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Jan Vermeer, Cristo in casa di Marta e Maria, part. (c.1656) - Edimburgo, National Gallery

DONNA PERCHÉ PIANGI?

Paola Cavallari

Jan Vermeer, Cristo in casa di Marta e Maria, part. (c.1656) - Edimburgo, National Gallery

Ha scritto Papa Francesco: “Tutto apparentemente procede nella normalità, mentre in realtà la fede si va logorando e degenerando nella meschinità. Si sviluppa la psicologia della tomba, che poco a poco trasforma i cristiani in mummie da museo”(EG 83).
Domandiamoci, allora, qual è la realtà italiana a proposito della partecipazione dei laici alle attività di evangelizzazione, pastorali, organizzative, liturgiche ecc. che si svolgono nelle parrocchie e nelle diocesi? E quanti di questi laici sono in quella funzione perché considerati fidati esecutori? E quanti sono invece “cattolici adulti” che sono riusciti a resistere ad una più o meno velata coercizione?
Un arcipelago di cattolici “adulti” – minoranza – sappiamo che esiste, anche se ignorato o sottovalutato dai mezzi di informazione. Ne sono la prova numerose riviste e associazioni, molto dinamiche, coraggiose, vitali.

Dove sono le cattoliche laiche attive?
Affrontando il tema con un’ attenzione alle donne, pongo alcune domande.

– Ci sono in Italia spazi in cui  donne sono state coinvolte o in cui sono state accettate nelle comunità cattoliche: in una modalità egualitaria e non paternalistica; con forme rispettose dei loro progetti, della loro operosità, o semplicemente del loro essere?

– Esistono donne in Italia che possono realizzare la loro esperienza cristiana non soffocando l’esercizio della presa di parola in spazi ecclesiali/liturgici  (e a quali livelli?);  donne a cui sono riconosciute la funzione del diaconato nel senso letterale del termine, in quanto hanno assunto la presa in carico di alcuni compiti?  Intendo non solo servizi di “manovalanza” (quella zona opaca che  papa Francesco ha chiamato servidumbre,servitù”, potremmo tradurre)  ma  servizi di autentica diaconia evangelica?

– Esistono donne che in queste realtà  attuano scelte in autonomia, anche in forma sinodale, e si sentono libere di esprimersi senza alcun pregiudizio per il loro genere? Oppure: quanta discriminazione hanno vissuto per essere parte del popolo di Dio femminile? Quanti e quali sussulti e oasi di “discepolato degli uguali” sono invece attivi?

– Esistono e dove sono le donne che esercitano funzioni pastorali / ministeriali dentro la realtà ecclesiale italiana? Donne che hanno riscoperto nel Vangelo e nelle Scritture il proprio desiderio d’amore, che hanno saputo corrispondere al Vangelo con la loro propria memoria di vita, nonchè con la propria singolare ed irripetibile esperienza, e si pongono al servizio non per consuetudini sbiadite ma per un sentire autentico? Esistono e possiamo conoscere le loro voci? o è meglio lasciale avvolte nell’ invisibilità (per un velo voluto da loro stesse)?

– Esistono donne che hanno anticipato i suggerimenti dell’ appello del papa o in esso si sono sentite riconosciute e sostenute: ” Più che mai abbiamo bisogno di uomini e donne che, a partire dalla loro esperienza di accompagnamento, conoscano il modo di procedere, dove spiccano la prudenza, la capacità di comprensione, l’arte di aspettare, la docilità allo Spirito, per proteggere tutti insieme le pecore che si affidano a noi dai lupi che tentano di disgregare il gregge”?(EG 171)

Non si tratta di quote rosa
Ha scritto recentemente L. Scaraffia: “Benché le religiose costituiscano i 2/3 del numero totale dei religiosi, non svolgono alcun ruolo decisionale, e soprattutto non sono ascoltate nelle riunioni in cui si prendono decisioni importanti”. (La Chiesa di Francesco è pronta per una donna cardinale?, Il Messaggero, 9.11.2013).

