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Richiesta di riforme da presentare al vescovo di Roma (aprile/luglio 2013)

Contesto. I firmatari della lettera, compilata da tre preti della Versilia e da un laico, nell’esercizio legittimo del  carisma laicale e presbiterale, si sentono in dovere di “manifestare ai sacri Pastori il loro pensiero su ciò che riguarda il bene della Chiesa e di renderlo noto anche agli altri fedeli” (Codice Diritto Canonico 212/3). Ritengono urgente e necessario riformare la vita della chiesa, anzitutto attuando la collegialità, con la richiesta sia di maggiore autonomia, libertà e trasparenza nella preparazione e nello svolgimento dei sinodi, sia di nuove modalità di elezione del papa. Le finanze vaticane e il patrimonio immobiliare devono essere gestiti con maggiore trasparenza e eticità. Le diocesi italiane sono troppe e vanno ridotte. Si propone l’abrogazione dell’obbligo del celibato per i presbiteri e l’apertura alle donne del diaconato e del presbiterato. A livello parrocchiale e diocesano la corresponsabilità dei laici non deve essere solo tollerata ma promossa. Inoltre si richiede un ripensamento della iniziazione cristiana e un diverso modo di rapportarsi con la politica. (g.m.)

TESTO
Richiesta di riforme da presentare al vescovo di Roma
e guida della Chiesa, papa Francesco

Il senso di queste richieste
Sono ormai molti in Italia  e all’estero i gruppi di credenti che rivolgono al proprio vescovo e alla S. Sede domande di riforme circa il modo di vivere e di agire della Chiesa. Queste richieste vengono presentate sia perché ritenute necessarie, sia per far cessare le critiche rivolte al Vaticano. Ora, poi, il modo di vivere, ciò che dice e il modo di dirlo, le decisioni di papa Francesco hanno rianimato tutti i credenti che desiderano da molto tempo queste riforme. Anche noi speriamo con più forza che una riforma sia realizzata e speriamo  di trovare molti aderenti al messaggio che diffonderemo, non certo per insegnare qualcosa al Papa, ma perché sia evidente che siamo con lui.
Noi riteniamo necessario che quei gruppi divengano sempre più numerosi; che i loro membri siano collaboratori attivi di parroci di grandi o piccole parrocchie, o che lavorino nelle curie vescovili. Così approfondiranno le loro convinzioni sulla necessità di riformare la vita della Chiesa, le potranno comunicare nei modi più ampi possibili ai credenti che ancora non vedono tali necessità e le potranno inviare ai vescovi locali e alla S. Sede.
Non abbiamo nessuna intenzione di ribellarci al nostro vescovo, mons. Italo Castellani, e tanto meno al Papa. Non l’ avevamo nei confronti di papa Ratzinger, né, tanto meno, l’ abbiamo ora con Papa Francesco. Ogni papa ha ricevuto la missione di guidare la Chiesa e, in essa, anche i gruppi piccoli come il  nostro, proveniente da alcune parrocchie della Versilia lucchese. Vogliamo seguire il comma 3 del canone 212 del Codice di Diritto Canonico, che recita “i fedeli… hanno il diritto, e anzi talora anche il dovere, di manifestare ai sacri Pastori il loro pensiero su ciò che riguarda il bene della Chiesa e di renderlo noto anche agli altri fedeli”. Ci sembra quindi doveroso comunicare ciò che, circa i problemi della vita della Chiesa, ci dicono la nostra esperienza ormai di molti anni, i colloqui con altri credenti sinceri e alcune letture. Certamente non siamo i salvatori della patria. Ma speriamo di poter dare un modesto contributo per individuare  alcune riforme della Chiesa senza dubbio necessarie e a sostenere dalla base la volontà di papa Francesco, che certamente vuole fare  vere riforme, anche trovando degli ostacoli.
Abbiano cercato di documentare situazioni, e quindi motivi, della nostra richiesta di riforme. Purtroppo ci siamo riusciti solo in parte per la mancanza di biblioteche ed archivi nella nostra Viareggio e, certamente, anche per i limiti delle nostre capacità. Speriamo tuttavia di essere riusciti ad esporre proposte aderenti alla situazione reale e agli urgenti bisogni della Chiesa oggi.[1]

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LE RIFORME CHIESTE DAI SOTTOSCRITTI

