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San Benedetto porge la sua Regola a san Mauro e ad altri monaci . Miniatura francese da un manoscritto del 1129, St.Gilles.

COME SI DECIDE NELLA CHIESA?

Fulvio De Giorgi 

Come si decide nella Chiesa? Si vota come in Parlamento? I lavori del Sinodo hanno richiamato l’attenzione su un aspetto antico quanto la stessa Comunità ecclesiale. Ma nonostante si tratti di una questione di lunga tradizione, non sempre le idee sono chiare. E si capisce: nei secoli la storia umana ha visto modificarsi i sistemi per le decisioni collettive: sempre meno impositivi da parte di chi detiene più forza e sempre più democratici. Si è visto che invece di spaccare le teste è meglio contarle.

La Regola di san Benedetto
E nella Chiesa? Certo la Chiesa è nella storia umana e accoglie il meglio del progresso umano: ma ha un suo profilo, di comunità religiosa. Merita, dunque, che ci soffermiamo non sulle procedure tecniche e sulle normative giuridiche ma sui principi ideali. Ecco allora che fin dai primi secoli, con la Regola di san Benedetto (scritta nel VI secolo ma impostasi generalmente soprattutto dall’VIII), nelle indicazioni sull’elezione dell’abate – al n. 64 – emerge una visione che poi sarà, dal XII secolo, la via principale per le decisioni ecclesiali: maior et sanior pars, decide la parte maggiore e più saggia della comunità. In un’unica indicazione sono, in realtà, compresi due principi diversi: il principio maggioritario e il principio sanioritario. Nelle decisioni ecclesiali le due parti, idealmente, coincidono: i più saggi sono anche la maggioranza. Ma siccome nella pratica non sempre è così, allora il principio sanioritario integra, conferma e perfeziona quello maggioritario.

Interpretare la voce del Popolo di Dio
Ma cosa si intende con questi due principi, sul piano ecclesiale, che è quello che ora ci interessa (anche in riferimento ai lavori del Sinodo)? Il “principio maggioritario” si riferisce ovviamente ad una decisione che trova l’appoggio del maggior numero dei membri di un consiglio (sia esso un’assemblea comunitaria, un consiglio pastorale, un sinodo, un concilio), ma non significa banalmente che la maggioranza vince. Occorre che l’orientamento maggioritario si formi in un vero spirito ecclesiale e non in uno spirito umano. Ecco perché papa Francesco ha detto ai membri del Sinodo: “il Sinodo non è un parlamento, dove per raggiungere un consenso o un accordo comune si ricorre al negoziato, al patteggiamento o ai compromessi”. Nell’assemblea ecclesiale cioè, tanto più se di Pastori, non si manifestano opinioni collettive, non si formano gruppi strutturati di opinione, correnti organizzate, insomma partiti che ingaggiano un braccio di ferro, contrattano, mirano a spartizioni di potere. Ogni membro è solo davanti alla propria coscienza ed esprime il proprio parere (ed eventualmente il proprio voto) da solo: non in base ai suoi personali convincimenti, non affermando quello che lui pensa o tanto meno quello che è il suo beneficio, ma in base a ciò che, in coscienza, ritiene sia la volontà di Dio, interpretando la voce del suo popolo che lo Spirito gli fa conoscere. È molto diverso.

Recuperare la collegialità
Nell’età moderna, dopo il Concilio di Trento, si è progressivamente affievolito lo stile sinodale e conciliare delle decisioni ecclesiali: i vescovi si vedevano poco, si riunivano non frequentemente (dal XVI secolo si è aspettato il XIX per avere un altro Concilio). Si è così prodotta quella che il beato Rosmini nella sua opera Delle Cinque Piaghe della Santa Chiesa indicava come la “piaga del cuore” e cioè la disunione dei vescovi. Per superarla non c’era che la via della collegialità, della communio hierarchica. L’incontrarsi, il pregare insieme, il dialogo fraterno prevengono la disunione dei vescovi: come si può ben vedere dal lavoro dell’attuale Sinodo. Ma se il male dovesse entrare nel cuore di alcuni e alimentare, pur nella collegialità, uno spirito di fazione che vede gli altri, portatori di altre idee, come eretici, che assolutizza solo il proprio punto di vista e cerca di costituire ‘cordate’ per farlo prevalere?