Introdurre “quote rosa” nel mondo ecclesiale? No, grazie. La logica che reclama incarichi e riconoscimenti di ruoli decisionali e di compiti autorevoli mi pare molto scivolosa. Per due ordini di motivi.
Primo perché accedere a questi incarichi non basta a dare ossigeno alla svolta di cui la Chiesa ha bisogno. Le donne potrebbero essere risucchiate dentro l’orizzonte gerarchico e dei privilegi castali o elitari, nel tourbillon di titoli e ruoli, o nel tritacarne della competizione; come è successo in non poche occasioni in istituzioni pubbliche (politiche e culturali) ed imprese.
Secondo – e soprattutto – perché qui si tratta di Regno di Dio e non di società civile, si tratta di Evangelo e non solo di democrazia. Il vangelo ha suscitato un ribaltamento inaudito, in Gesù. Non si tratta di salire, ma semmai di scendere, di spogliarsi da ogni onore: la meta è “lasciare tutto”. Sogno uomini che lavino i piedi alle donne e donne che li lavino agli uomini, in reciprocità. Sogno quindi uomini ordinati, ministri, che rinuncino ai segni del potere.

È questo un punto decisivo: la prospettiva “rivendicativa” (rivendicazione intesa come tattica e strategia di azione, non nel senso di “domanda di giustizia”) è tristemente fiacca e deforma ancora una volta la nostra vocazione di cristiani. Il discepolato dovrà essere inclusivo, di tutti, dovrà avere come modello solo il Vangelo. Tutti dovrebbero tendere all’abbassamento, alla povertà, ad essere “minimi”; con timore e tremore, porsi nella sequela in Cristo, senza le dorate separatezze introdotte di soppiatto dopo di Lui. (“A tutti [Gesù] si rivolge con la stessa voce solare, come se non ci fosse nè virtuoso, nè canaglia, nè mendicante, nè principe, ma solo, ogni volta, due esseri viventi faccia a faccia, e in mezzo ai due la parola che va e che viene” (C. Bobin, L’uomo che cammina).

Non vorrei essere fraintesa. Ciò non vuol dire che le donne non debbano essere riconosciute per quel che sono e sanno: per le loro competenze nella sfera organizzativa, per le conoscenze, studi, ricerche, nelle facoltà teologiche, nei convegni scientifici, e in ogni situazione in cui il loro sapere, la loro intelligenza, il loro sguardo di donna sono contributi importanti.
Il convegno tenuto al monastero di Camaldoli, Una Chiesa di Donne e Uomini, nell’agosto del 2014, ha brillantemente illustrato come tali “pari opportunità” siano ancora remote. L’ufficialità della Chiesa cattolica non ha dato alla produzione intellettuale delle donne in campo teologico  diritto di cittadinanza, essendo considerata pregiudizialmente inadeguata in  confronto alla razionalità teologica maschile.   La maggior parte dei chierici,  “funzionari della Parola”,  irride alle  pubblicazioni delle  teologie femministe o di genere;  anche se  poi, in realtà, ne ignora  i veri e reali contenuti. Dov’è la  differenza col mondo secolarizzato

Guardare al volto vero delle donne
Perchè occuparsi ancora di donne? Perché nei loro confronti si cela qualcosa di indicibile. Il non detto si annida nei meandri di una oscura paura del femminile, paura che si mostra con evidenza ogniqualvolta si celebra con enfasi la sacralità del femminile, che si compirebbe esclusivamente nel materno, luogo di sconfinata tenerezza e oblatività. Un’ esaltazione che rivela le tracce di una fissazione, un desiderio di reinfetazione  in cerca di protezione ossessiva.  La  donna reale, in questa strozzatura, non sarà conosciuta come un Volto altro, come persona che “mi guarda”. Deve restare sempre e solo “guardata”. E lo sarà come madre, nutrimento vitale, fonte inesauribile di pienezza di vita, garanzia di sopravvivenza per quell’ uomo che continua a cullare i suoi bisogni di bambino. Bambino non è più, ma se l’autenticità della relazione è negata, egli non accederà alla maturità, al suo divenire/essere umano.