Collegialità e sinodo dei vescovi
Il Concilio Vaticano II ha insegnato l’importanza della collegialità episcopale nella vita della Chiesa (Lumen Gentium [da ora in avanti L.G.] nn. 22-23); Giovanni Paololo II ha affermato che per realizzarla papa Paolo VI ha istituito il Sinodo dei Vescovi (Enchiridion Vaticanum [da ora in avanti E. V.] 22, p. 689 n. 891) con la Lettera Apostolica Apostolica Sollicitudo (E. V. 2, pp. 475-481).
Leggendo i due documenti si nota un clima molto diverso. Nella L.G. si avverte un vero spirito di fraternità e di collaborazione, pur non dimenticando quanto ha insegnato il Vaticano I sul ruolo e il potere del papa. Nella Apostolica Sollicitudo inizialmente  Paolo VI ricorda che il Vaticano II lo aveva indotto a pensare alla utilità di ricorrere all’aiuto dei vescovi nel governo della Chiesa universale e che per questo aveva deciso di istituire il Sinodo dei vescovi. Ma nell’indicare come il sinodo avrebbe dovuto lavorare per dare al papa questo aiuto, la Apostolica Sollicitudo chiede che i vescovi dei futuri sinodi, più che aiutare il papa, obbediscano tassativamente a ciò che il papa decide.
Vi si afferma, infatti, che al papa spetta: 1) convocare il sinodo, quando gli parrà opportuno, e stabilire dove avvenga; 2) ratificare l’elezione dei membri fatta dalle varie conferenze episcopali, altrimenti i vescovi eletti non potranno partecipare al sinodo; 3)fissare l’oggetto delle questioni da trattare; 4) far spedire materiale informativo sulle questioni da trattare a coloro che dovranno intervenire al sinodo; 5) stabilire l’ordine del giorno; 6) presiedere il sinodo personalmente o per mezzo di altri; (E. V. 2, p. 477, III). Il papa nomina il segretario generale e i segretari speciali del sinodo ( idem, p. 481). Nella lettera non si prevede che i vescovi convocati al sinodo possano presentare al papa loro iniziative e temi di discussione.
Nel 1966 Paolo VI approva un Regolamento del Sinodo, che viene poi riveduto ed ampliato nel 1971. Nel Regolamento del Sinodo dei Vescovi riveduto e ampliato ai 6 diritti pontifici suddetti se ne aggiunge un settimo: “ al papa spetta sospendere, sciogliere il sinodo, decidere in merito ai pareri da esso espressi” (E. V. 3, p. 801). Questa ultima precisazione significa che il papa può proibire di discutere qualunque argomento presentato dai vescovi del sinodo, e qualunque loro affermazione. Il Regolamento stabilisce, poi, che il Sinodo avrà un presidente delegato che “presiede l’assemblea in nome e per autorità del sommo pontefice” ed “è da lui nominato” (ibidem); ha un segretario generale nominato dal papa e che ha il compito di “eseguire gli ordini del sommo pontefice e comunicargli ciò che concerne il sinodo dei vescovi” (E.V. 3, p. 811); ha pure un segretario speciale nominato dal sommo pontefice (E. V. 3 p.815). Si stabiliscono, inoltre, norme minuziose sul lavoro del presidente, dei vescovi membri del sinodo, delle assemblee, del segretario e della segreteria (E. V. 3, pp. 801-817). Seguono le “Norme Generali” che regolamentano tutto, fino a “Le vesti da usarsi” nelle assemblee (E. V. 3, p. 817 art. 18). Infine seguono altre norme su “La Procedura” (E.V. 3, pp. 817-829). Praticamente il sinodo può fare solo quello che vuole il papa, anche nelle cose più minute.
A partire dal 1983 si introducono due documenti da inviare ai vescovi che parteciperanno al sinodo. Il primo, Lineamenta, viene presentato come invito rivolto alle chiese locali di riflettere sul tema del futuro sinodo, deciso dal papa, e di inviare alla S. Sede i risultati. Questi verrebbero poi sintetizzati in un Instrumentum Laboris, perché la riflessione iniziata avesse un ulteriore approfondimento (E. V. 9, pp. 2-6). Inevitabilmente nasce il dubbio che, ancor prima dell’apertura del sinodo, si volesse dare un indirizzo ai suoi futuri lavori, in modo che i vescovi non avrebbero potuto dire niente di ciò che non era stato previsto dalla S. Sede e indicato nell’ Instrumentum Laboris. Più che la realizzazione della collegialità episcopale, il sinodo appare a molti un organo di consultazione, controllatissimo e indirizzato in più modi dall’alto.
I sottoscritti sono convinti di interpretare i desideri e le esigenze di moltissimi cattolici chiedendo che le elezioni delle conferenze episcopali non debbano essere approvate dal papa; che ai vescovi elettori ed eletti al sinodo sia data ampia libertà di indicare alcuni problemi che il sinodo potrà discutere, di presentare i propri modi di vedere i problemi proposti ai padri sinodali dalla S. Sede, i propri modi di affrontarli per cercare di risolverli. I vescovi sinodali dovrebbero anche essere liberi di presentare le riforme da fare sia sul modo di agire della S. Sede, sia su quello dei vescovi, del clero, dei religiosi e delle religiose. I vescovi dovranno portare nelle discussioni sinodali i problemi che si pongono alla Chiesa nei vari stati. Rimanendo fermo che dopo tali discussioni non si potrà decidere niente di contrario alla volontà del papa, ma anche che il papa peserà bene il valore delle proposte dei vescovi. Si pensa anche che il papa, pur avendo la somma potestà dogmatizzata dal Vaticano I, non si porrebbe in contrasto con quel concilio invitando i vescovi del sinodo a fare liberamente le proprie proposte, a cercare, insieme con lui, le soluzioni migliori dei problemi, che naturalmente nascono di continuo e in modo diverso, per la rapida evoluzione della vita dei molti popoli nei quali la Chiesa è presente ed operante. Il papa non può non essere libero di accettare le opinioni e i suggerimenti dei sinodali, fermo restando che nei problemi della fede e della prassi pastorale l’ultima parola resterà sempre a lui.
Inoltre si ritiene necessaria la pubblicazione integrale degli Atti dei Sinodi episcopali, delle discussioni e delle decisioni, in modo che sia possibile a tutti informarsi totalmente dei lavori sinodali.

Elezione ed elettori del papa
Chiediamo che si riformino le modalità della elezione dei papi. In primo luogo che si abbandoni la prassi di eleggere necessariamente un cardinale. E’ noto che nel primo millennio non esisteva accanto al papa un gruppo di collaboratori così importanti. Ma dopo il mille quei collaboratori del papa diventarono più importanti degli altri presbiteri. Furono chiamati cardinali e spesso erano eletti al papato. Questa prassi era già nata nel sec. XII, ma il grande canonista Uguccione da Pisa (1130-1210) affermava che non ci fosse obbligo di eleggere papa un cardinale.[2] La prassi suddetta si è consolidata nei secoli XIII e XIV ma non del tutto, perché Urbano V (1362-1370) e Urbano VI (1378-1389) sono stati eletti al papato senza  essere cardinali. E’ stata sempre osservata nel sec. XV e nei secoli seguenti, durante i quali furono eletti papi solo dei cardinali fino ad oggi.  Ma date le enormi differenze dei modi di vivere della chiesa di oggi da quelli del tardo Medio Evo e del Rinascimento, riteniamo non obbligante seguire la prassi di quel periodo, seguita dal secolo XV ad oggi, ma lontana da tutta la vita della Chiesa dalla Pentecoste al secolo XIV compreso.

