RIUNIRE I DISPERSI
I concetti di “missione” e di “missionarietà” sono andati soggetti in ambito ecclesiale a profondi (costanti) mutamenti di significato. Si va infatti da un’interpretazione restrittiva e minimale che le identifica con l’evangelizzazione di quelle terre che non sono state ancora raggiunte dall’annuncio del messaggio evangelico (la cosiddetta missio ad gentes) a una interpretazione massimale, che le fa coincidere con l’intera attività pastorale della chiesa. Aderendo a quest’ultima concezione, Cesare Baldi, docente di missionologia presso l’Università Gregoriana di Roma, affronta con grande rigore la questione, offrendo, da un lato, un’ampia rassegna dei documenti del magistero e degli studi di carattere teologico, soprattutto di quelli prodotti nel postconcilio, e formulando, dall’altro, interessanti proposte di rinnovamento.
Il volume, che ha per oggetto lo studio della missionarietà come teologia pastorale, mettendo fin dall’inizio l’accento sul fatto che la dimensione missionaria è un elemento costitutivo della pastorale tout court: -“la chiesa è missionaria per sua natura” si legge al n. 2 del decreto Ad gentes del Concilio – si compone di tre parti: la criteriologia, cioè l’individuazione dei criteri di valutazione dell’azione ecclesiale nell’ottica della missione; la kairologia, ossia la considerazione della missione come oggetto dell’azione pastorale; e, infine, la prassologia, ovvero il passaggio a livello operativo con attenzione agli strumenti di cui dotarsi e delle forze da mettere in campo.
Il perno attorno a cui ruota l’intera riflessione è la costruzione della comunità come cuore pulsante del vissuto ecclesiale. Baldi si rende conto delle difficoltà alle quali oggi si va incontro nel perseguimento di questo obiettivo. La cultura dominante non è certo orientata in questa direzione. L’individualismo dilagante, sia a livello soggettivo che sociale, si traduce in forme di egoismo, che vanno dalle chiusure autoreferenziali dei singoli, che coltivano i propri interessi o quelli della corporazione di appartenenza, alla rinascita dei nazionalismi e della xenofobia (talora ai limiti del razzismo), che generano una profonda crisi della prossimità e lo smarrimento dell’interesse per il bene comune. Egli non manca poi di constatare come tutto questo si rifletta anche sulla condotta della chiesa dove, accanto al venir meno della fede provocato dall’avanzare del fenomeno della secolarizzazione la quale preannuncia l’avvento di un’era postcristiana, si assiste alla perdita del senso comunitario in nome di una religione “fai da te” contrassegnata dalla ricerca di un rapporto privato con il divino.
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Riconoscendo realisticamente la presenza di questa situazione non certo promettente e sapendo perciò di andare controcorrente, Cesare Baldi dedica la prima parte del volume (La missione, criterio unificante dell’agire pastorale) a mettere a fuoco le condizioni che consentono di ricollocare la missione al centro del discorso teologico-pastorale della chiesa, proponendo un concetto di universalità che supera l’esclusività confessionale senza incorrere nel relativismo e facendo del messaggio cristiano un unicum aperto alla verità sinfonica di una comunità polimorfa.
Presupposto fondamentale per la ricerca è anzitutto la definizione del termine “missione”, che è andato soggetto nel corso del tempo – come si è ricordato – a una pluralità di interpretazioni non sempre omogenee. Le diverse tappe che hanno segnato il percorso della storia della chiesa, con le varie prese di posizione sul piano dottrinale e pastorale, evidenziano le ragioni di tali interpretazioni. Si va così dal pensiero patristico, per il quale la missione coincide con la diffusione del vangelo, a quello medioevale, dove essa viene identificata con la conversione degli infedeli mediante la trasmissione della dottrina cristiana, fino agli inizi dell’epoca moderna, quando il concetto si fa più complesso a causa delle guerre di conquista delle nuove terre e l’evangelizzazione si mescola con la civilizzazione, favorendo la diffusione del colonialismo e assumendo pertanto connotati spuri.