In questo campo, le posizioni del Magistero della Chiesa sono sorprendentemente convergenti con quelle di una cultura patriarcale del mondo borghese e secolarizzato, le cui forme sono state indagate da tempo nel movimento delle donne. È stato messo a fuoco con lucidità la riduzione della realtà femminile in icone  simmetricamente speculari, ma entrambe rigide: la donna santa e la donna tentatrice. Strabismo che secoli di cristianesimo non solo non hanno estirpato (e a implorare tale ribaltamento c’era tutto il messaggio di Cristo), ma hanno sostanziato, inverato. Gesù toccava i volti e le persone toccavano le sue vesti; la Chiesa invece teme il corpo, il contatto, tanto più con le donne.
Il magistero ha impiegato molto tempo a chiedere scusa per avere sottovalutato o ignorato l’ apporto che l’antigiudaismo – perpetrato nei secoli nei suoi riti: si pensi al “Preghiamo anche per i perfidi Giudei…”- ha provocato nella diffusione della ferocia dell’antisemitismo. Soffocata nel proprio intimo, ma nondimeno balbettante, si annida una domanda nell’animo di molti ecclesiastici: tanta violenza contro le donne nel mondo non si nutre anche della cecità della Chiesa per il loro Volto, per il loro volto vero, che abita la creatura che esse sono?

Il Volto di Dio è maschile e femminile
Non possiamo abdicare dal compito di nominare l’usurpazione avvenuta nelle chiese: le attuali guide (il sacerdozio ordinato, esclusivamente composto da soli uomini) si sono impossessate della Vigna, tradendo la forza del messaggio inclusivo di Gesù.

Il Volto di Dio è maschile e femminile. La chiesa, se è Casa del Padre e della Madre, ha il compito di rifletterlo: anch’ essa deve manifestare un volto maschile e femminile. Per cui le donne cristiane non possono non sentirsi chiamate a recuperare l’antica radice, a “restituire” a Dio quello che è di Dio e consegnare alla comunità l’integrità di questo Volto.
La Bibbia è fonte inesauribile come ispirazione e guida; tramite essa crediamo che la donna, nella volontà di Dio, abbia una dignità assolutamente uguale e una natura per nulla deficitaria rispetto quella dell’uomo.” Maschio e femmina li creò” (Gn 1,27). Ma quanto, nei gesti nei documenti, viene tradita e smentita  tale Parola?

Il Soggetto-Uomo non è l’unico, “il” rappresentante dell’umanità; la componente maschile è un polo che deve relazionarsi all’altro polo (evocando in lontananza l’eco dell’armonia degli opposti). Ciò che ci dice Genesi è che a lui è donata dall’origine una natura volta a risvegliare in sè l’apertura all’umano, alla bellezza della creaturalità: ma questa si scioglierà e si illuminerà solo in rapporto a l’Altra, Lei. L’Altro è qualcosa d’oltre un semplice altro uomo, simile, perché l’Altro risplende di una differenza molto più sostanziale, rappresentata dalla Donna.
I due sarebbero complementari? Termine più appropriato di complementarietà è Dialettica: tra i Due fermenta una Dialettica feconda e inesausta che, in obbedienza al testo sacro, non si ricapitola nell’Uno.

Sacerdozio femminile?
Ordinazione delle donne: questione “eversiva”, non solo nei palazzi apostolici ma anche nelle periferie parrocchiali. È incredibile la coltre di nebbia, l’assenza di ragionamenti che avvolge questo tema. Un silenzio greve, spaventato, restio a ragionare sulle motivazioni, diversificate nel tempo, che il magistero romano ha addotto e tanto bene inculcato. Operazione riuscita, visto il silenzio che avvolge il tema. Ma un tale tacere non è forse imparentato con la disaffezione e disillusione che sempre più ricadono nelle assemblee cattoliche?