Il successore di papa Benedetto XVI è stato eletto da 115 cardinali, dei quali 60 erano europei e, fra questi, 28 italiani. E’ vero che il papa è il vescovo di Roma. Ma è soprattutto il primate di tutta la Chiesa cattolica. Non possiamo non notare quanto il numero degli elettori europei ed italiani fosse un ingiusto retaggio di un passato antico, che non deve assolutamente ripetersi.
Ci sembra ancor più necessario che il sommo pontefice venga eletto non dai cardinali, ma dai vescovi dell’ultimo sinodo convocato, o da un gruppo di vescovi residenziali, anche non cardinali, eletti ogni 3-5 anni dalla conferenza episcopale del proprio Stato (o di gruppi di Stati) e pronti, anche nel caso di morte improvvisa del papa, a venire a Roma ad eleggere il successore, essendosi tenuti informati delle persone più adatte a venire elette papa. Nessuno di loro potrebbe conoscere tutti vescovi o tutte le altre persone del mondo idonee ad essere elette a quel ruolo, come avviene anche attualmente ai cardinali elettori. Ma scambiandosi per alcuni giorni, appena arrivati a Roma, le conoscenze di ciascuno, potrebbero arrivare ad una scelta adatta, più facilmente di quanto sia possibile con il sistema attuale, dato il fatto che gli elettori del papa provengono attualmente in fortissima maggioranza dai popoli occidentali (60 europei e 17 nord-americani). Oggi in quei popoli la Chiesa vede aumentare il numero dei non battezzati, mentre la chiesa si espande, e si può sperare che si espanderà sempre di più, negli altri popoli.
Si dirà però che il papa, in quanto successore di Pietro, deve essere eletto dal clero romano, motivo per cui ogni cardinale è incardinato in una delle chiese di Roma. Prescindendo dal fatto che quell’incardinazione è fittizia, perché ben pochi cardinali sono realmente membri del clero della diocesi di Roma, si deve ricordare che il modo di eleggere il papa ha avuto nei secoli molti cambiamenti e che varie volte è stato più una designazione che una elezione. Non abbiamo una documentazione attendibile circa i modi della elezione dei papi a Roma nel primo e nel secondo secolo. Per il periodo successivo si sa che il papa veniva eletto dal clero e dal popolo cristiano di Roma; in un secondo momento dai vescovi suburbicari, dal clero romano e dal popolo. Ma successivamente il popolo perse il diritto di partecipare alla elezione e il suo ruolo fu limitato alla acclamazione del papa eletto, necessaria come convalida della elezione. Ma si deve ricordare, in sintesi brevissima,  che due decreti dell’imperatore Onorio del 419 e 420 stabilirono che l’elezione dovesse essere ratificata dall’imperatore perché potesse essere considerata valida e l’eletto potesse esercitare le sue funzioni. Il clero romano accettò questa decisione, che cambiava radicalmente il modo di eleggere il papa. Questo diritto dell’imperatore passò ai re Odoacre e Teodorico e ritornò successivamente, dopo la guerra greco-gotica (535-553), all’imperatore d’Oriente, che riassunse il diritto di ratifica del papa appena eletto, che non poteva agire senza la ratifica imperiale.
Ma nei secoli VIII e IX, con l’allontanamento di Costantinopoli dal mondo occidentale il papa veniva eletto in modi diversi, anche con un periodo di controllo dei re franchi. Nella prima metà del secolo X le elezioni pontificie avvenivano come voleva la casa di Teofilatto. Dalla metà del secolo X dominavano le elezioni gli Ottoni, imperatori germanici, con il Privilegio Ottoniano che stabiliva che l’elezione del papa, fatta dal clero romano, dovesse essere approvata dall’imperatore, al quale il papa avrebbe dovuto giurare fedeltà. Ma gli imperatori arrivarono poi ad imporre l’elezione di un loro candidato. Dopo la morte di Ottone III fu l’aristocrazia romana che sceglieva e imponeva l’elezione di un uomo ad essa fedele. Solo alla metà del secolo XI,  per la forza del movimento della riforma gregoriana, si tornò ad una elezione secondo un corretto metodo antico.  Infatti in un sinodo di 113 vescovi, convocato dal neo eletto e riformatore papa Nicolò II nel 1059, si decise che l’elezione del papa dovesse avvenire in tre fasi: i cardinali vescovi si dovevano orientare sulle persone degne di essere elette; insieme agli altri cardinali avrebbero effettivamente eletto il nuovo papa; il rimanente clero romano e il popolo avrebbero acclamato l’eletto convalidandone così l’elezione, nella quale né imperatori, né baroni romani dovevano interferire. Ma nemmeno questo metodo durò a lungo. Quando i cardinali divennero elementi sempre più importanti della Curia romana le cose cambiarono di nuovo. L’elezione venne affidata ai soli cardinali, senza che fosse più necessaria l’acclamazione del clero inferiore e del popolo. Ci furono altre importanti modifiche, a cui accenneremo più avanti.

E’ però necessario accennare brevemente alle elezioni del periodo rinascimentale, nel quale le condizioni morali e religiose di tutti i componenti dei popoli cristiani erano crollate, le attività pastorali dei vescovi e dei parroci ridottissime, la vita di molti religiosi e religiose rilassata. La vita dei cardinali in genere era forse una delle più lontane da una vera vita cristiana.  In questo periodo, senza negare che il papa fosse il vescovo della chiesa romana e quindi il capo della chiesa universale, i papi erano considerati soprattutto come sovrani dello stato ecclesiastico e quindi i cardinali, dopo la morte di ogni papa, sceglievano come successore un cardinale dotato di capacità politiche e diplomatiche, spesso noti per una vita moralmente scorretta, come avveniva per quasi tutti i cardinali. I papi così eletti vivevano come tutti i principi degli stati italiani, trascurando anche gravissimi problemi della chiesa. Nel secolo XV, infatti, la Curia romana, nonostanti le gravissime condizioni della Chiesa, non prende nessuna vera iniziativa di riforma. All’inizio del secolo XVI la situazione è peggiore. Basti pensare alle note vicende della vita di Alessandro VI, prima e dopo l’elezione al sommo pontificato (1492-1503); a quali furono le attività principali di Giulio II (1503-1513) [3]; al modo con cui Leone X (1513-1521), che non fece assolutamente nulla per realizzare i decreti del Concilio Lateranense V (1512-1517) che aveva programmato ottime riforme, trascurò il problema di Lutero; alla lunga controversia fra Clemente VII (1523-1534) e l’imperatore asburgico Carlo V sulla località dove convocare il concilio per affrontare il problema protestante, mentre luterani e calvinisti si diffondevano in tutta l’Europa centro-occidentale. Solo con il sacco di Roma dei Lanzichenecchi (1527), il diffondersi del movimento protestante anche in molte città italiane, le continue sollecitazioni dell’imperatore Carlo V, che voleva che il papa indicesse un concilio per arrivare ad una rappacificazione con i protestanti, e la grande opera del concilio di Trento (1545-1563), questo gravissimo malcostume cessò. Ma il fatto stesso che siano passati 28 anni dall’inizio della polemica di Lutero contro le indulgenze e il papato  all’apertura del concilio fa capire come si vivesse alla corte pontificia.

Con il concilio di Trento la vita della Curia romana cambiò radicalmente. Ma nei secoli successivi con l’affermazione di forti stati cattolici, come la Francia, la Spagna e l’impero asburgico, si affermò una prassi secondo la quale ai sovrani degli stati suddetti fu riconosciuto il diritto di esclusiva, cioè di escludere l’elezione di vari cardinali, anche di molti contemporaneamente, non graditi anche ad uno solo di quei sovrani. Così i sovrani condizionavano l’elezione del papa. E’ poi noto che fino all’inizio del secolo XX gli stessi stati cattolici, perduto il diritto di esclusiva di più cardinali insieme, avevano di fatto acquisito il diritto di escluderne uno dalla elezione al papato. Così nel 1903, per volere dell’imperatore d’ Austria, non poté essere eletto il cardinal Rampolla, grande Segretario di Stato di Leone XIII desiderato come papa dalla maggioranza dei cardinali, e fu eletto il card. Sarto, che prese il nome di Pio X. Su richiesta generale, il papa appena eletto dichiarò ormai del tutto insussistente quel diritto.

