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don Giuseppe Masseroni

AMICI PRETI, STATE TRA LA GENTE AL MIO FUNERALE

Giuseppe Masseroni

Giancarlo Martini, animatore del Gruppo degli Incontri di “Fine Settimana” aderente alla Rete dei Viandanti, ci ha mandato il testamento spirituale del presbitero al quale erano molto legati con le seguenti parole di accompagnamento:
Giovedì sera, 4 aprile, è morto il nostro patriarca ultranovantenne don Giuseppe Masseroni, che presiedeva le eucaristie della nostra piccola comunità di s. Stefano di Pallanza Verbania (VB), della quale facciamo parte e alla quale abbiamo offerto da sempre il nostro contributo. Proponiamo il testamento spirituale di don Giuseppe, che è stato letto come omelia durante la celebrazione dei funerali. Crediamo che valga la pena leggerlo”.

Anche noi lo riproponiamo in questo tempo in cui si apre la grande settimana, la Settimana Santa che ci porta a rimeditare e a ravvivare la memoria dell’evento centrale della nostra fede: la passione e risurrezione di Cristo. L’evento originario della Chiesa. E proprio della Chiesa, dei presbiteri e della comunità ci parla il testamento spirituale di questo prete.

Sì, vale la pena leggerlo! (V)

*** *** *** 

Desidero che queste parole, scritte oggi 5 luglio 2018 mi pare in situazione ancora discretamente cosciente, siano lette lentamente come riflessione per il mio funerale evitando quel tipo di predicazione che, anche se molto sincera, non arriva al dunque, cioè alla realtà che stiamo vivendo e a quella fede che lentamente cerchiamo tutti di esprimere con le parole e con la vita in un modo semplice e, il più possibile, vero… oppure quel tipo di predicazione che nasconde in una patina religiosa il valore o la chiarezza di un vissuto umano con tutte le sue bellezze e i suoi limiti.

Non sono riuscito a dire bene quello che mi stava a cuore, di cui avrei desiderato tanto parlare, ascoltare, fare esperienze e poi riparlarne e riprovare insieme…

grazie
Chiedo scusa a tutti, in particolare ai miei amici preti quelli che mi conoscono meglio, con i quali ho cercato di condividere il mio piccolo vissuto. A loro un grazie grande… mi hanno accettato, creduto, stimolato, incoraggiato, perdonato, arricchito, mi hanno offerto fraternità per tanti anni…Ma un grazie grande anche a tutte le persone che hanno vissuto insieme, nella piccola cucina… Ci siamo aiutati tanto…

E un grazie grandissimo a tutte le persone incontrate dal 1949 fino ad oggi in particolare quelle di San Bernardino ma anche tutte le altre, comprese quelle del Burundi. Con loro ho vissuto momenti importanti. Devo riconoscere che le persone hanno delle capacità incredibili e sanno voler bene tantissimo, molto di più di quello che appare, e lo offrono anche ai preti… a loro un grazie senza fine.

mi sento anzitutto contadino
Forse, per capire che cosa mi stava a cuore è utile tenere conto che prima di sentirmi prete, ancora oggi, prima mi sento contadino con i calli alle mani, la testa stanca, ma con il desiderio di vedere la realtà come è, con il desiderio di prenderla seriamente, anche la fede… di partire dal vissuto e poi… almeno di poterne parlare…

Quali sono gli aspetti che mi stanno a cuore e dei quali avrei voluto parlare tante volte per fare insieme delle esperienze che si sarebbero arricchite di vita man mano che andavamo facendole, in tanti, in modi diversi ma tutti appassionati?

prendere sul serio l\’eucaristia è prendere sul serio la vita
Mi stava a cuore l\’Eucaristia, sempre, ma in particolare in occasione di un funerale. Mi sembrava l\’occasione concreta per prendere sul serio l\’Eucaristia e prendere sul serio la vita. In quella Eucaristia, in modo particolare, chiedere perdono ha un senso…il perdono il Signore lo offre e noi lo riceviamo (ma non lo si dice mai!)… poi ascoltiamo la Parola di Dio per comprendere la vita, per prendere sul serio la vita, quella umana, quella della persona che ci ha convocati… riconoscere la vita non con la voglia di farla diventare religiosa, ma con la voglia che non sia banalizzata, svalutata… prenderla sul serio perché è una vita salvata…

Le persone che sono in chiesa non sono tutti praticanti anche se quasi tutti sono battezzati e noi quale atteggiamento prendiamo? Rimaniamo ingessati in uno schema abitudinario? Il Signore è presente? Come esprimiamo la sua presenza? Oltre la sua Parola, come “Buona notizia”, ci offre anche il pane della sua vita, è un segno concreto, ci viene offerto, è da prendere in mano…

Perché andiamo avanti come se ci fosse già una tradizione rinunciataria? Noi lo offriamo a tutti, cioè lo diciamo apertamente che il Signore offre la sua presenza, insieme con noi, per quella persona defunta e per tutta la comunità che è venuta a celebrare la sua vita e la sua morte nel segno del pane? oppure scattano tutte le incertezze, le istruzioni, i catechismi, le abitudini che spengono quel momento e noi lo lasciamo spegnere. Perché non prendere sul serio la presenza del Signore e offrire la sua presenza (come lui ci ha raccomandato nella celebrazione).

