di incarnazione. In primo luogo, con la sua persona e naturalmente con i suoi scritti.

Leggendo i suoi testi, si ha la percezione di come l’ebraismo non sia tanto una radice del cristianesimo, come si usa dire, quanto una vera e propria anima da cui la tradizione cristiana non può prescindere per come l’insegnamento di Gesù è immerso nell’orizzonte religioso e nelle modalità argomentative rabbiniche. Si può dire, allora, che l’intera cultura occidentale ha un’anima ebraica che sarebbe insensato negare.

De Benedetti è un capostipite della specie ancora rara, in un’Italia cattolica che persiste nell’essere clericale, di interpreti laici della Bibbia. A questo riguardo, l’ebraismo, con la sua vocazione alla libera disputa, è uno stimolo a non arenarsi nelle letture consolidate e nei dogmatismi. Il titolo stesso del libro, una raccolta di interventi per lo più pubblicati su SeFeR – Studi, fatti, ricerche, traduce l’espressione ebraica kivjaqol, che indica il paradosso per cui alla Torah è richiesto di esprimere qualcosa su Dio con il linguaggio umano, inevitabilmente inadeguato. Una sana propensione a non assolutizzare le proprie posizioni e a sottoporle al dibattito è il migliore antidoto contro assolutismi e intolleranze.

I contributi raccolti nel testo sono raccolti in tre sezioni (Dio; uomo, donna e creazione; feste) che toccano gli aspetti principali della spiritualità e della teologia ebraica e ne attestano l’universalità. La loro immediata utilità è quella di introdurre a una conoscenza più ampia del testo biblico, perché risale ai suoi sensi originari, e di far scoprire la ricchezza di una tradizione che la maggior parte dei cristiani ingiustamente ignora. E’ detto per chi la fraintende, considerandola una religione del precetto e del Dio giudice, senza la misericordia che viene considerata un’esclusiva cristiana.

Basti riportare questo midrash sulla conversione (teshuvà):

Un principe è lontano da suo padre, a cento giorni di cammino. I suoi amici gli dissero: Torna da tuo padre. Egli rispose: Non posso, non ne ho la forza. Allora suo padre gli mandò a dire: Torna finché puoi, e io ti verrò incontro per il resto della strada. (…)

La nostra riflessione sulla teshuvà ci ha fatto scoprire che questo terribile giudice è uno che si ricorda del sacrificio di Abramo, che sa che noi non possiamo arrivare fino a lui e quindi ci viene incontro, lasciando il suo regno e diventando, come noi, un forestiero (p. 188).

Christian Albini

De Benedetti P., Se così si può dire… Variazioni sull’ebraismo vivente, EDB – Morcelliana, Bologna – Brescia 2013, pp. 232.

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