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DISSEPPELLIRE DIO, DISSEPPELLIRE LE DONNE

Paola Cavallari

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C’entra Dio con la violenza sulle donne? E – altra cosa- c’ entrano le religioni? E in che termini? A riguardo, il 9 marzo 2015 è avvenuto un fatto storico: un Appello congiunto contro la violenza sulle donne è stato firmato da dieci chiese cristiane. Nel testo sono presenti affermazioni sulla dignità della donna (“la violenza contro le donne è un’offesa ad ogni persona che noi riconosciamo creata ad immagine e somiglianza di Dio”), sono contenute espressioni significative di presa d’atto del dramma e dichiarazioni di impegno; esso non si spinge a nessun accenno di mea culpa, ma non disperiamo che un giorno…

A proposito del ruolo delle religioni
È un passo decisivo, sottostimato dall’opinione pubblica e dalle comunità ecclesiali stesse. Lo stimolo e l’elaborazione sostanziale del testo va riconosciuta all’operato delle donne della Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia.

Ci poniamo due domande fornendo risposte schematiche per necessità di spazio.
La prima. Cosa hanno fatto le religioni per preservare le donne dalla violenza? E cosa non hanno fatto?
Da sempre, i magisteri religiosi si sono impossessati del monopolio del sacro e configurati come strutture gerarchiche androcentriche. Nel dualismo uomo-donna, l’impianto della teologia cristiano-cattolica (su cui ci concentriamo) ha collocato la donna o nel polo del modello materno – puro, soccorrevole, pronto al sacrificio di sè, modello che trova pieno riferimento nella vergine Maria, madre di Gesù – o in quello della seduttrice, oggetto con cui misurarsi nel gioco della conquista, ma da cui stare in guardia, essendo costei tentatrice diabolica per natura; il riferimento, come sappiamo, è Eva.

La diversa attenzione di Gesù
Se è vero che Maria è stata invocata da sempre, soprattutto dalle donne, come la amorevole Soccorritrice, non si può sorvolare tuttavia sul carico di sofferenza che, d’altro canto, hanno comportato le due figure “esemplari”, interiorizzate come dispositivi di disciplinamento e controllo, con effetti di freno alla tensione di vita, e di colpevolizzazione.

Eppure le donne sanno che, negli Evangeli, il seme della libertà era stato gettato, che questi testi contengono una molteplicità di episodi che testimoniano la straordinaria attenzione di Gesù verso le donne – e tanto più in un’epoca storica in cui l’inferiorizzazione di queste era codificata. Quegli stessi testi rivelano la determinazione di Gesù a far fiorire l’avvento dell’incontro con l’altra. Ma – subito dopo la sua scomparsa di e ancor di più dopo l’istituzionalizzazione del cristianesimo – prevalgono valori e pratiche che disconoscono l’agire e il verbo del Maestro, e restaurano codici di dominio sulle donne.

Questo sito documenta diversi contributi di esegesi biblica e di rivisitazione in chiave femminista della storia della Chiesa (v. Maschio e femmina li creò). Una molteplice produzione scientifica è stata infatti realizzata, in Italia e all’estero, per riorientare il pensiero teologico in favore della dignità femminile: un sapere decisivo per arginare la violenza contro le donne. Quanto oggetto di considerazione dalle comunità ecclesiali?

La “zona grigia”
Seconda domanda. C’è una parentela tra l’atteggiamento dell’uomo nei confronti delle donne e quello con cui egli si rivolge a Dio?
Conosciamo la frase banalità del male e il suo significato. Primo Levi riprendeva l’inquietante intuizione di Hannah Arendt negli stessi anni, quando tematizzava la “zona grigia”. Qualcosa di analogo mi pare si possa avanzare a proposito della violenza domestica contro le donne.
La psicanalisi conferma: il confine tra amore e violenza ha i caratteri di una zona grigia. Un pensiero avveduto sa che, nelle relazioni d’amore, la con-fusione tra le due sfere si espande per un’area non solo indefinita, ma irriducibile.

Anche riguardo il sentirsi – come maschio – chiamato o meno in causa, l’interrogarsi si complica. Sulla stampa e nei socials, sono apparse analisi interessanti di alcuni uomini che, pur non ritenendo di essere né maltrattanti, né sfregiatori, né violentatori, tuttavia assumono la colpa, se così si può dire, su di sé: riconoscono di partecipare – per la cultura che li ha plasmati – all’interiorizzazione dell’habitus del dominio maschile.