Anche da questa brevissima sintesi dei modi di elezione dei papi verificatisi nel corso dei secoli, si vede bene che non esiste, sul metodo di elezione del papa, una prassi continua durante tutta la vita della chiesa, tale da dover essere ancora oggi seguita. Si apre quindi la possibilità di un metodo più corrispondente alla situazione della chiesa del nostro tempo, come sopra abbiamo detto.
Dobbiamo anche tener presente che molti papi negli ultimi anni del loro pontificato si sono talmente indeboliti da non poter più adempiere completamente i loro compiti, sostituiti di fatto dai vertici della Curia romana. Non si capisce quali siano i motivi per  quali la legge delle dimissioni dei vescovi al compimento dei 75 anni non valga anche per i papi, che sono tali solo perché vescovi di Roma. Per cui sarebbe del tutto logico che quella legge fosse obbligante anche per loro, ovviamente sottoposti, come tutti, ad infermità ed invecchiamento.

Finanze della santa sede
Le critiche contro la S. Sede su argomenti di carattere finanziario sono frequenti. Si sente spesso dire che la S. Sede permette allo IOR di fare operazioni non chiare, attività di riciclaggio e così aumentare i propri introiti. Inoltre che abbia introiti cospicui da molte fonti, senza che se ne conosca l’uso. La RAI ha riferito questa affermazione di papa Francesco: “ La Chiesa non è una ONG, è una storia d’amore, e lo IOR è come altri organismi vaticani; sono necessari come aiuto a questa storia d’amore, ma fino ad un certo punto. Quando l’organizzazione prende il primo posto, l’amore viene giù e la Chiesa, poveretta, diventa una ONG, e questa non è la sua strada.” [4] Tutti sappiamo, infatti, che la Chiesa deve essere ben diversa da una ONG. Appare chiaro che papa Francesco voglia realizzare una profonda riforma dello IOR.
Riteniamo pertanto necessario che lo IOR pubblichi integralmente il proprio bilancio, sia orientato alla massima trasparenza e segua non soltanto le normative europee, ma si attenga alle disposizioni delle banche etiche. Queste non finanziano né la malavita, né la produzione di armi, né, in generale, tutto ciò che è contro l’uomo.

Si parla spesso di un immenso patrimonio immobiliare di proprietà della S. Sede, che, dandolo in affitto, ne trarrebbe un guadagno immenso, e che, contrariamente all’insegnamento di Gesù, verrebbe utilizzato soltanto per i sacerdoti e per le diocesi senza dare conforto ai bisognosi di qualsiasi nazionalità. Anche in questo caso è necessaria una gestione trasparente. La maggior parte degli immobili proviene infatti da donazioni lontane nel tempo, ed una rendicontazione puntuale si rivela indispensabile. La stessa necessità di trasparenza richiede una struttura efficiente con ampio uso di uomini e di mezzi.
Nei confronti dell’intera umanità, la S. Sede ha il dovere di conservazione di opere artistiche, sia pittoriche, che scultoree, che architettoniche. Ha anche il dovere di contribuire allo sviluppo della cultura, continuando ad arricchire di volumi e di carte la Biblioteca Apostolica Vaticana e l’Archivio Vaticano. Ciò è collegato alla sua missione religiosa, perché l’arte e la cultura sono fonti di elevazione spirituale. Né possiamo dimenticare che la conservazione artistica e il funzionamento della Biblioteca e dell’Archivio hanno costi elevati, perché richiedono l’opera di persone altamente specializzate.
Tutto questo con azioni che siano insieme ragionevoli e, ancora una volta, trasparenti.

Ma chiediamo anche che la S. Sede studi la possibilità di utilizzare capitali per la vita interna della chiesa, per dare aiuti maggiori di quanto avvenuto fin qui  ai disoccupati, alle famiglie in difficoltà, ai popoli che hanno ancora un tenore di vita bassissimo, che mancano di istituzioni ospedaliere, che non hanno la possibilità finanziaria di acquistare farmaci già usati da  anni dai popoli più ricchi e  soffrono per questi e molti altri problemi. La S. Sede deve farlo secondo le sue reali possibilità, deve chiedere a tutte le diocesi del mondo di fare altrettanto. La Chiesa intera, deve sentirsi animata da quanto diceva Gesù agli apostoli mandati ad invitare gli ebrei alla conversione (Mc. 6,7-9), dall’esempio della chiesa primitiva di Gerusalemme (AA. 2,44-45; 4,34-35), da quanto diceva Gesù al giovane ricco: “Se vuoi essere perfetto, vai, vendi quello che hai, dallo ai poveri ed avrai un tesoro nel cielo; e vieni! Seguimi!” (Mt. 19,16-22).
Non si chiede che tutta la Chiesa faccia ciò che Gesù diceva a quel giovane, ma che cerchi di risparmiare sulle spese che fa per sé, per donare di più ai moltissimi poveri del mondo.

Numero delle diocesi italiane
Ci sembra che il numero delle diocesi italiane (224) sia eccessivo e quindi che sia necessario  ridurlo. Non sembra, infatti, che il clero italiano possa esprimere 224 presbiteri all’altezza dei compiti di un vescovo e quindi che possano esercitarne bene i compiti. Anche molti vescovi che sono stati ottimi parroci, non hanno sempre la statura per essere buoni vescovi, perché il metodo di lavoro di un parroco in una parrocchia è molto diverso da quello di un vescovo in una chiesa particolare. E’ un buon motivo per ridurre il numero delle diocesi.

Che in Italia il numero delle diocesi sia eccessivo si vede anche dalla differenza del numero delle nostre diocesi (224 per circa 57.000.000 di battezzati nella chiesa cattolica) da quello delle diocesi francesi (98 diocesi con 47.000.000 di battezzati cattolici), di quelle polacche (39 su 27.424.000 battezzati), di quelle spagnole (70 su 39.130.000), di quelle tedesche (39 su circa 25.000.000), di quelle degli Stati Uniti di America (154 su 60.000.000 di cattolici), meno numerose di quelle italiane e inoltre disseminate su un territorio di Km.2 9.372.000, grande quanto 30 volte quello italiano, per cui è necessario un numero maggiore di diocesi, perché le parrocchie periferiche non fossero lontane dal centro della diocesi varie centinaia di chilometri).

