I PRESBITERI DI CUI ABBIAMO BISOGNO
Un presbitero amico di Viandanti, ha recentemente celebrato il suo giubileo di ordinazione e ha scritto ai suoi parrocchiani una Lettera aperta che ha consegnato durante la messa in cui ha fatto memoria dell’ordinazione.
È il racconto di un modo di vivere il presbiterato che ci sembra molto in sintonia con il magistero di Francesco, Vescovo di Roma. Un mescolarsi con la storia e con noi “pecore” per conoscere e condividere le nostre preoccupazioni e per fare più autentica la memoria della Pasqua settimanale.
Ci sembra di poter dire che è di questo “stile” che abbiamo bisogno più che di presbiteri, giovani o meno giovani, che pensano che il futuro della Chiesa stia nel passato e alimentano nostalgie di vario tipo. (V)
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Alla veneranda età di 76 anni di battesimo sulle spalle, faccio memoria di 50 anni a servizio del sacerdozio battesimale in Cristo del popolo di Dio.
Era il 18 giugno 1967. Pochi giorni dopo (26 giugno) moriva don Lorenzo Milani, prete incandescente, ma non ribelle. Un prete non amato dalla gerarchia di una Chiesa che lui amava.
È giusto farne memoria, non per impropri e impossibili paragoni o sovrapposizioni. Ciascuno di noi ha malizie, fragilità e carismi propri. Ma i tempi erano quelli. Tempi di aurore, quando la tenebra ancora non se ne va e la luce ancora tarda a venire.
Come un tronco che galleggia sul fiume
Celebro cinquant’anni di presbiterato di cui 26 come prete-operaio. Felice di aver condiviso la condizione di tutti i dipendenti, di aver mangiato il mio pane frutto del lavoro e non vivendo da mantenuto della religione.
Ho galleggiato come un tronco sul fiume della vita di cui vedo ora la foce. Mi sono impigliato in anse e soste, ho accelerato su rive scivolose. Il mio tronco galleggiante ha raccolto frammenti di umanità nelle case degli uomini e stupendi fiori caduti dagli occhi di amici e testimoni o dagli indimenticabili eventi del Concilio Vaticano II, ho lambito il fango dell’iniquità e la creta del vasaio nel carcere, in Ecuador e in Brasile, ho mescolato come ho potuto l’aroma dell’incenso e la puzza della fabbrica, il libro della Parola eterna e le sbiadite parole quotidiane, la bellezza impagabile dello spezzare il pane eucaristico con la drammatica e dolce cura della malattia di papà e mamma.
Ho servito i malati sulle ambulanze e nel Tribunale per i diritti del malato, ho amministrato un Ente pubblico per anziani.
Un intreccio di amore, liturgia, Parola, popolo laico e assemblea celebrante, canto e lamento, mistero di Dio e mia quotidianità, miseria mia e misericordia di Gesù.
Sulla soglia
Mi sono chiesto spesso dov’ero mentre la storia del Regno di Dio correva cablata con la storia umana. Ero sulla soglia del Tempio, con un piede dentro e uno fuori, su quel confine che da sempre divide lo spazio sacro del santuario dallo spazio profano del cortile e della piazza.
La soglia: simbolo anche delle indecisioni della mia fede, dei conati di speranza, delle scelte rinviate, degli equilibrismi, delle mediocrità. Attraverso questa soglia Dio abbandonò il Tempio sotto gli occhi veggenti del profeta Ezechiele (10, 18) che assiste muto alla fuga di Dio da un Tempio inquinato.
Su questa soglia l’evangelista Luca (18,13) mette in ginocchio il peccatore pubblico che trova in essa lo spazio della misericordia di Dio a differenza del devoto fariseo tanto vicino all’altare quanto lontano dalla giustizia di Dio.
E’ la soglia dove lo storpio si accuccia quotidianamente a mendicare finché Pietro un giorno gli dice: “Non ho né oro né argento, ma ti do quello che ho. Nel Nome di Gesù Cristo cammina!” (Atti 3, 2).
È la soglia che rappresenta l’inconscio collettivo delle masse cattoliche che, giunte sulla soglia del tempio, ammutoliscono perché su di essa si infrange il sogno di una religione a basso prezzo, si disarticolano le pretese di bigotti, praticanti e devoti. È la soglia su cui cadono le briciole di noi ricchi bulimici della religione (Luca 16, 20) che ci puliamo le mani con la tenera mollica del Pane di Dio buttandone le briciole ai poveri Lazzaro non ammessi alle annoiate liturgie e alle arcigne etichette di corte.
