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DA FRANCESCO A NOI

Oreste Aime 

papa francesco

La questione che Aime pone, a partire dall’esperienza degli amici del Chiccodisenape, è di grande importanza non solo per chi partecipa a gruppi ecclesiali, ma più in generale per tutta quella parte del Popolo di Dio che chiamiamo laici.
All’interno della Rete dei Viandanti abbiamo avvertito, poco dopo l’inizio del pontificato di Francesco, il grande rischio di impantofolarsi (che bello, c’è Francesco!) e ne abbiamo parlato più volte negli incontri (“il/un papa da solo non basta”), quasi per esorcizzare la paura. Questa sollecitazione di Aime consente di allargare il discorso; crediamo utile proporla per aprire un dibattito. (ff)

*** *** ***

Mi è capitato in questi mesi, colloquiando con amici, di riflettere sull’esperienza di “chiccodisenape” e di altri gruppi nati qualche anno fa durante un periodo di particolare tensione all’interno della chiesa italiana – un misto di immobilismo pastorale ed eccessivo interventismo in campo politico. Attorno alla lettera che nel 2007 diede inizio al cammino di “chiccodisenape” ci fu un consenso significativo e abbastanza ampio. In questi ultimi tempi invece abbiamo constatato una progressiva caduta di partecipazione e di interesse. Anche altre iniziative segnalano un processo involutivo simile. Perché? Può avere avuto peso una certa incapacità di proposta da parte di chi aveva il compito di indirizzare il cammino e di coordinare le attese. I fattori veri di questo allentamento, però, sembrano altri.

Una diminuzione di tensione
Infatti questa diminuzione di tensione e di attenzione è persino in crescita dal momento in cui Francesco è diventato Vescovo di Roma. La ventata di novità evangelica del suo ministero ha dissolto alcune preoccupazioni che motivavano i momenti iniziali di chiccodisenape e di atri gruppi, tanto da far pensare che quelle esigenze siano ormai del passato. Ha ancora senso questo tipo di impegno e di organizzazione, se c’è la novità di Francesco?

A mio parere si dà il caso di una singolare eterogenesi dei fini: da quando c’è Francesco l’impegno laicale nella chiesa – dalla formazione all’evangelizzazione – mi pare in progressiva caduta libera. Con l’emersione di un male cattolico consolidato: il papa-centrismo, deplorato quando ci sono divergenze, confermato quando c’è consenso.

Mi mancano molti elementi per dare un giudizio circostanziato su una situazione più ampia di quello che riesco a percepire, perciò mi limito ad esprimere un’opinione che può essere smentita. La Chiesa italiana si sta mostrando in seria difficoltà a far proprie in maniera creativa le indicazioni del papa: basterebbe seguire i cambiamenti di orientamento degli ultimi anni e la non conclusività del convegno di Firenze. In questo quadro di stallo istituzionale da un lato e di richiamo a un nuovo dinamismo pastorale dall’altro, il mondo laicale, mi pare, non reagisce con un maggiore coinvolgimento, anzi è meno propositivo persino rispetto a periodi più delicati di un non lontano passato.

Perché tutto questo?
Un motivo l’ho indicato: un consolidato papa-centrismo che fa coincidere la vita della chiesa cattolica con quanto dice e fa il papa. Tendenza oggi nuovamente rafforzata dalla crisi della politica che si affida al leader di turno. Quanto poi il consenso sia reale, lo si dovrebbe ulteriormente indagare. Dopo il caloroso applauso, che cosa resta?

Non è un elemento isolato. Dando uno sguardo agli ultimi decenni si potrebbe dire: il raggiungimento con il Vaticano II di una matura teologia del laicato, ha coinciso con una sua progressiva restrizione di ruolo. Anche qui un’eterogenesi dei fini: il massimo riconoscimento nella Lumen gentium e Apostolicam actuositatem e al tempo stesso l’innesco di processi che nella riforma postconciliare hanno portato all’erosione progressiva della presenza laicale reale nella vita della chiesa (il caso Azione Cattolica in Italia è esemplare).