E’ noto che oggi le curie diocesane devono avere molti esperti nei vari settori della pastorale: educazione e formazione di ragazzi, di adolescenti e di giovani; preparazione di coppie di fidanzati al matrimonio; guide alla lettura della Bibbia; formazione liturgica soprattutto per la Messa; gruppi Caritas; gruppi di contatto e servizio con missionari;  gruppi di persone impegnate nel contatto con gli infermi; formazione di cori  per canti liturgici. Le parrocchie più grandi hanno forse anche altre attività. Le diocesi più piccole non possono avere in curia esperti di tutti questi settori. Lo possono a fatica diocesi di almeno 500.000 abitanti; in parte quelle di almeno 300.000. Ma la situazione è ben diversa, come si vede dall’esempio delle diocesi toscane: Firenze ha 850.000 abitanti; ma poi abbiamo 3 diocesi da 300 a 400.000 abitanti, 3 da 200 a 300.000, 9 da 100 a 200.000, 3 sotto 100.000 abitanti. Si conferma la necessità di accorpare le diocesi al di sotto della cifra suddetta.

Analogamente all’accorpamento delle diocesi appare ormai necessario l’accorpamento delle piccole parrocchie, affidate in numero sempre crescente alla cura pastorale di un solo parroco. La necessità di celebrare più volte la Messa nei giorni di sabato e domenica per soddisfare il desiderio di ogni paesino di avere la Messa nella chiesa della propria parrocchia, o le diverse feste solenni per le varie tradizioni parrocchiali o per il patrono di ciascuna parrocchia, rende da una parte estenuante  la vita del parroco, dall’altra inutile il contentare i pochissimi abitanti, quasi tutti molto anziani, continuando a celebrare messe pochissimo partecipate dagli anziani che assimilano difficilmente le novità, o a mantenere certe tradizioni puramente devozionalistiche, invece di educarli ad una celebrazione consapevole della S. Messa, mettendo insieme gli abitanti delle varie parrocchie ed avendo quindi un numero non elevato, ma significativo di giovani, che potrebbero animare quelle celebrazioni.

Vita dei presbiteri
Da decenni, in ambienti all’inizio numericamente limitati ma poi numerosi, si chiede a gran voce l’abrogazione della legge del celibato dei presbiteri, che non si trova nella Bibbia, non esisteva nei primi secoli di vita della chiesa, non esiste nelle chiese cristiane non cattoliche e, promulgata nel IV secolo nel sinodo della chiesa latina celebrato ad Arles nel 314 e nel concilio ecumenico di Nicea del 325, non è stata e non è osservata nella chiesa greca e poco in quella latina fino al concilio di Trento.  Si ritiene opportuno lasciare questo modo di vivere alla libera scelta di ogni chiamato al presbiterato.
Per i presbiteri che dovessero o scegliessero di rimanere celibi si dovrebbe fare un forte invito ad una vita comune, per evitare il loro isolamento ed anche per dare la possibilità di affidare a ciascuno i compiti pastorali più conosciuti e sperimentati nelle diverse parrocchie, i cui parroci facessero vita comune. Ad esempio formazione biblica, formazione liturgica, attività giovanili, preparazione al matrimonio, cura degli infermi, ecc.

Si decida inoltre di promuovere le donne al diaconato (il concilio Ecumenico di Calcedonia del 451, canone XV, dà norme sulle diaconesse, che quindi esistevano) e al presbiterato. E’ vero che Gesù ha mandato solo uomini a diffondere il suo messaggio, ma non si può però dimenticare che le donne hanno dato un aiuto importante all’opera di Gesù. La Samaritana andò a parlare di Gesù ai suoi conoscenti, che lo invitarono a rimanere con loro per due giorni e credettero in lui (Gv. 4, 28-30. 39-42). Giovanna, moglie di Cusa, Maria Maddalena, Susanna e molte altre  donne di famiglie ricche “li servivano con i loro beni” (Lc, 8, 2-3) probabilmente quando, non lavorando, non avevano da mangiare e permettendo loro di predicare senza  bisogno di lavorare. Durante un banchetto Maria di Betania versò sui capelli di Gesù  un profumo prezioso e costosissimo, rivelando ai presenti la sua fede e il suo amore per lui (Mt. 26, 6-7; Gv. 12,1-8). L’emorroissa dà testimonianza della sua fede in Gesù, che lo testimonia ai molti presenti (Mc. 5 25-34). Marta, che chiede alla sorella Maria di aiutarla a preparare da mangiare per Gesù e gli apostoli, offre a Gesù l’occasione di fare una buona catechesi sul senso della vita (Lc. 10, 38-42). Mentre Gesù era crocifisso c’erano Maria, Madre di Gesù (Gv. 19, 25) ed altre “donne che osservavano da lontano, tra le quali Maria di Magdala, Maria madre di Giacomo il minore e di Ioses, le quali, quando erano in Galilea, lo seguivano e lo servivano. E molte altre che erano salite con lui a Gerusalemme.” (Mc. 15, 40-41). Al sepolcro di Gesù vanno per prime due donne, che vedendo il sepolcro vuoto, temono che sia stato portato via il corpo di Gesù. Ma un angelo le informa della sua resurrezione e le manda ad annunziarla agli apostoli, mentre Gesù va loro incontro e ripete l’incarico dato dall’angelo (Mt. 28, 1- 10; Gv. 20, 11-18).