Molte teologhe cattoliche, all’ eventualità dell'”ordinazione” femminile, risponderebbero che il sacerdozio, così com’è, proprio non interessa loro. L’argomento non dovrebbe costituire un tabù ma una materia su cui confrontarsi, con parresia e umiltà. Il confronto e l’attenzione occorrono soprattutto perché donne e uomini possano percepire che un dialogo su tali temi apre una finestra che irradia un benefico ossigeno.
Per l’animo femminile, dove si annidano da secoli domande sofferte e sincere. Esordiva proprio con questa espressione, nel 1981, il Cardinale Martini al convegno «La donna nella Chiesa oggi», interpretando il disagio di fronte al retorico ritratto della «donna cristiana» (Mulieris dignitatem). Egli si rendeva conto che in tale modello le donne a stento trovano il conforto, poiché esso, smontato, non appare altro che una proiezione dell’immaginario maschile.

Per l’animo maschile, soprattutto a partire dai ministeri consacrati. Sia l’uomo che Dio sono relazione, ma di fatto i membri ordinati della Chiesa, per lo più, si comportano alla stregua di  fortezza assediata.
“Il fine del seminario è quello di educare i futuri preti… un’ istituzione totale per forgiare funzionari della religione, dunque molta ideologia sacrale, un continuo insinuare l’esemplarità della vita sacerdotale come separatezza; di conseguenza una sottile, continua violenza repressiva rispetto all’affettività e alla sessualità, con l’ossessivo allontanamento della donna, considerata un pericolo per il sacerdote[…] Importante farne un funzionario garante dell’istituzione religiosa; talmente efficiente da essere in grado di […] nascondere, dietro la brillantezza ammirata dei riti religiosi, una fede tiepida, scarsa, insignificante.” Così Pierluigi Di Piazza, sacerdote friulano, in Fuori dal Tempio. La Chiesa al servizio dell’umanità, Laterza, 2011 (pp. 15-16): una delle poche e coraggiose voci che si sono espresse a riguardo.

** ** **

Questi pensieri germinano da ciò che il Signore ci ha indicato e cioè che è la spoliazione che libera. Spero si esca dal silenzio.

Paola Cavallari
paola.cavallari@me.com
Membro della redazione di Esodo, rivista e associazione aderenti alla Rete dei Viandanti

16 Commenti su “DONNA PERCHÉ PIANGI?”

  1. Ieri Papa Francesco ha detto di nuovo delle belle cose che riguardano la posizione di inferiorità delle donne nelle retribuzioni. Dobbiamo tutte e tutti ormai unirci per queste ed altre, numerose, rivendicazioni civili insieme a quelle, giustissime, ecclesiali. E’ proprio questo mi sembra il momento giusto per conoscerci e lavorare insieme.

  2. A Paola Cavallari siamo debitori d’una riflessione necessaria, ma che lei ha saputo condurre con il coraggio di uscire da ogni banalità.
    Credo che nel vivere più quotidiano le donne ancora fatichino a sentire l’eco di qualcosa che in loro è oltre/e altro. Come se la donna stessa faticasse, lei per prima, a viversi come quel Volto altro di cui si parla nel capitolo titolato per l’appunto “Guardare al volto vero delle donne”.
    Un cuore pensante e creativo è quello a cui tutti, donne e uomini, siamo chiamati, e Paola Cavallari lo ricorda, lo ribadisce con forza sin dalla premessa. E da quella si dipana così la centralità della questione: nella dismisura dell’amore, la tensione deve essere verso l’abbassamento, la povertà…l’essere “minimi”! La logica è ribaltata (si sente la prospettiva di Simone Weil in questa proposta): ma perché è Gesù il primo che agisce, incarna, testimonia questo ribaltamento. Nel suo stesso modo di porgersi, di essere in relazione: si pensi solo all’incontro con la Samaritana…
    Non mi pare allora casuale che, proprio nella storia che oggi percuote il mondo, l’amputazione del femminile – nel senso più lato – sia la cifra dell’isis. Ferocemente e con una pornografica, ossessiva esibizione. E così è stato ed è in tutte le derive religiose d’ogni tempo (non voglio nemmeno citare qui l’espressione “integralismo islamico”). E’ sul femminile che si è sempre chiuso un autentico “respiro religioso”. Tradendo l’origine: maschio e femmina li creò.
    Credo però che Paola ci abbia indirizzato in modo corretto verso quella finestra – quella, e non un’altra – da aprire per far entrare un vento buono nelle stanze di questa riflessione.
    Quindi grazie Paola.