Solo a fine ottocento -osserva Baldi -ha luogo un’inversione di rotta che riporta l’agire missionario entro l’orizzonte teologico-pastorale. La missione assume qui il carattere di organizzazione della chiesa tra i non cristiani -la plantatio ecclesiae – per portare loro la salvezza. Essa si presenta dunque con un carattere temporaneo e una dimensione territoriale ed è espressione di una visione espansionistica della cristianità e di una concezione giuridica della chiesa come societas perfecta. La ricerca dei fondamenti biblici e teologici si sviluppa in questo contesto, facendo leva sul verbo “inviare”: si pensi alle figure profetiche inviate nell’AT. (Geremia, Ezechiele, ecc.) al popolo di Dio e nel NT all’invio degli apostoli a creare le condizioni per l’attuazione dell’unità di tutte le genti. Ma l’aspetto più significativo – è questa la novità teologica – è la riconduzione della missione all’iniziativa di Dio (missio Dei) e l’adozione della prospettiva trinitaria.
Gli sviluppi di queste riflessioni convergono nel dibattito conciliare, dal quale emerge una vera e propria svolta codificata dal decreto Ad gentes, in cui si distingue la “missione” come dimensione essenziale della chiesa (missio ecclesiae) e le “missioni” intese come una attività particolare destinata ad aiutare la crescita delle nuove chiese del Terzo Mondo. Il collegamento accennato al mistero trinitario, che fa della missione una forma di partecipazione alla vita di Dio nel processo di auto-comunicazione del Padre nel Figlio e nello Spirito, impone, per dare efficacia all’annuncio, l’assunzione di un atteggiamento di ascolto e di accoglienza della Parola divina, messa in pratica nella vita quotidiana.
Baldi ricostruisce la redazione del decreto conciliare, mettendo in luce come esso sia passato attraverso fasi successive con revisioni profonde, che hanno condotto a un vero e proprio suo rifacimento. Il nodo problematico che si rendeva trasparente nello sforzo di elaborare una “teologia della missione” riguardava il livello ecclesiologico. Ad esso vanno ascritti come fondamentali: il superamento di una visione dualista della missionarietà ad infra e ad extra, il carattere universale del dovere missionario -la partecipazione di tutti è legata al ricupero della cattolicità al centro della teologia della missione – e, infine, la riconduzione di tutto al Padre.
Nel postconcilio si assiste purtroppo a un ritorno alla concezione tradizionale, soprattutto con la promulgazione della Redenptoris missio di Giovanni Paolo II e con la pubblicazione del Codice di diritto canonico. Nel primo caso, alla mancata valorizzazione della visione allargata di “missione” fa riscontro la mancata soluzione del rapporto tra “pastorale missionaria” e “cura pastorale” ordinaria; nel secondo a venire, in qualche misura, abbandonato è il carattere comunionale e universale della “missionarietà” in favore del ritorno a una concezione gerarchica di “missionarietà” – l’atto missionario grava in prevalenza sul clero – ridotta ad opera di evangelizzazione. Nonostante queste battute d’arresto a livello magisteriale, la teologia della “missione “non rinuncia a proseguire nel proprio cammino, collegando tra loro pastorale ordinaria e azione missionaria -la missio ad gentes risponde a questa logica – e ripensando la prassi pastorale alla luce della missione, che ha al centro la comunione come impegno a radunare i dispersi, il quale si attua mediante l’edificazione della comunità, cardine e criterio fondamentale dell’agire missionario.
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Sulla scorta della delineazione di questo senso della “missione”, Baldi introduce -è questo il tema della seconda parte (Li comunità cristiana vero soggetto ecclesiale) -la questione di come costruire la comunità, rispondendo al disegno divino di salvezza che chiama la chiesa ad essere strumento di unità per l’intero genere umano. Fondamentale diviene, a tale proposito, l’abbandono della visione della chiesa come “società perfetta”; visione che si è sviluppata a partire dall’XI secolo con la concentrazione dei poteri e la rivendicazione del potere temporale.
