A QUALE CRISTIANESIMO
PENSA IL POST-TEISMO?
Paolo Cugini
Che cristianesimo ci consegna il post-teismo? Nella sua versione più radicale, come quella di Spong, Lenaers e Vigil, non siamo più dinnanzi al cristianesimo, ma ad un’altra prospettiva spirituale. Se si tolgono i cardini del cristianesimo, come l’incarnazione, la rivelazione e la resurrezione, non rimane più nulla di quel percorso e se ne apre un altro.
Che Gesù ci consegna il post-teismo? Sicuramente non quello in cui crediamo, ma un personaggio che ha poco a che fare con i vangeli e con la riflessione della prima comunità cristiana. Il post-teismo sta rileggendo i contenuti del cristianesimo considerandoli interpretazioni teiste e, in questo modo, si sente autorizzato a riscrivere la storia, a reinventarla. Colpisce la leggerezza di questa operazione storiografica. Non c’è alcun tipo di dialogo con la tradizione cristiana, ma solo giudizi impietosi e prese di posizione apodittiche.
Se è vero che la riflessione dei Padri della Chiesa e dei primi concili ecumenici, che sono giunti alle prime formulazioni dei contenuti della novità di Cristo, erano dominati dal pensiero metafisico sia di tipo platonico che neoplatonico, e che oggi siamo convinti che si possano narrare le novità del Mistero manifestato da Gesù in modi diversi e facendo riferimento a griglie concettuali diverse, è altrettanto vero, a mio avviso, che non tutto il materiale prodotto in questa prima fase della storia del cristianesimo debba essere gettata nel cestino della spazzatura, come fanno Spong, Lenaers, Vigil e Arregi.
Ridire in modo nuovo i contenuti del Mistero manifestato da Gesù Cristo, non può voler dire fare tabula rasa dei contenuti elaborati in venti secoli: mi sembra un’operazione intellettualmente eccessiva e poco attinente alla Realtà che s’intende conoscere. Basterebbe utilizzare gli strumenti che l’ermeneutica sia biblica che filosofica offrono per iniziare un serio lavoro euristico dei contenuti in questione. Molto belle e profonde sono le pagine che i suddetti autori e anche altri, offrono per descrivere nuovi cammini di spiritualità, che manifesta un’attenzione per certi versi nuova nei confronti del cosmo, della natura considerata nella prospettiva aperta dalle neuroscienze, dalla biologia e dalla fisica, che mostrano l’interrelazione di tutti gli elementi della realtà. Sempre in questa prospettiva spirituale, anche l’attenzione al genere acquista nuovi e più profondi significati.
Una revisione acritica e superficiale
Sul tema, comunque, dell’identità del cristianesimo possiamo tranquillamente dire che la posizione radicale del post-teismo chiude una pagina e ne apre un’altra e, aggiungerei, senza farsi troppi problemi. Si percepisce la sensazione di avere fretta di chiudere quello che, a loro modo di vedere e pensare, sembra un triste capitolo nella storia delle religioni. Su questo specifico punto mi dissocio e prendo le distanze.
L’operazione di revisione storica operata da questi autori del post-teismo sulle definizioni dogmatiche dei primi secoli del cristianesimo è acritica, superficiale e piena di pregiudizi. Dal punto di vista della storia del pensiero teologico, i dogmi non sono formulazioni imposte da qualcuno, ma sono frutto di una lunga elaborazione. Non a caso, in campo teologico si parla di evoluzione del dogma.
Strappare una pagina significativa della storia del cristianesimo per il semplice fatto che il contenuto non corrisponde a quello che oggi si capisce dell’oggetto in questione, è senza dubbio un’operazione culturale scriteriata. Basterebbe far ricorso all’ermeneutica, all’analisi filologica, tra le altre possibilità che la ricerca euristica seria propone. Le riflessioni nette e radicali, oltre ad avere una parvenza di dittatura del pensiero unico, non permettono ai fedeli della religione sotto esame, di accompagnare l’evoluzione proposta creando, invece, confusione e perplessità.
All’origine della visione dualistica
A causa della scarsità del materiale documentario a disposizione, la ricerca storica e antropologica non può che procedere per supposizioni quando analizza eventi che risalgono a migliaia di anni prima di Cristo. Questa analisi storica, altamente suggestiva della nascita del Teismo, proprio per questi motivi, presta il lato a numerose critiche.
La più importante è sul livello di contaminazione così profondo ed estesa generato dal paradigma dualista, la cui veridicità dell’origine è tutta da dimostrare e, a mio avviso, presenta molte difficoltà dal punto di vista storico ed epistemologico. Con gli scarsissimi mezzi di comunicazione presenti al tempo del calcolitico [termine che indica la preistorica età del rame, ndr], è molto improbabile un livello di contaminazione così radicale ed estesa da giungere a strutturare un paradigma.