  3. Cara Paola, molto positivo è l’eco del tuo intervento, che occorre continuare ad alimentare. Per questo è bene che abbiamo accolto la tua proposta di dedicare al tema un numero della rivista ESODO e di organizzare incontri. Ti ringrazio. Non ripeto quanto altri hanno già scritto sull’impostazione innovativa che hai dato. Sottolineo il punto che mi sembra centrale. Non si tratta infatti di rivendicare posti e ruoli alle donne in questa struttura della chiesa. Come giustamente scrivi, si rischia quanto avviene in politica e in atri ambiti che anche la presenza femminile avvenga per cooptazione, in base alla fedeltà al capo di turno. Ma, andando ancor più alla radice, come dici, la chiesa non è una democrazia, una società. Per questo non basta neppure il discorso di Francesco che esalta il posto delle donne. Porre il tema del loro sacerdozio significa infatti ripensare alla radice il sacerdozio del popolo di Dio, i ministeri, la sacramenalità, la sinodalità. Il punto di vista di parte, reso subalterno e marginale, se viene riproposto mette in discussione secoli di storia e di dogmi che hanno costituito la cristianità, pone la necessità di passare da una chiesa “basilicale” (in cui la bellezza stessa è subordinata alla forza) ad una “domestica”, minore, povera, in cui le virtù femminili prevalgano e si spoglia di sovastrutture nella prassi e nella teologia. È comprensibile che di questo si abbia paura. Ma proprio per questo il problema riguarda la messa in crisi del ruolo e del pensiero maschile, dell’antropologia fondata sulla forza che riserva alle donne la sacralità della natura e dell’interiorità. Con Simone Weil direi che la chiesa come l’umanesimo “laico” hanno legato alla forza delle strutture il primato della verità e della bellezza.

  4. Grazie Paola. La tua riflessione é molto bella e fa molto pensare anche me,maschio non per scelta. Il contenuto di questa tuo breve saggio evidenzia una questione radicale dentro il cristianesimo: l’impossessamento della
    “struttura Chiesa” da parte dei maschi, nel loro insieme, intesi come genere, che decidono le sorti dell’umanità (non solo cristiana) e solitari mediatori col divino. Che dire? Se é vero, come tu dici, che tutto questo significa
    deprivazione di una vera e sana identità anche per i medesimi maschi, credo
    che la mobilitazione per il cambiamento non debba vedere come uniche protagoniste le donne ma anche i maschi, almeno quelli che sono alla ricerca di dimensioni esistenziali depurate dalle sovrastrutture di potere e
    di (falsa) autorità. Grazie per davvero per questo tuo contributo.
    Carlo Beraldo

  5. Cara Paola, leggo solo oggi le tue parole e sono lietamente commossa di ritrovarmi in ognuna di esse!Sono sposata, socia del CTI e impegnata nella mia parrocchia in un “Diaconato NERO” full time come molte altre: Sono catechista,ministro straordinario,coordinatrice della mensa che fornisce circa 800 pasti a settimana agli indigenti. Mi è piaciuto molto anche il contributo di Giovanni Ferro. In estrema sintesi vorrei dire che la Chiesa, che io amo e servo, si definisce MADRE ma è guidata e retta esclusivamente da PADRI, e nessuno sembra coglierne l’incoerenza,per superare questa scerosi forse,con un gioco di parole molto serio sarebbe bene passare dal GESTIRE AL GESTARE INSIEME, DONNE E UOMINI AMATI DAL SIGNORE!