A segnare l’inizio di tale abbandono è stata anzitutto la Mistici corpris di Pio XII del 1943 che, assumendo gli stimoli scaturenti dai movimenti liturgico, biblico ed ecumenico, introduce, nel definire l’identità della chiesa, la nozione di “corpo mistico”. Questo apre la strada alla riflessione del Vaticano II, che restituisce, da un lato, importanza agli aspetti misterici della chiesa riducendo quelli istituzionali, e riscopre dall’altro, la chiesa locale e un rapporto positivo con il mondo. Assume così sempre più centralità una ecclesiologia di “comunione”, i cui contenuti fondamentali sono il ricupero della dimensione comunitaria, il riconoscimento dell’appartenenza sacramentale dei fedeli al sacerdozio comune in ragione del battesimo, con il conseguente superamento della dicotomia tra ecclesia docens ed ecclesia discens e con l’importanza assegnata al sensus fldelium e alla corresponsabilità nella costruzione della comunità. Accanto al fondamento trinitario, cui si è già fatto riferimento, che fa risalire la missione all’iniziativa divina, ad acquisire particolare rilevanza è la sottolineatura della valenza escatologica, che mette strettamente in relazione la chiesa con il regno (senza identificarli) e conferisce ad essa carattere storico. Si fa strada in tal modo una visione della chiesa come struttura dinamica e sacramentale con un’identità universale – in questo consiste la cattolicità – dove va praticata a tutti i livelli come sistema diffuso la collegialità.
Il passaggio dalla “comunione” alla “comunità” concreta implica l’adozione di alcune scelte che traducono la lezione del Vaticano II in indirizzi operativi. Non si tratta tanto di estendere i confini della chiesa quanto di dare vita a un percorso di riunificazione universale. Il che comporta l’unità tra i cristiani -una unità non indifferenziata ma rispettosa delle diversità – che trova riscontro nello sviluppo di comunità territoriali i cui comportamenti devono essere ispirati alla solidarietà, all’amicizia e alla fraternità; comunità, a loro volta, aperte alla “comunione delle chiese” in nome di una appartenenza universale, la quale comporta una precisa assunzione di responsabilità. Baldi non rifiuta di assumere, per delineare i lineamenti di una vera “comunità”, i contributi della cultura laica: dalla classica distinzione di Tonnies tra “società” e “comunità” alle proposte valoriali che vengono dagli studi di Bauman e di Aime, i quali, reagendo alla crisi individualistica attuale, propongono di dare vita a forme di convivenza incentrate sulla solidarietà e la condivisione, sulla reciprocità e la gratuità.
Alla luce di queste preziose indicazioni la comunità cristiana è chiamata a rimettere la centro della propria azione la carità pastorale, sostituendo il munus regendi e la potestas con il servizio e il munus congregandi, cioè l’impegno a riunire i dispersi promuovendo la comunione e divenendo in questo modo sacramento di unità dell’intero genere umano. Ciò a cui occorre assegnare il primato è allora la qualità delle relazioni che vanno improntate a valori umani imprescindibili come quelli ricordati e alla caritas, creatrice di uno spirito di fraternità, che trova espressione in una forma dì radicale condivisione anche dei beni economici e fa della comunità il luogo dove si fa esperienza -come ci ha insegnato la primitiva comunità cristiana (Atti 2 e 4) -di un amore vero che ha nello “spezzare insieme il pane” il suo momento culminante.
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Le riflessioni di fondo delle due prime parti convergono nella terza parte (Il territorio, luogo teologico di una prassi solidale) nell’offerta di una serie di indicazioni concrete riguardanti l’organizzazione dell’azione pastorale al fine di fare della comunità l’artefice della comunione. Un’importanza fondamentale riveste, al riguardo, il territorio come interlocutore prossimo, che consente alla comunità di diventare “sistema”, facendo unità in se stessa e mettendo in atto una prassi solidale aperta a tutti e finalizzata al bene comune. Si tratta anzitutto di aggregare per evangelizzare – è questo il primo atto missionario -facendo spazio alla testimonianza di vita, la quale rappresenta la strada privilegiata per rendere credibile il messaggio trasmesso.