Un secondo motivo: le associazioni che in passato fornivano un laicato preparato a compiti non solo parrocchiali sono da tempo in crisi e non hanno saputo finora davvero reinventarsi. A meno che il loro tempo sia definitivamente finito e occorrano altre soluzioni. Di fatto l’azione pastorale della chiesa coincide sempre di più con l’ampiezza dei soli confini parrocchiali. E la diocesi di solito non è che la somma della vita delle parrocchie.

L’autoreferenzialità delle parrocchie
Un terzo motivo: le parrocchie, quando sono in grado di avere una certa vivacità, sono autocentrate, raramente intravedono qualcosa al di là di se stesse. I laici che partecipano alle loro attività pastorali altrettanto raramente hanno uno sguardo che sia un po’ più ampio. La chiesa è la parrocchia, questo è lo schema che sta diventando la norma. Ciò che va oltre normalmente non è quasi mai percepito nella sostanza e nell’importanza. È compito di altri, si concede talvolta, ma non si sa bene di chi. Anche il maggior coinvolgimento dei laici come operatori pastorali, là dove il progetto si realizza, non cambia il quadro generale; è una ministerialità che tende ad essere solo sostitutiva.

Dove dunque può trovare un terreno un po’ fecondo la prospettiva indicata dall’Evangelii gaudium (e anche dalla Laudato si’)? C’è il rischio che siano dei documenti che non entrano realmente in gioco nella vita della chiesa. Il blocco è in alto ma anche in basso.

Cosa fare?
Se l’analisi è corretta, che fare? Mi è già capitato di sostenere in altre occasioni che l’evangelizzazione è affidata oggi e in futuro ai laici – ma questo è un compito tutto da inventare (a questo proposito sono molto interessanti le linee emerse al recente Sinodo di Limerick, in Irlanda). Non si limita alla vita della miglior parrocchia di questo mondo. Le sfide sono anche e soprattutto altrove: lavoro (economia), cultura, globalizzazione. E nelle periferie più volte ricordate da Francesco.

Quando e come e con chi misurarsi su questi temi? La convocazione non viene per ora dall’alto, neanche quando sarebbe non troppo difficile farlo (nella nostra diocesi l’occasione poteva essere il cosiddetto riassetto). I consigli pastorali a livello parrocchiale e diocesano, mai monitorati sul loro reale agire, non sembrano efficaci, talora ridotti a momenti poco più che formali o meramente operativi.

Chiccodisenape e altri gruppi hanno tentato di proporre qualcosa di nuovo, ma ora sono in difficoltà a proseguire. Se qualcosa di simile e di più valido fosse nel frattempo apparso all’orizzonte, sarebbe intelligente e opportuno chiudere e confluire altrove. Ma non è questo il caso. Come assumerci la responsabilità di questa congiuntura?

Nel momento in cui da Roma arrivano le aperture più intense (cosa rara nella storia), le chiese locali e le aggregazioni laicali sembrano ammutolite. Una qualche riforma incomincia a toccare il vertice romano della Chiesa, ma ben poco le corrisponde nelle chiese locali. Una nuova parola d’ordine – la sinodalità – si limita, pare, a poco più che una formula di rito per evocare una generica partecipazione.

Non rassegnarci a questa situazione
Mentre viviamo una profonda rottura della tradizione cristiana che richiede un rinnovamento di visione e di azione e siamo sollecitati a vivere e a proporre la gioia del Vangelo, qual è la nostra risposta? Che cosa ci tocca fare per non essere blandamente assenti in questo momento della fede e della Chiesa? Come coinvolgere le generazioni più giovani che non hanno sperimentato forme attive e significative di partecipazione laicale (talora anche presbiterale!) alla vita della chiesa?

Se non riesce a smuoverci la parola del papa, sarebbe illusorio da parte mia pensare che lo possa ottenere questa mia riflessione. Mi auguro però che qualcosa possa iniziare. Abbiamo bisogno di analisi corrette, di criteri di comprensione e di valutazione, di proposte di stili e di azione. L’Evangelii gaudium disegna le condizioni perché tutto ciò possa avvenire, ma non può in alcun modo sostituire o anche solo disegnare in concreto la nostra responsabilità e la nostra azione. Tocca solo a noi.

