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LA NOSTRA VITA, MANGIATOIA
IN CUI NASCE CRISTO

Nicola Tedoldi

Il Natale 2025 non è un evento che possiamo celebrare in una bolla dorata. Le luci delle nostre case e delle nostre chiese sono crudelmente offuscate dall’oscurità dei conflitti: dalla lotta per la sopravvivenza e la libertà in Ucraina alla devastante tragedia umanitaria a Gaza, senza dimenticare le decine di scenari di guerra sparsi nel mondo, dall’Africa all’Asia. La narrazione di Betlemme, in questo contesto, cessa di essere una dolce evasione e si rivela una verità radicale e urgente per la nostra fede cristiana.

La magiatoia di Betlemme, simbolo vitale
Al cuore del messaggio cristiano c’è la convinzione che la Grazia di Dio non è mai assente, ma al contrario, irrompe con potenza proprio dove il bisogno e la sofferenza sono massimi. Il Natale è la prova inconfutabile che Dio si fa carne nelle nostre “mangiatoie” di dolore, di violenza e di ingiustizia, chiamandoci con vigore a essere operatori di pace, agenti di giustizia e testimoni dell’amore che trasforma.

Gesù è nato in un territorio militarmente occupato e sotto il dominio di un impero brutale e la sua infanzia fu segnata dalla fuga in Egitto per sottrarsi alla violenza spietata di Erode.

Oggi, il senso del Natale risuona in modo straziante nel pianto delle vittime innocenti di ogni fronte e così la mangiatoia a Betlemme si trasforma nel simbolo globale dei rifugi di fortuna, delle tende di emergenza, delle case bombardate e degli sfollati che cercano riparo dal gelo o dalle macerie. Le famiglie che fuggono dalla guerra in Ucraina, l’indicibile sofferenza del popolo a Gaza – con la distruzione di infrastrutture vitali e la crisi alimentare – e i milioni di persone in fuga dalle violenze in Sudan o in Congo, sono il contesto contemporaneo in cui Dio sceglie di nascere. La nostra fede ci ricorda che Cristo è lì, in mezzo a loro, non in modo etereo, ma con la solidarietà concreta del bambino indifeso.

La grazia preveniente
Il fondatore del metodismo, John Wesley, ci ha insegnato a riconoscere la grazia preveniente, cioè quella grazia che ci precede e ci prepara all’incontro con Dio.

In questo Natale, la grazia preveniente è quella forza misteriosa che sostiene la speranza: è ciò che impedisce all’umanità di soccombere completamente al nichilismo e alla disperazione anche sotto le bombe.

In questo Natale, la Grazia preveniente è quella forza misteriosa che ispira l’altruismo: è il motore degli operatori umanitari, dei peacekeepers e dei medici che rischiano la vita per salvare l’altro.

In questo Natale, la Grazia preveniente è quella forza misteriosa che preserva la dignità: è il fondamento della nostra convinzione che ogni vita umana, anche quella del “nemico”, possiede un valore sacro inestimabile, perché creata e amata da Dio.

Il Natale ci obbliga a riconoscere la dignità, non come un diritto guadagnato, ma come un dono divino conferito dall’Incarnazione stessa. Il Natale è il dono del Principe della Pace (Isaia 9:6), un titolo che è l’antitesi di ogni signore della guerra.

Rispondere alla sofferenza del mondo
In un’epoca dove il ciclo di vendetta e ritorsione sembra infinito e trova una facile cassa di risonanza nella propaganda e nei social media, la nostra fede ci chiama al coraggio etico del perdono e della riconciliazione. Dobbiamo lottare senza riserve per la giustizia, affinché i responsabili delle violenze siano chiamati a renderne conto, ma dobbiamo farlo con la forza e l’obiettivo dell’amore, rifiutando categoricamente l’escalation dell’odio e l’idea che la pace possa nascere dalla mera soppressione del nemico.

Il cammino di ogni cristiano verso la santificazione non può ignorare i drammi globali. La vera santità non è isolamento spirituale; essa si misura nella nostra risposta alla sofferenza del mondo.

Le guerre attuali sono alimentate dalla disumanizzazione del nemico e dalla polarizzazione estrema, spesso manipolata da interessi politici o economici. Il Natale ci obbliga, in quanto discepoli di Cristo, a vedere il Suo volto in ogni persona, indipendentemente dalla nazionalità, dalla religione o dall’affiliazione politica. La nostra missione è infrangere il manicheismo che divide il mondo in categorie assolute di “buoni” e “cattivi”. Dobbiamo riconoscere la complessità del male e, al tempo stesso, la possibilità di redenzione e di dialogo in ogni essere umano.

Questa è la sfida della grazia santificante nel 2025: purificare il nostro cuore e renderlo capace di un amore che attraversa i confini.

Ricostruire relazioni e fiducia
§Il senso pastorale del Natale 2025 ci spinge oltre la commozione passeggera verso un impegno duraturo per il cambiamento sociale. Come cristiani e cristiane la nostra solidarietà non deve essere filantropia laica, ma un atto teologico, una risposta diretta al dono dell’Incarnazione.

L’aiuto concreto offerto alle vittime (cibo, rifugio, medicine) è il modo più diretto in cui viviamo la grazia santificante. Il nostro denaro, il nostro tempo e le nostre voci devono essere orientati a lenire le ferite aperte. La carità attiva è la testimonianza che la pace è possibile e che la grazia opera attraverso le nostre mani.

La preghiera per i peacekeepers, per i negoziatori e per i leader mondiali non è passiva; è un’azione spirituale che alimenta la nostra azione di sensibilizzazione e pressione politica per il cessate il fuoco, per la protezione dei civili e per il rispetto del diritto internazionale.

Quando le armi taceranno – e preghiamo che ciò avvenga presto – rimarranno comunità distrutte non solo nelle loro case, ma nelle loro relazioni e nel loro spirito. Le chiese cristiane, nella piena unità ecumenica, sono chiamate ad investire massicciamente nella ricostruzione non solo delle strutture fisiche, ma delle relazioni umane e della fiducia.

Sostenere la cura psicologica e spirituale per i rifugiati e i sopravvissuti, molti dei quali sono bambini e bambine che non hanno conosciuto altro che guerra. Promuovere progetti di dialogo e convivenza pacifica, anche tra comunità storicamente ostili, in modo che l’amore di Cristo possa essere il fondamento di un futuro condiviso.

Trasformare il pianto in canto di pace
La nostra responsabilità non è solo verso le vittime dirette, ma anche verso la nostra società occidentale che rischia di assuefarsi alla violenza. Il Natale deve essere una sveglia costante che ci fa capire che la pace è un lavoro quotidiano che inizia nella nostra coscienza e si realizza smantellando la cultura della violenza, nelle nostre parole e nelle nostre scelte.

Il Natale 2025 è, dunque, sia un’accusa alla guerra, sia una profezia ineludibile di speranza. L’umile nascita di Cristo proclama che l’amore, manifestato nella fragilità, e non la forza militare o la potenza economica, è il potere più grande e duraturo al mondo.

Siamo chiamati a non distogliere lo sguardo dalle grida di chi soffre. Che l’Emmanuele, che è venuto in mezzo a noi, ci dia il coraggio e la visione per essere la Sua Grazia in azione, trasformando il pianto in un canto di pace e la distruzione in una speranza concreta di ricostruzione e riconciliazione.

Sia la nostra vita la mangiatoia in cui Cristo nasce oggi.

Nicola Tedoldi
Pastore nella Chiesa Metodista di Parma e Mezzani

[Pubblicato il 10.12.2025]
[L’immagine  è ripresa dal sito: unicef.it]

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