Il principio della sanior pars
Ecco allora che interviene il “principio sanioritario”. La sanior pars, la parte più saggia, non vuol dire la più saggia secondo il mondo ma secondo Dio: non sono i più intelligenti o i più colti, i grandi teologi o i raffinati canonisti. Sono coloro che lo Spirito ha chiamato ad un ministero di discernimento e di conferma. Nel caso di un Consiglio pastorale diocesano o del Capitolo di una cattedrale la sanior pars è il Vescovo. Nel caso del Sinodo è il Papa. E vuol dire non solo che il papa ha l’ultima parola nel tirare le fila del Sinodo portando a decisioni comuni. Vuol dire, soprattutto, che egli segue i lavori del Sinodo con spirito di discernimento, per ‘sentire’ la voce della sanior pars, che non è la sua, ma che egli distingue: può essere espressa anche da un solo Padre, in assoluta minoranza, ma nelle cui parole il papa sente lo Spirito. Questo è il compito sanioritario del ministero petrino: cum Petro et sub Petro.

Fulvio De Giorgi
Docente di Storia dell’Educazione all’Università di Modena e Reggio Emilia, coordinatore del Gruppo di Riflessione e Proposta di Viandanti.

[Pubblicato il 18 ottobre 2015]

3 Commenti su “COME SI DECIDE NELLA CHIESA?”

  1. Credo che anche questo aspetto stia molto cambiando nella Chiesa, proprio perché la piramide del potere si sta evolvendo col
    mutare dei tempi, specie da quando è caduto il concetto dell’infallibilità papale. E sbaglio pensando che anche qui le cose siano divenute più eque ma molto più complicate? Come del resto sempre avviene nella democrazia…

  2. Grazie all’amico Bert per le osservazioni e per l’accenno rosminiano.
    Sicuramente si può riflettere ancora e avanzare proposte migliori: il punto di partenza può essere il discorso di papa Francesco sulla “chiesa sinodale” (con la ripresa della disponibilità a riconsiderare il ministero petrino in senso ecumenico).
    Faccio però presente che le alternative reali che sono oggi sul tappeto mi sembrano due: la sanior pars è ministeriale (deriva da un ministero, cioè da un servizio dato dallo Spirito), ed è la tesi che ho sostenuto; la sanior pars è magisteriale (deriva da un sapere teologico ‘tecnico’, riconosciuto dalla gerarchia ecclesiastica), ed è la tesi sostenuta da Mueller per cui la Congregazione della Dottrina della fede deve ‘strutturare teologicamente’ perfino il papa, e ovviamente ogni istanza collegiale.
    Faccio ancora notare che, di fatto, la seconda era pure l’impostazione che Giovanni XXIII aveva posto nella convocazione e avvio del Concilio: fu poi rifiutata dalla maggioranza dei vescovi, ma ci sarebbe stata la paralisi del Concilio se Paolo VI non avesse avocato a sé la funzione sanioritaria, togliendola alla Curia, a Ottaviani, al S. Uffizio.
    Del resto la Chiesa cattolica è “cum Petro e sub Petro”: si tratta di capire sempre meglio cosa questo significhi: a servizio dell’unità della Chiesa e non come ostacolo ad essa.
    Sono solo piccole osservazioni, per un tema vastissimo.

    Fulvio De Giorgi

  3. Non credo che l’argomento di Fulvio De Giorgi sul ministero petrino come “sanior pars” convincerebbe le chiese protestanti.
    Anche Paolo VI era convinto di essere ispirato dallo Spirito Santo nello scrivere l’enciclica Humanae vitae, smentendo la commissione consultiva. Ma oggi, cosa auspichiamo sul tema?
    Le ultime nomine di papa Francesco dei vescovi di Bologna e Palermo suscitano l’entusiasmo anche d Luigi Sandri. Che però qualche tempo fa, a proposto del vescovo di Trento in scadenza, auspicava altre modalità di elezione. Più “rosminiane”.
    Dobbiamo cercare ancora.
    Silvano Bert – Trento

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