Oreste Aime
Membro del gruppo Chiccodisenape (Torino), aderente alla Rete dei Viandanti

8 Commenti su “DA FRANCESCO A NOI”

  1. Ottimo questo stimolo
    Per svariate ragioni, solo ora posso inserire il mio commento all’articolo di Aime, che condivido completamente e con cui mi congratulo per la limpidezza e brillante analisi. E’ molto significativo che i cattolici sollevino le loro parole di critica quando – sommariamente- l’obiettivo è quello di smascherare e/o denunciare una realtà negativa o deludente nella Chiesa. La pars destruens è abbastanza semplice. Ma una certa creatività (come ci chiede Francesco, vedi Evangelii Gaudium) nella pastorale/evangelizzazione è più complicata, anche perché – come dice Aime- spesso, nelle Parrocchie, si tende a ruolo ministeriale sostitutivo. E fuori dalle parrocchie: nebbia!Insomma la pulsione mimetica (coazione e ripetere) induce a alla “pantofola”. Ripeto: ottimo questo stimolo. Spero venga raccolto. Paola Cavallari (Esodo)

  2. Ripensare la Tradizione e il bagaglio dogmatico/dottrinale
    Si sta assistendo ad una sorta di riflesso condizionato tipico di un ruolo laicale subordinato, ancora vigente a cinquant’anni dal Vaticano II e introiettato sin dal catechismo, di fatto congruente con le dinamiche di gestione dell’organismo ecclesiale. Nel momento in cui finalmente un papa come Francesco indica scelte pastorali spesso inaudite è normale per un laico aspettarsi che siano i vari livelli gerarchici a rivedere quelle strutture, pratiche e posizioni ideologiche che da alcuni decenni provocano il sempre più crescente abbandono del mondo ecclesiale da parte di giovani e meno giovani.
    Ma l’assistere allo stallo, dovuto anche a tensioni di tipo dottrinale, nel mondo ecclesiastico non esonera il credente, prima ancora che laico, a sollecitare la Chiesa tutta ad una attenta revisione/attualizzazione della Tradizione e del relativo bagaglio dogmatico/dottrinale.
    Dal Vaticano II in poi purtroppo è stato disatteso il bisogno di inculturazione nella trasmissione del messaggio evangelico, e per questo nessuno si stupisce più del “lento declino dei praticanti”( cfr. Marzio Barbagli, lavoce.info). Occorre che la Chiesa tutta apra una fase di riflessione e discussione, sinodale quanto si vuole ma urgente, che azzarderei a definire post-dogmatica, nel senso delle condizioni di libertà nell’ uso di strumenti e opportunità offerti dalle varie discipline della conoscenza contemporanea, finalizzata a riscoprire la testimonianza di Gesù nelle forme più fedeli e nello stesso tempo comprensibili all’oggi. Come, a suo tempo, sentì il bisogno di fare Paolo di Tarso.

  3. Rimbocchiamoci le maniche
    L’ articolo di Oreste Aime (forse ha dimenticato l’accento sulla e,il che sarebbe più giusto) mi ha infastidito e creato un po’ di tachicardia.
    Credo,a volte capita. di non aver compreso esattamente il suo “grido di dolore”.
    Capisco e posso condividere la sua preoccupazione, ma non condivido la sua quasi…disperazione.
    “lui scrive che da quando c’è Francesco l’impegno laicale nella chiesa ‘dalla formazione all’evangelizzazione sia in progressiva caduta libera”
    “le associazioni non sanno reinventarsi,le parrocchie autocentrate spesso non intravedono al di là di se stesse” (non è una cosa nuova)
    Questo è anche vero,ma allora mi sembra quasi inutile domandarsi “cosa fare”.
    Alziamo la bandiera bianca e ci arrendiamo?
    E quello che abbiamo fatto e stiamo facendo è stato ed è tutto inutile?
    E’ vero che i laici abbiamo la testa dura,ma penso che non siamo ancora maturi,ma abbiamo la nostra parte di responsabilità.
    Quante volte nella nostra vita abbiamo ascoltato parole e avuto insegnamenti che avremmo dovuto ascoltare e mettere in pratica enon lo abbiamo fatto.
    Forse ci sono mancati gli esempi,? Non lo credo proprio!
    Basta aprire le pagine del Vangelo e “seguire le istruzioni per l’uso”
    Grazie a Dio abbiamo anche bravi e coraggiosi Pastori!