  6. Cara Paola, La saluto cosí anche se arrivo dall’ignoto pur essendo amici, fratello e sorella, da sempre. Sono sacerdote, cattolico romano, e devo dirlo perché nella Cristianità di Germania dove vivo da decenni, la donna nella Chiesa ha una vicenda ed un’attualità diversa da quella visibile in Italia – per esempio. Nella Chiesa Evangelica “con” la quale noi viviamo in intimità quasi sempre, le colleghe “sacerdote” (pastore/parroche) sono una realtà: non siamo ancora all’ideale. Ma non è poco se in Germania abbiamo anche quattro Vescove di Chiese Regionali. E questo già da molti anni. Fra i colleghi miei evangelici (qui si usa meno il termine “protestante”) le colleghe sono “i” migliori: le migliori. Nel mio mondo complesso di emigrazione on tante frontiere bellissime e drammatiche, le colleghe sono quelle che incarnano meglio il Vangelo e le più sapienti. Le Chiese Evangeliche di Germania sarebbero già in agonia dopo 500 anni di Riforma (fra due anni) se le donne non avessero incarnato un modo diverso di essere pastore/sacerdotesse. Lei ha capito che per me il fatto che la donna non può essere sacerdote come lo sono io, è un dramma mio personale psicologico e teologico. Che nella Cattolicità siamo ancora al punto che Lei descrive e Sue colleghe sottolineano nei commenti, è uno scandalo. Su questo io sono molto triste. Sono un sacerdote celibe eroicamente fedele, non ho nevrosi e ossessioni per la realtà “donna” e sono un cattolico fedele e libero. Perché rigenerato da un grande cammino fra sofferenze di vario genere. Questo mi ha insegnato libertà e intuizioni che per altri sono assurde. Continuo ad essere sacerdote anche da circa vent’anni fa, quando sono stato trapiantato da un organo vitale che non sono più sicuro che venisse da un uomo-uomo. Sono sacerdote ordinato nell’anno 1968. Vorrei dire altre cose, ma ho appena scoperta questa “pagina” e io sono una persona che non ha mai tempo su questi parametri di comunicazione. Ma se Lei crede, sono disponibile a dire anche qualcos’altro. Professionalmente faccio anche molto altro. Purtroppo sono un cattivo teologo e ignorante in discipline e linguaggi in cui Lei potrebbe essermi maestra. Mi scuso per questo. Ciao e le voglio bene. Sacerdote fedele cattolico-romano Giovanni.

  7. Ho letto l’articolo di Paola Cavallari e faccio anch’io qualche considerazione sull’argomento “Donne e Chiesa”. Le cose scritte da Paola sono così chiare ed essenziali che non c’è proprio bisogno di aggiungere molto altro. Mi sento di fare solo un breve commento al n.4 “Perché le donne soprattutto”. Paola scrive: “le posizioni del Magistero della Chiesa sono sorprendentemente convergenti con quelle di una cultura patriarcale del mondo borghese e secolarizzato, le cui forme sono state indagate da tempo nel movimento delle donne e ormai molto assimilate”. Io penso che la realtà del mondo femminile cattolico sia oggi molto variegata e disomogenea e i discorsi sul coinvolgimento delle donne in temi di giusti riconoscimenti dei veri valori delle donne nelle strutture ecclesiastiche passa anche per una crescita umana generalizzata nella famiglia e nella società le cui prime attrici dovrebbero essere proprio le donne. Io, con sincero realismo, non vedo molto significativa questa giusta richiesta di rivalutazione da parte di molte donne, anziane e anche giovani. E mi rendo conto che la realizzazione di una “cultura patriarcale” largamente presente ancora nella nostra società a tutti i livelli non facilita il riconoscimento del vero valore delle donne nella società ecclesiastica.
    Quante donne nelle nostre famiglie cercano e riescono ad instaurare coi loro compagni e mariti modalità di vita e di comportamenti ispirati a criteri di vera compartecipazione? Quante riescono ad avere un comportamento che valorizzi nei figli (maschi o femmine) la specificità femminile così ricca anche se diversa? Quanti insegnanti a scuola mentre insegnano grammatica e storia hanno comportamenti e danno taciti insegnamenti che valorizzino la giusta specificità femminile?
    E poi. C’è un bel numero di donne attualmente presenti nelle strutture ufficiali della Chiesa (Congregazioni centrali, mezzi di comunicazione, consigli pastorali, catechiste, ecc.) Queste donne parlano di questi temi con coraggio e verità ogni volta che se ne presenta l’occasione? (naturalmente in speranzosa attesa che il Diritto canonico cambi formule e diritti!)
    Quanti sacerdoti anche tra quelli più illuminati, nelle Omelie o in tutte le occasioni che hanno di parlare al popolo di Dio, includono temi che riguardano anche quello del superamento di schemi e pregiudizi riguardo al vero ruolo della donna oggi nella famiglia, nella società e nella Chiesa, anche alla luce della figura di Cristo?
    Poiché oggi non è più possibile staccare la Fede dalla vita (vedi Papa Francesco!) e neanche è più possibile separare i nostri problemi religiosi da quelli sociali e di relazione ( la globalizzazione è anche questo) , la questione della donna nella Chiesa non può essere separata dal complesso della questione femminile estesa ad ogni ambito, religioso, legislativo, comportamentale, familiare.
    Mi sembra che le giustissime rivendicazioni che riguardano la partecipazione delle donne nella Chiesa vadano senz’altro proseguite, ma collegate strettamente con quelle umane e civili. Mi sembra anche che una vera liberalizzazione della donna in ogni campo richieda sempre più un impegno forte di tutte e tutti. Speriamo!!!