Il vangelo va infatti proposto in una prospettiva esistenziale, avendo come obiettivo l’instaurarsi del rapporto con Cristo e la partecipazione alla sua vita. Il che esige la realizzazione di una liturgia partecipata con il coinvolgimento dell’intera comunità, dove i ministeri vengano vissuti all’interno di essa e al suo servizio; una liturgia, quella eucaristica in particolare, che lasci trasparire la comunione presente nella comunità e stimoli a svilupparla ulteriormente nella vita. Ma esige anche (e soprattutto) un impegno caritativo che non può risolversi nella sola elemosina, ma deve prendersi a cuore le situazioni e investire l’intera istituzione ecclesiale. A dover essere praticata è, in definitiva, una strategia concertata e condivisa di cooperazione, che superi il modello, purtroppo ancora diffuso, di leadership individuale e faccia della comunità il vero soggetto operativo.
Baldi ritiene che perché tutto questo si possa realizzare è necessario, in primo luogo, coltivare la capacità di darsi una metodologia di intervento chiara ed efficace e di sviluppare uno stile di animazione semplice ed applicabile. Egli richiama, a tale riguardo, l’attenzione su un modello di approccio tradizionale “vedere, giudicare e agire”, applicato in molte esperienze del mondo cristiano, e su quello meno noto dell”‘albero dei problemi”, che consentono l’attivazione di una strategia di corretta distribuzione dei diversi operatori e una partecipazione allargata della comunità cristiana sul territorio, dando in tal modo vita a un lavoro collettivo.
Ma la sua insistenza verte soprattutto sull’esigenza di una lettura sistemica della situazione pastorale come base per la ricerca di soluzioni adeguate. Il sistema, che si caratterizza per un insieme di elementi interagenti ti con obiettivo comune, consente la delineazione dei soggetti del cambiamento e di ciò che nella pastorale va mutato perché diventi missionaria. In questo quadro vanno prese in considerazione diverse variabili, in particolare quelle tecniche e quelle umane nella loro reciproca interazione, nella consapevolezza che l’identità comunitaria, la quale è frutto di una serie di rapporti e di responsabilità collettive, comporta la scelta di opzioni pastorali e di strutture di ordine organizzativo, capaci di mettere in atto veri processi partecipativi. Nel primo caso, si pensi al necessario ridimensionamento della “pastorale dei sacramenti” in favore dell’attività di aggregazione comunitaria e di evangelizzazione; nel secondo, all’impor-tanza che va assegnata a strutture come i consigli pastorali, dove si deve uscire dalla semplice facoltatività alla effettiva capacità decisionale senza scadere nell’arbitrio e nell’imprudenza.
Il volume di Baldi è un vero e proprio trattato di introduzione alla missionologia (e, per alcuni aspetti, all’ecclesiologia), nel quale i presupposti di fondo di carattere teoretico si intrecciano (e si fondono) con rigore con le istanze operative, offrendo un tracciato di profonda riforma strutturale della prassi pastorale. La missionarietà, che ha nella comunione le sue radici e nell’edificazione della comunità la sua concreta attuazione, obbliga a rivedere il progetto pastorale tuttora vigente in gran parte delle comunità cristiane, abbandonando il monopolio del clericalismo e creando le condizioni per una partecipazione responsabile di tutti i fedeli. Un volume dunque, quello di Cesare Baldi che, per la ricchezza dei contenuti e l’abbondanza dei riferimenti ai più importanti esponenti della ricerca teologica e laica, si impone all’attenzione di quanti intendono approfondire il tema della “missione”. Ma anche un volume che, per la capacità che ha di proporre una visione di chiesa alternativa alla cultura dominante, può diventare un interessante punto di riferimento per chi, religioso o laico, intende impegnarsi nell’opera di edificazione di una convivenza civile più partecipata e più solidale.
Giannino Piana
CESARE BALDI, Riunire i dispersi. Lineamenti di pastorale missionaria, Tab edizioni, Roma 2021, pp. 343.