È la soglia dei poveri di Dio, dei curvati dal sistema, dei timorati di Dio che con tutti i poveri della terra pregano: “È meglio stare sulla soglia della casa del mio Dio che abitare nelle tende degli empi” (Salmo 84). La croce fu il crinale su sui cessò definitivamente il duello tra Dio e uomo quando fu lacerata la tenda che divideva l’inaccessibile tabernacolo dai cortili degli impuri: quando Gesù spirò “il velo del tempio si squarciò”.
Vorrei che chi come me si sente un piccolo tronco che, scivolando sul fiume della vita, si è incagliato sulla soglia del tempio, possa con me sperare che il Signore Gesù esca dal Suo tempio Santo per visitarci.
Grazie!
Grazie al Padre che ci ha benedetti con ogni benedizione in Cristo.
Grazie al dono della sempreverde Parola di Dio, al Pane domenicale per il cammino di noi deboli, grazie ai poveri che sono orma del passaggio di Gesù fra noi.
Grazie alla mia famiglia che mi ha educato a valori umani non negoziabili e alla fede.
Grazie ai tanti presbiteri che mi hanno formato, sopportato, accolto.
Grazie ai tanti amici che hanno resa bella la mia vita con la loro tenerezza.
Grazie alle comunità che mi hanno forgiato con discernimento critico e amore.
Grazie ai semplici che mi hanno stupito per la loro fede o rigore morale, senza “se” e senza “ma”.
Grazie a quanti si spendono per creare una comunità di sacerdoti, servi e profeti corresponsabili, sognando una chiesa fedele a Gesù ma non immutabile, vivendo come fratelli e sorelle dei presbiteri e non come chierichetti, portaborse o utenti consumatori.
La carenza di presbiteri è una grazia nella disgrazia, per una Chiesa del futuro dove al centro ci sia Gesù e non il prete, i battezzati e non il parroco, la Parola di Dio e non parole arcigne di moralisti, l’Eucaristia e non vaghe devozioni di una religiosità naturale, i poveri e non i devoti, il Vangelo celebrato e non cerimonie che di cristiano pare abbiano poco.
“O Senhor esteja convosco” (Il Signore sia con voi).
“Ele està no meio de nòs” (Egli è in mezzo a noi)[1].
Avanti, dunque!
[1] Così viene tradotto, nel Messale portoghese, il saluto iniziale tra chi presiede la celebrazione eucaristica e l’assemblea, a significare che il Signore è già lì in mezzo all’Assemblea (cf. E. Bianchi-G. Boselli, Il Vangelo celebrato, San Paolo, Cinisello Balsamo 2017, pag. 73)
Leggo questa memoria di una vita presbiterale mentre assisto i miei genitori novantenni e il passo “…drammatica e doce cura della malattia di mamma e papà” mi colpisce e mi commuove. E’ un racconto impastato d’umanità, di misericordia e di condivisione, ossia gli ingredienti fondamentali del Vangelo. Grazie!
Silvano Priori
Anch’io sono sulla soglia: ho 90 anni. Anch’io dico grazie a lui e ai numerosi compagni di strada: una strada difficile , accidentata e bellissima. Ma ho cercato di servire la vita in tante sue manifestazioni. E la vita ripaga. Sempre! Alla fine si capisce meglio.
FATEGLI AVERE UN ABBRACCIO
Grazie di questa testimonianza. Purtroppo io, avendo vissuto tanti di questi sogni ed esperienze, non posso vedere riconosciuto il mio ministero per il solo fatto che, essendomi sposato, ho coinvolto una donna in questo cammino (questo velo del tempio sembra ancora ben saldo!). Non mancano vocazioni, manca ascolto ai segni dei tempi.
Sapersi guardare nel passato senza esaltarsi o abbassarsi, per quello che si è cercato di dare in buona volontà … ma soprattutto:
Saper dire Grazie a tutti, in primis a Lui e lodarLo, esaltarLo, innalzarlo su tutto e tutti.
Buon cristiano! Puoi dirlo forte!
Grazie di questa testimonianza così autenticamente evangelica. La Chiesa italiana ne ha una grande necessità. Il saluto in portoghese mi fa pensare ad un felice periodo vissuto in Brasile.
Non è importante quello che hai fatto ma per chi e perchè