E’ evidente che l’ordinazione presbiterale delle donne potrebbe essere presa in considerazione non tanto come soluzione alla scarsità dei presbiteri, ma proprio a motivo del rapporto di Gesù, nel modo tutto nuovo nei confronti delle donne e del modo di essere presenti, partecipi e protagoniste nelle comunità apostoliche, soprattutto quelle fondate e seguite da Paolo, che scrive “Non c’è più né giudeo né greco, né schiavo né libero, né uomo né donna, ma tutti siamo uno in Cristo.” (Gal. 3,28-29). Questo non toglie che la loro ordinazione al presbiterato sarebbe anche una buona soluzione dell’attuale grave problema della scarsità di presbiteri. Entrambi questi due motivi fanno pensare che la Chiesa possa accoglierle fra gli ordinati al presbiterato.
Può darsi che Gesù non le abbia mandate a predicare per la posizione delle donne nella società ebraica. Ma le donne hanno dato una testimonianza di fede, che ha certamente aiutato l’opera di Gesù. Oggi abbiamo donne docenti di materie bibliche e/o teologiche; alcune sono chiamate a predicare corsi di esercizi spirituali a laici ed anche a presbiteri; spesso con successo. Più in generale le donne sono presenti in tutti i settori della società attuale e in molte attività della Chiesa. Nelle parrocchie sono molto più presenti le donne degli uomini. Non sarebbe una eccessiva sorpresa vederle come presbiteri nella Chiesa.
Né si può dire che una tradizione continua dagli inizi della vita della Chiesa ad oggi debba non essere modificata promovendo al presbiterato le donne. E’ noto infatti che nei primi decenni della vita della Chiesa cambiano varie cose. Non c’è dubbio che Gesù non abbia parlato della divisione del clero in diaconi, presbiteri e vescovi, che si trova in S. Ignazio di Antiochia al’inizio del II secolo. E’ cambiato il modo di celebrare l’Eucaristia, all’ inizio molto simile all’Ultima Cena (1 Cor. 11, 17-27), ma da metà del secondo secolo  sostanzialmente eguale a quella dei secoli successivi. (Giustino, Prima Apologia, LXVII). Nel corso dei secoli la teologia si sviluppò con grandi risultati, inizialmente non chiaramente percepiti. Il Concilio ecumenico di Nicea del 325 dice che il Figlio è delle stessa sostanza del Padre, ma non lo dice dello Spirito Santo, pur affermando di credere in Lui. Ma alcuni Padri della Chiesa sosterranno, alla metà del 300, che lo Spirito Santo è creatura del Figlio, quindi molto lontano dal Padre. Solo al Concilio Costantinopolitano I del 381, dopo decenni di discussioni, si afferma che lo Spirito Santo è  della stessa sostanza divina del Padre e del Figlio. Si potrebbe continuare ad elencare cambiamenti lungo i tutti i secoli della vita della Chiesa; ma sono cose già ben note. Non si vede il motivo per cui non potrebbe verificarsi anche la novità  della ordinazione al presbiterato delle donne.

Allo stesso modo deve essere fatta una seria considerazione sull’ammissione al presbiterato degli uomini. Premesso che non vediamo come ostacolo alla vocazione presbiterale il sacramento del matrimonio, desideriamo esprimere la nostra preoccupazione circa la formazione dei presbiteri. Gli uomini, giovani e adulti, che vengono ordinati oggi,  spesso hanno ricevuto la formazione in un movimento di forte intensità religioso-devozionale, hanno una spiritualità individualistico-intimista, sussiste in molti una mentalità profana con un alto tasso di ignoranza sul ruolo dei laici nella Chiesa, sul ministero sacro come servizio a tempo pieno e non a orario da impiegati (ferie periodiche, viaggi dispendiosi, abbigliamento più che casual, ecc.).

E’ necessario un ripensamento serio del celibato, reso ancor più difficile  dall’educazione e dal convincimento oggi in atto, almeno nel nostro paese, che il sesso è l’espressione più autentica della persona e che nessuno deve sottrarsi al suo esercizio indipendentemente dalle tendenze del soggetto.
Più semplice ed attualmente strada che riteniamo percorribile, è l’ordinazione al presbiterato di uomini sposati, preferibilmente non sotto i quaranta anni e non oltre i cinquantacinque. Ciò con l’esclusione, in via normale, dell’ordinazione di chi è già diacono permanente. Si costituisca per questo una speciale Commissione a livello centrale ed in sede di Conferenze episcopali. Si convochi una commissione mista (vescovi e laici) in ogni Conferenza per studiare e vagliare il problema e la realizzazione di un cambiamento, non di una novità, che è a tutto vantaggio della Chiesa, soprattutto in quella Chiesa fatta di poveri, di malati, di emigrati, di disoccupati, di carcerati, di disabili, di ragazzi di strada, di analfabeti. Alle Conferenze Episcopali i criteri di discernimento e alle Diocesi una scrupolosa attuazione di essi.

Per quanto detto fin qui, per il grave scandalo dei preti pedofili, per il fatto che molti presbiteri non hanno la necessaria conoscenza della cultura contemporanea, si rende necessaria una profonda revisione dei modi di formazione dei seminari. Senza voler dare un giudizio dei diversi metodi presentati da più parti, riteniamo assolutamente che i metodi oggi generalmente usati siano inefficaci e che non si possa attendere altro tempo ad iniziare una seria riforma del lavoro di formazione spirituale e culturale dei presbiteri. Naturalmente ci saranno da studiare i metodi di formazione delle donne, qualora si accetti la loro preparazione alla ordinazione presbiterale.

Passando ad un altro problema si nota che molti titoli onorifici venuti dal passato danno a molte persone di oggi la sensazione che anche i membri del clero desiderino di avere il titolo più importante possibile. Ci sembra utile, per dare una testimonianza di umiltà e di fraternità fra tutti gli ordinati,  abolire gli attuali titoli di monsignore, proposto, decano, arciprete, canonico, vescovo, arcivescovo, eccellenza, cardinale, eminenza, santità ed altri. Tutto il clero è al servizio del Popolo di Dio. Si stabilisca che a tutti i membri del clero si dica semplicemente “padre”.  Può rimanere il “don”, che distingue il presbitero e il vescovo dal laico.
Tutti i membri del clero diano la testimonianza della povertà, nel modo di vestire, di viaggiare, di arredare la propria casa, di fare le vacanze e così via. Anche i vescovi e i papi  viaggino con mezzi pubblici, o con macchine di piccola, o al massimo di media cilindrata. Le vesti liturgiche siano sempre sobrie. Le chiese abbiano solo il necessario.

Laici corresponsabili della pastorale
Si chiede frequentemente che i laici abbiano il ruolo di corresponsabili nel lavoro pastorale. Il termine corresponsabile è ambiguo. A volte è inteso nel senso che nei consigli pastorali parrocchiali il voto dei laici abbia lo stesso peso di quello del parroco, per cui se il consiglio si divide su una decisione da prendere, si debba realizzare quella che ha più voti, anche se il parroco è con la minoranza. Lo stesso si pensa per i consigli diocesani nei confronti del vescovo. Questo è in contrasto con quanto si legge nel Nuovo Testamento, soprattutto nelle lettere pastorali di San Paolo. E’ poi contrario agli scritti dei Padri apostolici, in particolare alle lettere di S. Ignazio di Antiochia, e con tutta la prassi della Chiesa nei secoli seguenti, quando il vescovo era il padre dei cristiani della sua chiesa.