Solo per fare un esempio. Lo studioso di filosofia antica Giovanni Reale[1] ha dimostrato che il primo contatto e, dunque, la prima vera contaminazione tra la cultura greca e quella semitica avviene solamente verso il III secolo a.C., a causa della presenza di una comunità israelita installata da qualche generazione ad Alessandria d’Egitto.
Se due popoli relativamente prossimi come sono Egitto e Israele giungono a contaminarsi culturalmente solamente verso il III secolo a.C. è abbastanza improbabile pensare a ad una contaminazione culturale e, soprattutto, religiosa che avrebbe attinto tutti i popoli allora conosciuti. In campo epistemologico, seguire l’entusiasmo per un’intuizione emersa e che ha la parvenza della veridicità, gioca brutti scherzi. Oltre a questo, la concezione duale della realtà, quella che ha poi condizionato il pensiero occidentale, non deriva dai popoli Kurgan, ma sorge in Grecia nel V secolo a.C., molto dopo quindi del calcolitico, per opera di Platone.
Senza nulla togliere alla veridicità del modello duale dei popoli Kurgan, dal punto di vista storiografico, non è quel tipo di dualismo che influenzerà la cultura occidentale. Senza dubbio, la concezione astronomica che vede cielo e terra contrapposti risale ad epoche anteriori. In ogni modo, la concezione duale che ha contribuito a strutturare quel paradigma culturale che ha segnato l’occidente e a cui gli autori del post-teismo fanno riferimento, è di natura filosofica.
È stato Platone, infatti, ad ipotizzare il mondo delle idee per cercare di risolvere il problema che il breve percorso filosofico giunto ai suoi giorni, stava affrontando, vale a dire, la relazione tra la realtà in movimento, così come l’aveva descritta Eraclito e l’immutabilità dell’essere di Parmenide. È da questo tipo di dualismo che, secondo Reale, si ha l’inizio al pensiero metafisico, che sarà in grado di elaborare il dualismo antropologico di anima e corpo.
Riportare ordine all’analisi storica proposta da pensatori post-teisti è di fondamentale importanza, perché permette di vedere il problema del sorgere del teismo in modo diverso e, offrire, in questo modo, risposte diverse. Il dualismo di tipo astronomico che condizionerà tutto il pensiero occidentale, non è infatti, quello fatto emergere dalle incursioni dei popoli Kurgan, bensì quello elaborato da Aristotele, discepolo di Platone, che probabilmente non aveva nemmeno mai sentito parlare delle suddette invasioni.
La scomparsa dell’idea di rivelazione
Ultimo dato sul quale mi sembra importante provocare una riflessione, riguarda la conclusione che i teologi del post-teismo arrivano a formulare dopo aver tolto di mezzo il dualismo astronomico. Togliendo il cielo come dimora di Theos, perché dovrebbe sparire anche l’idea di rivelazione? Ammettere che lo Spirito del mondo, la Realtà, il Mistero – sono alcuni dei nomi che vengono utilizzati per dire Dio – è immanente, all’interno della storia, non significa che non possa portare e manifestare contenuti qualitativamente diversi dai dati materiali. Questa mia perplessità è legata anche alla constatazione che nessuno degli autori del post-teismo cita il contributo della fenomenologia della religione e pochissimo l’ermeneutica filosofica.
Se possiamo concordare sul fatto che il pensiero post-cristiano e post-teista sia post metafisico, non per questo bisogna togliere di mezzo nell’analisi della realtà il contributo di alcune correnti filosofiche che si muovono proprio sul piano dell’immanenza. Basterebbe sfogliare l’ultima opera del pensatore francese Jean Luc Marion[2] per rendersi conto dell’enorme possibilità di dire il Mistero in modo nuovo e con modalità nuove, che la fenomenologia della religione è in grado di apportare.
L’idea di rivelazione, caratteristica di ogni religione, manifesta l’idea che non tutto della realtà può essere descritto con espressioni logico-matematiche e colto dalla dimensione razionale. Già Schelling diceva che: “se la rivelazione contenesse unicamente ciò che è nella ragione, essa non avrebbe alcun interesse, il suo specifico interesse può veramente consistere solo nella circostanza che essa contenga qualcosa che va oltre la ragione, che è più di ciò che la ragione contiene”[3].
