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Luciano Mazzoni Benoni
Con questo titolo ardito, caldeggiato da mons. Loris Capovilla (sua la postfazione con un racconto inedito di un curioso incontro tra Leopold Senghor e Giovanni XXIII), l’editrice Velar-LDC osò pubblicare nel 2012 [1] il primo fascicolo destinato al popolo dei credenti, che in larga parte non ha mai conosciuto l’opera di Pierre Teilhard de Chardin. Proprio perché colui che venne definito il ‘gesuita proibito’ non poteva varcare la soglia né dei seminari né tanto meno dei fedeli laici.
La damnatio memoriae
Oggi ancora si consuma questa silenziosa rimozione, come fu in passato per altri giganti della fede, basti pensare ad Antonio Rosmini (per oltre un secolo) o al più recente Oscar Romero (quasi mezzo secolo).
Senonchè in questo modo si potrà avverare la previsione dello stesso padre Teilhard: “Sarò capito quando sarò stato superato”. A ben vedere, è possibile scorgere una certa ‘analogia’ tra la figura di Thomas Merton (segnalata da Christian Albini su Viandanti del 31 gennaio di quest’anno per il centenario della nascita) e quella di Teilhard de Chardin, del quale ricorre il 60.mo anniversario della sua rinascita in cielo. Era il giorno di Pasqua quando, domenica 10 aprile 1955, nella sua ultima residenza d’esilio a New York, si fermò il cuore di Teilhard (esaudendo così l’ultimo dei suoi desideri).
Senza forzature, paiono applicabili anche al gesuita francese la conclusione di quel bel ricordo: “Uomini come Thomas Merton sono fuori dagli schemi in cui ci incagliamo, sono i ...