In un articolo sul quotidiano Il Manifesto dell’11 giugno, Cari maschi, tocca a noi. Un appello contro una parte di noi stessi, si legge: “Noi uomini dobbiamo dire a gran voce: not in my name… vincendo quell’oscuro timore (mai esplicitato) di passare per ‘femminucce’ che trasgrediscono il codice maschile. Nessun uomo può dirsi innocente, perché c’è una connivenza complice in ciascuno di noi con il pensiero dell’individuo proprietario, della ostentazione della forza, dell’offesa non perdonabile. Quante volte noi stessi abbiamo fatto battute o raccontato a soli amici maschi barzellette denigratorie sul genere femminile? E quante volte pur non avendolo fatto direttamente abbiamo sfoderato un sorrisino complice a questi racconti stereotipi?”.  Approccio metodologico che ha insospettito altri. A me, questa opzione sembra invece la via della spoliazione dell’io, suggerita da sempre dalla sapienza delle fedi.

Le parole incandescenti di Etty Hillesum
A questo proposito, nelle incandescenti pagine del suo Diario, Etty Hillesum percorre i dinamismi, lirici e aspri insieme, della relazione con l’uomo amato. E ci fornisce materia preziosa per la seconda domanda: una eventuale consanguineità tra l’atteggiamento che l’uomo intrattiene nei confronti delle donne che ama e quello con cui si rivolge a Dio.

Colloquiando con un amico, la scrittrice ebrea, diceva press’a poco così: contro l’odio di chi ci annienta, non serve la risposta reattiva, efficientista. Unica vera via, che va alla radice delle metastasi del male, è la metamorfosi delle coscienze. E il primo passo di tale mutamento si incentra nella capacità di amare tenendo sotto controllo l’istintualità al possesso.
Non è un caso che la maturazione di questa donna perseguitata dal nazismo, uccisa poi ad Auschwitz, sfoci in una concezione dell’amore umano intensamente segnata dalla non possessività dell’amato e – poco dopo – in una concezione dell’amore divino intensamente segnata dalla tenerezza, cura, misericordia, in un doppio movimento implicante reciprocamente i due “soggetti” della relazione. “Mio Dio, ti prometto che cercherò sempre di trovarTi una casa e un ricovero”, scriveva nel Diario il 17 settembre 1942.

La tentazione dell’avere la donna “a disposizione”
La storia della cristianità è stata costellata da eventi in cui di Dio ci si è impossessati, in cui il nome di Dio è servito a… a qualche popolo, a qualche Stato, a qualche civiltà, a qualche Causa; un Dio a disposizione per avventure di sopraffazione, piani di supremazia, restaurazione dell’ordine “naturale”. Ora, forse, se ne è per lo più consapevoli.

Ma alla tentazione di “avere la donna a disposizione” non si fa caso. Essa fa capolino più o meno nascostamente, fra le pieghe. Non si manifesta evidente. Deve presentarsi travestita, come nei sogni. Il cuore del suo nascondiglio è l’idolo della madre angelica, caritatevole: muta, casta, obbediente, senza soggettività autonoma, fusa in un tutt’uno con il figlio (maschio) della cui parola pubblica è a disposizione.

La relazione con una donna, a cui, nella relazione “amorosa”, non è riconosciuta soggettività e che non può permettersi autonomia e libertà ha il contraltare in una relazione con un Dio che è stato sequestrato da una visione religiosa che Lo piega ad intendimenti e usi, tanto personali quanto collettivi: un Dio a disposizione, se non a servizio, dell’uomo. Etty Hillesum usava l’espressione: disseppellire Dio nei cuori. Che meraviglia se le religioni potessero disseppellire i tracciati paralleli tra il volto di Dio e quello delle donne.

Paola Cavallari
Membro della redazione della rivista Esodo, che aderisce alla Rete dei Viandanti

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La presente riflessione prende lo spunto dalla tavola rotonda interreligiosa organizzata dalle donne del SAE di Bologna (23 maggio u.s.), con relazioni di bibliste, pastore, donne del mondo ebraico, donne dell’associazionismo cittadino.

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