Dire che la rivelazione contiene un “oltre” non significa attivare il cielo, o l’aldilà. La rivelazione, come indica il nome, si gioca nella fenomenicità, che pertanto offre il punto di vista privilegiato per descriverla e riceverla. “I fenomeni della rivelazione – afferma Marion – modificano le regole della fenomenicità secondo le loro particolari esigenze, contributo contro ogni riduzionismo, anche quello della fenomenologia”[4].
Il “fenomeno saturo” di Marion
Nel suo lungo lavoro di fenomenologo Marion ha individuato un tipo di fenomeno che presenta caratteristiche che meritano tutta la nostra attenzione. Si tratta del fenomeno saturo, che consente di ricondurre l’io a se stesso, contraddicendo la sua pretesa di ridurre tutto l’esistente alla propria intuizione, in quanto: “la saturazione dell’intuizione ricorda a quest’ultima la sua assoluta parzialità rispetto all’infinitezza della donazione”[5]
Questo tipo di fenomeno ci ricorda, dunque, che non tutto può essere totalmente riconducibile all’io, perché l’io percepisce nel fenomeno saturo la provenienza da altrove. Sarebbe interessante seguire questa pista per confrontare queste analisi con i risultati della fisica quantistica, sulla possibilità della conoscenza di un mondo esteriore indipendente dalla coscienza, come sostiene il fisico e matematico americano Wolfgang Smith[6].
In questa fase di passaggio è di fondamentale importanza mantenere aperto il dialogo e non chiuderlo con affermazioni apodittiche. È nel rispetto dei cammini e delle specifiche competenze che diviene possibile costruire un percorso capace di offrire risposte significative alle grandi domande che il passaggio epocale che stiamo vivendo sta ponendo alle nostre coscienze.
Paolo Cugini
Docente di filosofia e teologia nella Facoltà Cattolica dell’Amazzonia (Manaus-Brasile)
– – – Note – – – – – – –
[1] Reale, G, Storia della filosofia greca e romana, Milano: Bompiani, 2018.
[2] Marion, J. L. Da altrove, La rivelazione. Contributo di una storia critica e a un concetto fenomenico di rivelazione, Roma: Inschibboleth, 2022.
[3] Citato in: Marion, J.L. Da altrove, La rivelazione. Cit. p. 82
[4] Ivi, p. 95.
[5] Marion, J.L. Il visibile e il rivelato. Milano: Jaca Book, 2007, p. 62.
[6] Wolfgang, S. Cosmos E Transcendência: Rompendo A Barreira Da Crença Cientificista, San Paolo: Vide, 2019.
Articoli correlati presenti nel sito:
Sergio Paronetto, Post-teismo: Dio non è la risposta è la domanda
Enrico Peyretti, A proposito del post-teismo
Raniero La Valle, Un dio del passato o sempre contemporaneo nella storia?
[Pubblicato l’21.8.2023]
[L’immagine che correda l’articolo è ripresa dal sito: www.stilearte.it]
Caro Prof Cugini,
Rispondo alle sue precisazioni. Quando Lei afferma “Lo dice Reale che la metafisica l’ha inventata Platone e non Parmenide” orbene … lo dice REALE. Ma Reale intende la metafisica come “seconda navigazione” cioè risoluzione dell’aporia che il fondamento dei fenomeni sia “un” fenomeno o “la” totalità dei fenomeni. Tesi questa “di Reale” è nient’affatto condivisa da studiosi di metafisica (per esempio Bontadini e altri). Metafisica si dà in virtù del riferimento alla “totalità dell’essere”. Tra Ontologia e Metafisica non c’è separazione ma la seconda è una particolare modulazione della prima. Reale parte dal presupposto che filosofia abbia avuto origine in Grecia in virtù dei tre presupposti: 1. Metodo è il Logos (invece che Mythos); 2. Oggetto è la Totalità dell’Essere fondata attraverso la “seconda navigazione”. La filosofia indiana allora? Per Reale era ancora religione e non teoresi.
Detto questo parlare di pensiero “post-metafisico” è ambiguo. Se con metafisica si intende la fondazione degli enti nella trascendenza dell’Essere allora anch’io rifiuto la metafisica, ma se metafisica è “ontologia”, “pensiero sul fondamento ultimo dell’essere” allora ritengo e cerco di esserlo…. metafisico. Per quanto riguarda Jean Luc Marion…. anche lui è metafisico in questo senso cioè l’apparire dei fenomeni è rivelativo cioè mostrativo dell’aletheia, che è più che essere o aldilà dell’essere. Ed è questo “più” che traspare appunto nel fenomeno saturo.