Il Signore quando incontrava le folle di che cosa si preoccupava? che non andassero a casa con niente, da soli come prima…accettando la morte come fatalità che fa soffrire… La gente non ha bisogno dell\’insegnamento religioso, ha bisogno di una presenza, affettiva, che crede, che ama, che offre, che sa stare insieme.

So quanto i preti siano oberati da impegni di ogni qualità e il tempo per riflettere con calma manca e non abbiamo ancora la lucidità, la passione per far crescere comunità cristiane che l\’Eucaristia abbiano voglia di gestirla, di celebrarla non di subirla… Se fossimo d\’accordo che in queste occasioni c\’è di mezzo la vita, il senso della vita per tutti, se siamo d\’accordo che è un test anche per noi preti, che è un momento nel quale siamo misurati su questi aspetti fondamentali di umanità e la nostra piccola fede è a servizio di questa umanità, se non riusciamo a credere in quella vita che ci sta davanti, le nostre formule religiose che offrono una soluzione rischiano di essere assenti e piano piano abbandonate…

liturgie impoverite di umanità
Missionari dove? Quando? In che modo? se non quando la vita ci interpella direttamente?

Di questo non abbiamo mai parlato nelle riunioni con il clero o con i laici. Questo è l\’aspetto per me più desolante…Tante riunioni, tante riflessioni ma non si arriva mai al dunque. Ma la riforma liturgica non riguarda questi momenti e questi aspetti?

A volte sembra che le imprese funebri siano più innovatrici, preparando luoghi di accoglienza per i defunti e i loro familiari e preparando persone capaci di gestire, a modo loro le cerimonie. Non ci accorgiamo di questo impoverimento di umanità che circola anche nella liturgia? Non possiamo affidarci solo ai libri rinnovati e rimanere in pausa di attesa senza il più piccolo incoraggiamento. Sembra che le comunità cristiane siano ancora in attesa di istruzioni come se la vita non la conoscessero bene e la liturgia non fosse di loro competenza…

Se noi, dopo aver inquadrato il problema, facessimo delle esperienze a quest\’ora avremmo fatto molti passi avanti, avremmo compreso meglio la vita e la morte nel mondo di oggi, avremmo trovato modi di accoglienza, riflessioni, preghiere, gesti con lo stile evangelico, quello stile che si appassiona alla vita e non la subisce.

Questo è l\’aspetto che mi sta tantissimo a cuore soprattutto quando è il funerale di persone che sembrano sprovvedute, spaesate nel linguaggio religioso e lasciano fare senza rendersi conto di quello che cerchiamo di offrire.

“amici preti, state tra la gente al mio funerale”
Supplico i pochi preti che saranno al mio funerale di non mettersi bardati attorno all\’altare come se fossimo una casta. Stiano, vestiti normalmente, insieme con la gente sparsi nei banchi e, al momento della comunione invitino il loro vicino di banco, se non si muovesse, a uscire e fare la comunione dicendogli il motivo importante. È la cosa più semplice e più bella per riconoscere che c\’è un sacerdozio comune.

Perché non dire che il più grande desiderio di don Giuseppe sarebbe che tutti facciano la comunione (aggiungendo almeno un motivo).

Mi piacerebbe che anche il Vescovo, se fosse presente, rimanesse tra i fedeli. È padre e ha dei figli adulti. Qualche volta lasci fare a loro. Ma se presiede lui, almeno (lasci perdere cappelli e bastoni e) trovi un modo per riconoscere bene le persone presenti.

Battesimo: credere nell\’umanità è riconoscere il ruolo
dei genitori e dei presenti
Vorrei ripetere con lo stesso stile, quello che mi sta a cuore moltissimo per il Battesimo. Si celebra ancora il Battesimo lasciando sospesa la faccenda del peccato originale che era la ragione di fondo per celebrarlo. Non è chiarito come, superando quella impostazione, quale ruolo diamo oggi, cosa vorremmo che diventasse la creatura battezzata visto che figli di Dio siamo tutti anche senza il Battesimo.

Il linguaggio è ancora avviluppato confusamente in quelle dimensioni. Il modo offerto ai fedeli per esprimersi offre ancora una stima ufficiale per il diavolo anche se in forma di rinuncia e si propone una dimensione della fede solo religiosa senza la dichiarazione di fede nell\’umanità che è fondamentale perché noi veniamo alla fede mediante Gesù Cristo vero Dio e vero uomo.