    E caro Aime, credi, coinvolgeremo le generazioni più giovani dandosi da fare di più e chiacchierando di meno senza rimproverare sempre o quasi gli altri, ma
    rimproverando noi stessi per quello che non abbiamo potuto fare.
    Questa è la mia proposta di stile e di azione senza brontolare nè tantomeno avvilirsi.
    Ricominciamo dunque a rimboccarci le maniche.
    CHI ci aiuta c’è e LUI non dice bugie!
    Buon lavoro e preghiamo assieme.
    Giuliana Gensini

  4. Le cause sono remote
    Sul…laicato in caduta libera, mi trovo abbastanza d’accordo, anche se penso che le cause di questo apparente arretramento dei laici siano estremamente più remote del breve pontificato di papa Francesco. E bisognerebbe moltiplicare i punti di osservazione, anche disarticolandoli per fasce generazionali.

  5. Da Koinonia
    Trovo finalmente un’eco di quanto vado e andiamo dicendo di continuo riguardo alle varie tipologie di aggregazioni ecclesiali vecchie e nuove (gruppi – biblici, di preghiera, di lectio divina – associazioni, comunità, movimenti, parrocchie ecc.) che se da una parte si presentano come soluzioni aggiornate di riforma, in realtà la impediscono: sono immagini ideali di chiesa che cercano concretizzazioni possibili in funzione propria di autoaccreditamento, mentre il problema è che soggetti reali esprimano liberamente una loro fisionomia e una loro valenza ecclesiale. Sono forme precostituite di spiritualità e di ritualità che consentono appartenenza o al più una partecipazione indotta e conformistica, mai reale ed effettiva. Si potrebbe parlare di calchi di chiesa per élites così come esistono ancora quelli per le masse!
    Di qui la nostra diffidenza – che condanna ad essere perdenti – per tante formule risolutive di un problema che poi rimane inevitabilmente aperto, e che abbiamo semplicemente rimosso. In effetti, una prima cosa che questo articolo di Oreste Aime ci dice è che l’impresa per cui ci siamo spesi è di nuovo tutta davanti a noi, tanto da doverci chiedere ancora una volta “cosa fare?”. Forse Papa Francesco ci sta dicendo che di riforma si può parlare solo nella misura in cui la si vive e la si fa senza mezze misure e senza obiettivi preordinati.
    Rinviando per ora altre considerazioni in proposito e affidandoci alla lettura del testo, mi permetto soltanto di evocare una immagine che mi si presenta alla mente, non so se adatta al caso: è quella di prigionieri incatenati che una volta sciolti non trovano però una via di uscita e magari si rassegnano a ritenere quello del carcere l’unico ambiente possibile e vivibile sia pure in stato di semilibertà. Fuori di metafora: siamo così imbevuti di una concezione di chiesa a modello unico, che ci contentiamo di poterci consentire comportamenti e linguaggi non convenzionali ma compatibili, mentre difficilmente ci convinciamo che siamo chiamati a dare vita ad un diverso modello dell’unica chiesa, che ci coinvolge tutti totalmente, se davvero si guarda ad un radicale cambiamento d’epoca. Sta di fatto che davanti a questa prospettiva son tanti a tirarsi indietro per andare al mercato del modellismo ecclesiale, quando non ci sia da ripetere: “Volete andarvene anche voi?”
    Non so se questa sia l’occasione buona per far passare l’idea di una riforma sostanziale – e quindi si soggettività e non solo di essenze diverse -, ma intanto una risposta indiretta alle analisi di Aime (che partono dalla esperienza di Chiccodisenape) forse è possibile trovarle in alcuni pensieri a margine dei 40 anni di Koinonia, nell’articolo Le volpi gli uccelli dell’aria e il Figlio dell’uomo (Kononia-Forum n. 483 – http://www.koinonia-online.it/forum483base.htm ). Forse la corrispondenza tra i due discorsi non è sufficientemente chiara, ma nessuno esclude che la si possa esplicitare in un confronto e dibattito successivo. Ripeto che sono contento almeno del fatto che certi nodi vengano al pettine e diventino finalmente di dominio comune.