Ma il termine in questione deve ed è inteso anche nel senso, ben evidenziato dal Vaticano II, della partecipazione dei laici a tutta la vita della Chiesa (L. G. 10-12; A.A.), naturalmente sotto la guida dei vescovi e, nelle parrocchie, dei parroci. E’ noto che tutti i cristiani sono uniti a Gesù Cristo, partecipano al suo sacerdozio, anche se non come i presbiteri,  devono portare nel mondo il vangelo con la testimonianza della vita, con il dialogo, con la partecipazione attiva alla vita della comunità cristiana. Possono diventare la guida di un settore della parrocchia con l’approvazione del parroco.

Ci sembra inoltre del tutto necessaria una intensa divulgazione del canone 212 comma 3 del CJC, per ora, almeno nella nostra diocesi, poco conosciuto da gran parte dei presbiteri e dei laici.  E’ il comma già citato. Nella nostra società ci sono persone cresciute lontane dalla chiesa, che in gran parte, ricevuta la prima Comunione, non hanno partecipato più alla vita delle parrocchie, ritenendola inutile. Ma non hanno del tutto dimenticato l’esempio di Gesù Cristo. Si sono fatte in buona fede un loro modo di vivere da cristiani, ed hanno bisogno non di condanne ma di aiuto a conoscere meglio il Vangelo. Solo amici, colleghi di lavoro, conoscenti che vivano da veri cristiani  possono parlare loro della  autentica vita evangelica o consigliare al clero come iniziare con loro un dialogo. Ma sembra che questo non si realizzi a sufficienza. Riteniamo quindi necessario che la S. Sede ricordi ai vescovi, e questi ai presbiteri, il dovere di rendere ampiamente noto quel comma e di invitare i cristiani più impegnati a cercare un dialogo con queste persone.

Oltre a questo oggi, data la scarsità di presbiteri, l’attività dei laici all’interno delle parrocchie sarà molto più utile di quando il clero era sovrabbondante. Sarà quindi sempre più necessario ed utile che il clero affidi ai laici il compito di realizzare alcune attività che il clero non può adempiere. Si può anche realizzare che ci sia un laico come guida di alcuni aspetti della vita delle parrocchie che abbiano un parroco anziano. Naturalmente il parroco o il vescovo  incaricheranno i laici di fare questi servizi.

Sarebbe poi utilissima una legge che imponesse ai parroci di affidare tutto il lavoro amministrativo, compresa la pubblicazione del bilancio annuale della parrocchia, a dei laici competenti e di fortissima moralità, sia per alleggerire il lavoro dei parroci, che potrebbero impegnarsi di più in compiti esclusivamente pastorali, sia perché i laici si sentissero parte integrante della comunità. Sarebbe poi molto bene che gli introiti della parrocchia fossero sempre utilizzati secondo lo spirito del Vangelo e che se ne pubblicasse annualmente il bilancio.

A queste condizioni laici corresponsabili, sono utilissimi. In questo senso la corresponsabilità dei laici, quindi, deve essere non solo tollerata, ma promossa.

Iniziazione cristiana
E’ evidente che una autentica scelta di fede non è possibile prima di aver raggiunto una vera maturità umana. Per questo è giusto che non si riceva il battesimo da bambini, ma che lo si chieda  per libera scelta personale da adulti. Si constata che molti genitori che portano i figli al battesimo e successivamente al catechismo parrocchiale, non educano i figli in modo cristiano, perché non hanno la fede in Cristo. Lo si capisce dal fatto che molti ragazzi, dopo che hanno ricevuto la cresima e la prima comunione, non si vedono più in parrocchia. Molti genitori non hanno una idea chiara di cosa significhi credere in Gesù Cristo. Ritengono che per essere cristiani basti aver ricevuto il battesimo. Quando i figli hanno ricevuto la cresima e la prima comunione smettono di portarli in chiesa, perché essi per primi non la frequentano.

8In questa situazione anche il catechismo parrocchiale fatto nel modo migliore a ragazzi di 8-12 anni non dà risultati, perché l’influenza del modo di vivere dei genitori è molto più forte di quella del/la catechista. I ragazzi, almeno fino a 11-12 anni, imparano a vivere dai genitori, molti dei quali oggi non sono credenti. Appena arrivano a circa 13 anni smettono di venire in chiesa. Il motivo è chiaro. Vedono che in chiesa ci sono solo bambini e anziani. Facilmente si convincono che andare alla messa, o in parrocchia, sono modi di fare dei bambini e dei vecchi. A circa 13 anni pensano di non essere né bambini né vecchi. Per questo, come i genitori affermano di essere cristiani per il solo fatto di essere battezzati, così anche i figli da adulti diranno di essere cristiani perché sono battezzati. E quindi non si porranno alcun problema di fede.

Sembra quindi ormai giunto il momento di amministrare il battesimo, secondo la prassi antica, solo a persone adulte, in  grado di scegliere una vita veramente cristiana. Si può  sperare  che questo cambiamento, che sarà certamente notato, e la testimonianza della vita di persone  che da adulti chiedono e ricevono il battesimo, pochi ma evidentemente molto convinti, pongano a persone più riflessive il problema della fede.

Rapporti con la politica
Dopo la seconda guerra mondiale la Chiesa italiana è stata molto spesso in rapporto con partiti politici. All’inizio molto unita alla DC per una lotta comune contro il PCI. Successivamente con la destra, sempre per la lotta contro il comunismo, e per la richiesta di leggi che si ispirino alla morale della Chiesa. Recentemente si è mostrata vicina a Monti, appena questi ha manifestato la sua intenzione di entrare in politica in occasione delle vicine elezioni. Questo ha scatenato molte critiche da parte di molti ambienti italiani, a tutto danno della possibilità di dialogo per l’ annuncio del Vangelo.

Pur instaurando una possibile collaborazione con lo Stato nel promuovere l’educazione dei giovani ad autentici valori umani, la Chiesa eviti di chiedere o dare appoggi di qualunque genere a partiti politici, per cercare e ricevere vantaggi economici o di altro genere. E’ pure necessario che la Chiesa rispetti la libertà di scelta politica di tutti i cittadini. Il Signore Gesù ha detto che il suo regno non è di questo mondo. La Chiesa, quindi, deve lavorare per il Regno di Dio pur potendo dare un apporto per la formazione di una coscienza retta dei cittadini circa i loro doveri nella vita dello stato. Assolutamente non deve far propaganda per un partito politico.

Inoltre si eviti di chiedere leggi statali che rendano obbligatoria a tutti i cittadini l’osservanza di leggi morali della Chiesa. Ha poco valore che si eviti un peccato perché è lo stato che lo proibisce e che potrebbe inquisire chi non osservasse quella legge. Il cristiano deve fare le sue scelte in campo morale secondo ciò che dice il vangelo e perché è Gesù Cristo che lo chiede.