La dimensione della fede nell\’umanità riconoscerebbe meglio il ruolo dei genitori, di tutti i parenti, i nonni ecc. L\’umanità oggi ha bisogno, tanto bisogno che ci siano delle persone che ci credano a questa umanità e, per noi, fa parte della nostra fede. Perché non esprimerlo ufficialmente con le persone presenti? Dico queste cose malamente, senza la minima pretesa dottrinale, rimane la concretezza di un contadino ma come avrei desiderato parlare e cercare con entusiasmo piccoli modi per fare meglio. Se facessimo delle esperienze avremmo liberato meglio la dimensione della fede come buona notizia per tutta l\’umanità o ci deve pensare l\’autorità e noi rimaniamo in attesa di che cosa?

gli orientamenti conciliari vissuti da una piccola comunità
Ho vissuto e tanto atteso il Concilio. Ho sognato, desiderato, tentato di fare con tutti i limiti delle esperienze ma voglio ricordare che a Pallanza queste riflessioni e queste esperienze sono state fatte da oltre 50 anni dal tempo di don Giacomini [1] fino ad oggi.

Queste riflessioni mi pare non siano state prese in considerazione come una esperienza che poteva avere un senso da allargare. C\’è ancora oggi un gruppo o meglio una piccola comunità, sostenuta dalla parrocchia, che desidera portare avanti questi orientamenti. A questa comunità devo tanta riconoscenza e credo che saprà continuare con umiltà e con quella voglia di semplicità che ha saputo esprimere in tante esperienze.

Voglio segnalare la rassegna stampa che ogni settimana da anni accompagna la celebrazione dell\’Eucaristia come stimolo e aiuto per appassionarsi alla vita. E\’ uno strumento molto apprezzato anche fuori dalla parrocchia e riconosciuto come un aiuto intelligente e prezioso: è fatto da Mariangela e da Giancarlo.

Esperienze sono fatte nella parrocchia di Renco, a Madonna di Campagna e San Bernardino, a Ghiffa e in tante altre parrocchie ma le esperienze, anche se hanno l\’appoggio di riflessioni fatte da persone competenti non hanno un ruolo comunitario, a volte neppure nella stessa unità pastorale.

Ho, a volte, l\’impressione che la gente vive, pensa, ama, sbaglia, soffre, si muove, spera, cerca, si sposta da una parte all\’altra e i cristiani (la chiesa) è in pausa d\’attesa come se non sapesse cosa fare, come se non avesse passione per la vita di oggi, un po\’ rassegnata nel suo passato che tenta tante volte di rinnovarlo ma, spesso, con lo stesso criterio di prima.

Qualche volta capisco perché si diffondano le sette o i movimenti…perché quando una persona va da loro diventa subito protagonista.

Le esperienze lasciano spazio alle diversità per le quali non siamo abituati…

I cristiani sono capaci di prendere in mano la loro piccola fede, gustarla, sentirla adatta al nostro oggi e metterla a servizio di tutti, con gioia e grande fiducia nella vita.

Ecco, questo mi stava a cuore tantissimo…ho potuto parlarne solo oggi. Vorrei lasciare questo desiderio, questo sogno, nella speranza che sia condiviso da qualcuno.

d. Giuseppe
Don Giuseppe Masseroni (Fontaneto d’Agogna / NO, 19 ottobre 1925 – Intra / VB, 4 aprile 2019), ha ricevuto l’ordinazione presbiterale a Novara il 26 giugno 1949. Dal 1949 al 1957 vicario parrocchiale a s. Stefano di Pallanza. Dal 1957 al 1966 ha guidato la comunità parrocchiale di s. Bernardino, sempre a Pallanza.
Dal 1966 al giugno 1990 è stato parroco di s. Leonardo in Pallanza dove è rimasto come vicario parrocchiale dal 1990 al 2012 e successivamente come residente con incarichi pastorali.
Settant’anni di vita sacerdotale interamente dedicati con grande passione alle comunità parrocchiali di Pallanza. (dal sito ufficiale della Diocesi di Novara)

– – – – – Note
[1] Don Girolamo Giacomini (Ancona, 16 settembre 1913 – Pallanza, 14 luglio 1998). Cenni biografici qui .

3 Commenti su “AMICI PRETI, STATE TRA LA GENTE AL MIO FUNERALE”

  1. Ero come il cieco nato: don Giuseppe più di 40 anni fa mi ha aperto gli occhi e mi ha salvato la vita.

  2. Grazie. Queste riflessioni sulla morte e sulla vita sono ricchissime, anche per me che non ho conosciuto don Giuseppe. Le farò conoscere ad altri perché sono suggerimenti preziosi per questa settimana di morte e Resurrezione

  3. Grazie per queste riflessioni.Mi ha fatto bene meditare su ciò che il padre ha scritto Ancora grazie e uniti in Cristo un fraterno saluto.

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