  6. Tre direzioni di impegno
    Ho letto con grande attenzione l’editoriale di Aime, che solleva un problema del tutto reale. Io penso che i nostri gruppi ecclesiali hanno svolto con grande vitalità una funzione di critica e di stimolo alla Chiesa durante la lunga fase in cui, per tanti motivi, la sostanza del Concilio pareva ed era disattesa. L’avvento di papa Francesco ci ha spiazzati perché egli è andato addirittura oltre le nostre richieste e le nostre aspirazioni. Ed è come se ora ci mancasse la materia intorno a cui costruire le nostre iniziative.
    Io penso che invece dovremmo orientarci in tre direzioni.

    1. Fare tesoro delle parole del papa e meditarle anche comunitariamente. Lo stesso papa Francesco, nel suo discordo di apertura del convegno CEI ci ha invitato ad assimilare in profondità la Evangelii gaudium. Aggiungerei che andrebbe meditata anche la sua Amoris laetitia, densissima di insegnamenti (penso allo splendido capitolo III sull’amore).

    2. Riflettere sui molti problemi che lo sconvolgente messaggio di papa Francesco ha aperto, ma che, a mio avviso, andrebbero approfonditi, anche per realizzare davvero quel sensus fidei richiesto a laici maturi e propositivi nella Chiesa: ad esempio, il problema della coscienza (come si realizza la ‘retta’ coscienza? la retta coscienza è solo dei cristiani?); il problema del vero dialogo e della collaborazione coi non credenti e con le altre religioni; il problema dell’attività umana, come partecipazione alla creazione e anticipo delle “terre nuove” future.

    3. Impegnarci a livello personale. Può sembrare un’ovvietà, ma io penso che, al di là di quanto è possibile e giusto fare in modo comunitario, rimanga a noi laici l’enorme spazio della nostra vita di singoli nel mondo, nel nostro lavoro, nelle nostre famiglie, nei nostri rapporti umani. È anche su questo piano, meno vistoso, molto nascosto, in cui il messaggio del papa ci può e deve coinvolgere ed è su questo piano (oserei dire, soprattutto su questo piano) che noi possiamo davvero produrre un cambiamento: realizzando quotidianamente l’umiltà, la mitezza, la misericordia, il perdono, l’accoglienza con quanti incontriamo e di cui condividiamo la vita. È da questo tessuto di piccole azioni e di piccole fedeltà che può maturare davvero un cambiamento ‘rivoluzionario’.

  7. Non spetta a me conoscere i tempi
    Può essere che ci sia richiesta una fase di riscoperta della nostra spiritualità, di distacco cioè anche dal carico di responsabilità che ci mettiamo sulle spalle, per il quale non abbiamo ancora sufficiente maturità umana.
    Infatti, il cambiamento di vita indotto dal Vat.II°, da Giovanni XXIII, da Paolo VI° in noi laici non è stato, a mio avviso, radicale e non ci ha fatto diventare “adulti”. Dico questo considerando quello che dice l’autore e cioè “che l’evangelizzazione è affidata oggi e in futuro ai laici”.
    Io, laico, mi sento deconcentrato, disperso, sparpagliato: !!! evviva il papa che mantiene saldo il suo contatto diretto col mondo reale, col mondo intero saltando curia e CEI!!!
    In passato ho speso tutto il tempo che ho potuto dare, ho coinvolto persone che vivevano con me in una pastorale che non ha mai potuto attingere, se non per brevi momenti, ad una vera sinodalità (questo è il punto).
    Ora spero di dedicarmi quanto e come posso agli “altri” che mi sono vicini o che posso cercarmi cercando anche, contemporaneamente, il tempo di pregare per tante persone, non per insegnare a Dio il suo mestiere, ma per affidarmi ogni giorno a Lui.
    Con At 1,7 dico che non spetta a me conoscere i tempi e momenti…

  8. E il clericalismo?
    Oreste Aime ha spiegato chiaramente il problema. Come dovrebbe cambiare la chiesa per purificarsi dal clericalismo?

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