Conclusione
Gli estensori di queste richieste sono consapevoli di non essere né biblisti, né teologi, né canonisti, né storici della Chiesa. Non siamo persone di eccelsa cultura. Non siamo vescovi, né membri della Curia diocesana. Siamo tre parroci di alcune parrocchie lucchesi della Versilia ed un laico. Hanno poi aderito alle nostre richieste laici di varie parrocchie della Versilia. Sentiamo continuamente critiche sul modo attuale di vivere della Chiesa, espresse sia da non credenti che da credenti, e ne condividiamo alcune. Per questo, per il bene della Chiesa e per seguire la nostra coscienza, chiediamo che chi ha il potere e il dovere di guidare il popolo cristiano sulla via che porta a Dio rifletta su tutte le richieste di riforme che si levano, in Italia ed in altri stati, da gruppi di teologi, di presbiteri, di laici, ed anche dal nostro gruppo, tutti figli di Dio, nostro Padre.

Ci impegniamo a pregare perché lo Spirito Santo illumini le nostre menti e quelle del nuovo vescovo di Roma e della Curia romana, di tutti i vescovi, dei loro collaboratori, affinché ci guidino sulle vie di Dio per la realizzazione del suo progetto di salvezza, nato dall’amore infinito che il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo nutrono, da sempre e per sempre, per l’umanità intera.

Quanto è stato scritto è stato approvato dagli aderenti alle nostre richieste, tutti, con poche eccezioni, di alcune parrocchie di Viareggio e della parte lucchese della Versilia.

Note
[1] Queste richieste di riforme sono state compilate da don B. Frediani, don L. Lenzi, dott. P. Sordi, don A. Tigli, per esprimere ciò che pensano tanti veri credenti in Cristo.
[2] Histoire du Christianisme, t. V, sous la résponsabilité de A. Vauchez, Decléè 1993, 233.
[3] L’elezione di Giulio II fu pubblicata prima che i cardinali lo eleggessero e fu da molti ritenuta simoniaca. (A. Piazzoni, Storia delle elezioni pontificie, Piemme Casale Monferrato 2003,191. Inoltre si deve ricordare che Giulio II si occupò quasi esclusivamente di guerre. Il volume di Piazzoni appena citato dà interessanti notizie sulle elezioni dei papi, dal II-III secolo a Giovanni Paolo II.
[4] RAI Televideo, P 143, 24-4-2013

Firmatari
don Lenzo Lenzi, parroco dei Sette Santi alla Darsena di Viareggio
don Antonio Tigli, parroco di don Bosco, Viareggio
don Bruno Frediani, fondatore e presidente del Ce.I.S. Gruppo Giovani e Comunità di Lucca
Pierangelo Sordi

Aderenti
1. M. Menchetti, pensionata – Massarosa
2. C. Giovannini, impiegata – Lido di Camaiore
3. R. Pieraccini, architetto – Viareggio
4. S. Clodiani insegnante – Viareggio
5. S. Vitelli, medico – Viareggio
6. L. Gazzeri, avvocato – Viareggio
7. R. Rocchini, pensionata – Viareggio
8. G. Bonuccelli, professoressa – Viareggio
9. G. Giunta, pensionata  – Viareggio
10. R. Gori, pensionato – Viareggio
11. R. Musetti, pensionato – Viareggio
12. G. Nobile, pensionato – Camaiore
13. E. Baccelli, medico – Viareggio
14. A. Tomei ,pensionato – Viareggio
15. S. Belli, artigiano – Viareggio
16. M.L. Benetti, pensionata – Viareggio
17. R. Baldi, pensionato – Viareggio
18. S. Biancalana, pensionata -Viareggio
19. S. Bartelloni, commercialista – Viareggio
20. L. Bartelloni, impiegato – Viareggio
21. L. Paolinelli, commessa – Viareggio
22. S. Orlandi, pensionato – Viareggio
23. F. Bernardini, pensionata – Viareggio
24. A. Sesti, casalinga – Viareggio
25. M. Pardini, medico – Viareggio
26. T. Dettori, pensionato – Camaiore
27. B. Casavola, militare – Viareggio
28. M. Biagi, pensionata – Viareggio
29. M. Vallini, pensionata – Viareggio
30. M. G. Vannucci, pensionata – Viareggio
31. A. Zollino, pensionata – Viareggio

32. R. Vannucci, pensionata – Viareggio

33. G. Baldini, pensionato – Viareggio

34. G. Cecchini, pensionata – Viareggio

35. E. Mazzetti, impiegata – Prato

36. C. Musumeci, impiegato – Prato

37. W. Ghilarducci, commerciante – Viareggio

38. M. Ferrari, casalinga – Viareggio

39. L. Deni, studentessa – Viareggio

40. G. Esposito, pensionata – Viareggio

41. L. Benassi, casalinga – Viareggio

42. S. Neri, casalinga – Viareggio

43. B. Cinquini, pensionato – Viareggio

44. L. Tanganelli, medico – Viareggio

45. O. Belli, architetto – Viareggio

46. G. Puccinelli, imprenditore – Viareggio

47. A. D’Angelo, pensionato – Viareggio

48. M. Palestini, disegnatore – Viareggio

49. A. Cinquini, casalinga – Viareggio

50. A. Pucci, casalinga – Viareggio

51. S. Porpora, commessa – Viareggio

52. MT. Santirocca, casalinga – Viareggio

53. MC. Pardini , casalinga – Viareggio

54. A. Pardini, ragioniere – Viareggio

55. A. Del Dotto, casalinga – Viareggio

56. Sh. O’ Connor, insegnante univ. – Viareggio

57. MG. De Ciechi, architetto – Massarosa

58. L. Calbini, casalinga – Viareggio

59. MG. Giunta, casalinga – Viareggio

60. A. Salvati, medico – Viareggio

61. S. Tessieri, direttrice museo – Viareggio

62. G. La Rocca, docente universit. – Pisa

63. G. Bertolli, casalinga – Viareggio

64. D. Dinelli, pubblicista – Viareggio

65. S. Lippi, pensionato – Viareggio

66. A. Salarpi, impiegato – Viareggio

67. M. Pellegrini, geologo – Camaiore

68. M. Piroli, ingegnere – Camaiore

69. R. Tintori, informatico – Camaiore

70. L. Barsotti, impiegato – Massarosa

71. P. Balestracci, insegnante – Viareggio

72. F. Paterni, odontoiatra – Viareggio

73. R. Sordi, giornalista e pubblicista – Viareggio

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