Gentile Prof. Cugini, la ringrazio del suo commento sul post-teismo. La mia vuole essere una breve risposta. Avrò – spero – modo di elaborare una più diffusa risposta in un altro momento. Le comunico che condivido alcuni dei suoi rilievi. Il post-teismo è un termine generico e con varie articolazioni e tendenze. Non parlo di altri post-teisti, parlo per me. Ho l’impressione che non abbia avuto tempo di leggere il mio recente libro Deus DuepuntoZero. La sua “accusa” rivolta al post-teismo di aver rifiutato la metafisica, lo studio dell’esegesi e della scienza la ritengo “generica” e “superficiale”. Nelle 500 pagine e più del mio testo troverà modo di rettificare questo suo giudizio. Come ho detto: parlo del “mio” post-teismo rivisitato da quello che chiamo “Monismo relativo”. È stato ed è mio interesse “ponti-ficare” nel senso etimologico del termine: creare ponti tra mistica e metafisica, tra filosofia e scienza, tra passato e presente, tra teismo e post-teismo. Per questo sono stato criticato da destra (cattolici tradizionali) come da sinistra (cattolici progressisti). Ma non mi importa. A me è importante cercare la verità. Vorrei fare un appunto in merito a Giovanni Reale… mio professore di filosofia alla Cattolica. La famosa “seconda navigazione” di Platone… La “metafisica” non inaugura la “dualità” ma articola il mito (cf orfismo) e lo orienta verso il logos. La dualità è presente già nel pensiero simbolico, nelle rappresentazioni simboliche, nei riti simbolici precedenti il V sec. Ciò significa che il teismo non inizia con Platone ma gli precede dal punto di vista della coscienza simbolica.
Per quanto riguarda la fenomenologia e l’idea della rivelazione pienamente in sintonia con quanto lei dice. Ma cosa è il fenomeno “saturo” se non la dimensione della trascendenza (l’Oltre) che si relaziona e quindi “appare”? Ebbene se cerca nel mio testo – come ho detto non parlo per altri – troverà che continuamente parlo della “TEOFANIA” del cosmo cioè apparire del divino che è per sua natura “oltre” choristòs (differente) ma relato, quindi non-separato (non-duale). E qui abbondano i miei riferimenti a Cusano… Si ricordi che la collana della Gabrielli sulle religioni è intitolata “Oltre …le religioni”. Come dicevo non entro in dettagli: per questo il meraviglioso articolo di Beatrice Iacopini sul Post-teismo farebbe bene leggerlo. Concludo dicendo che si dice post-teismo in vari modi. La mia proposta è uno dei vari modi e come tale “non” mi riconosco in quanto lei dice del post-teismo.
Carissimo Paolo,
Concordo con te che ci sono attualmente vari post-teismi. L’ho anche scritto in un recente articolo che dovrebbe uscire in portoghese sulla rivista REB. Nel mio articolo pubblicato da Viandanti faccio riferimento al post-teismo e ho citato i nomi di Spong, Arregi e Vigil. Non ho messo il tuo nome, non perché non ho letto il tuo saggio – in realtà è stato il primo della collana curata da Gabrielli sul tema che ho letto – semplicemente perché ho capito che il tuo post-teismo entra in un dialogo profondo con il teismo. Le brevi riflessioni pubblicate da viandanti sono la conclusione del saggio che citavo sopra. Ho sentito la necessità di scrivere alcune riflessioni critiche perché ho percepito il disagio che alcune idee dei post-teisti radicali stanno suscitando tra tanti credenti. Il mio dialogo, dunque, è con loro e confermo tutto ciò che ho scritto. Su Giovanni Reale, anche se è stato un tuo professore, se rileggi i primi due volumi della storia della filosofia antica, troverai esattamente quello che ho scritto. Lo dice Reale che la metafisica l’ha inventata Platone e non Parmenide, cercando di sistemare i due problemi presenti nella filosofia del tempo: il movimento di Eraclito e l’essere di Parmenide. È una materia che insegno da parecchio tempo e quelle pagine le ho lette e rilette. Io concordo con un pensiero post-cristiano che sia anche post-metafisico, come sostiene Jean Luc Marion. Le pagine del tuo libro presentano un’analisi attenta e profonda del contributo del pensiero cristiano sui temi in questione. Se devo fare una critica è che mi sei sembrato ancora troppo metafisico. Comunque, tanto di cappello per il tuo lavoro. Se cerchiamo la verità dobbiamo stare attenti a non distruggere i cammini di coloro che sono sulla strada, ma di offrire con delicatezza strumenti ermeneutici capaci di facilitare il cammino e non di farli cadere. Nel mio breve saggio critico non ti ho citato proprio perché nell’analisi che proponi sul post-teismo fai quel lavoro positivo che ho appena descritto. Nel saggio in portoghese che spero esca presto, ho presentato anche una sintesi del tuo contributo.
Deo gratias.