TUTTI UGUALI NELLA CHIESA?

Giorgio Campanini Era inevitabile che anche le comunità cristiane dovessero misurarsi con il problema dell'uguaglianza, in una società che, assai prima che il termine apparisse sulle bandiere della rivoluzione americana e di quella inglese, aveva proclamato, e in non piccola misura applicato,  questo principio, a partire da una serie di noti passi evangelici e dalla lapidaria affermazione della Lettera ai Galati (3, 28) "Non c’è giudeo né greco, non c'è schiavo né libero, non c'è maschio e femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù": passo nel quale vengono emblematicamente indicate, e superate, le tre grandi "disugualianze" di allora, e purtroppo sotto molti aspetti ancora di oggi, quelle legate all'appartenenza etnica, al ruolo sociale, alla differenza sessuale. La dialettica uguaglianza-disuguaglianza A partire da questa affermazione, e nel corso della sua lunga storia, la Chiesa ha gradatamente approfondito - pur non senza interruzioni di percorso e contraddizioni interne - la categoria di uguaglianza, sino a pervenire, con il Concilio Vaticano II, alla limpida affermazione, in una serie di suoi documenti, di questo principio. Come sempre nella storia avviene, ed è avvenuto, non sempre, e soprattutto non subito, i principii entrano a vele spiegate nella prassi: così la storia del Cristianesimo è caratterizzata da ricorrenti aspirazioni all'uguaglianza e da altrettanto persistenti ten­tativi di ritorno alla disuguaglianza (in verità mai teoricamente affermata, ma di fatto sostenuta e per certi aspetti anche legittimata). Molte delle "eresie", che ...

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