  8. Mi sembra un contributo di grande valore, ben pensato e molto equilibrato. Mi spiace che finora i commenti siano solo al femminile; l’uguale dignità di tutti nel popolo di Dio dovrebbe interessare uomini e donne, anzi soprattutto i maschi che finora hanno sofferto di un’ingiusta situazione di privilegio, che ancora persiste; dico “sofferto” e non “goduto”, perchè la sopraffazione fa male anzitutto a chi ne trae vantaggio.

  9. Grazie Paola, prezioso contributo. sono particolarmente d’accordo con la prospettiva di una ‘rivoluzione’ che coinvolga tutti, uomini, donne e che si basi esclusivamente sulla rivoluzione portata dal Vangelo e dall’atteggiamento che Gesù ha avuto con tutti. Credo che al di là degli apporti-anche se non riconosciuti- delle studiose donne, la presenza della donna nella Chiesa dovrebbe portare prepotentemente la diversità del suo sguardo sul mondo e sull’altro, il respiro della sua capacità di vivere nell’accoglienza e non nella diversificazione, il calore che la donna ha nel custodire e nel prendersi cura. Senza accondiscendere invece nei ruoli di perpetua (spero che si capisca il tutto che questo termine evoca) che opera in nome e per conto. Anche a rischio di venire emarginate, di uscire da certe situazioni che invece sono imbalsamate, di andare a cercare altro e nuovo. Possiamo essere capaci di piccoli e grandi sommovimenti. Se rimaniamo salde nella nostra peculiarità di donne. Grazie e continuiamo il confronto. un caro saluto Monica

  10. Grazie Paola di questa tua lucida analisi. Conosco poco il lavoro di pensiero delle donne di fede, delle teologhe femministe e di movimenti di donne dentro le istituzioni ecclesiali. Conosco molto di più il pensiero delle donne e il movimento femminista nella società e in politica e colgo le differenze tra le “rivendicazioni” di pari opportunità e la sorgività di un pensiero che va oltre la misura del maschile. Ben vengano più donne nelle istituzioni politiche e nella Chiesa, ma credo che la sfida sia affermare un pensiero autonomo delle donne che trova parole e mediazioni proprie per dirsi e per governare, come suggerisce Annarosa Buttarelli nel suo ultimo testo “Sovrane”. Certo in relazione con l’Altro, col maschile che non può che ridefinirsi quando le donne smettono di accettare il loro ordine simbolico costruito sulla sudditanza di un genere. Dentro l’unica realtà che ci è data, senza più separatezza. Frequento un gruppo di preghiera a Mestre e mi piace il nostro raccontarci attraverso la Parola. Questa per ora è per me l’unica strada che percorro nella Chiesa. Ma anche con donne laiche parlo di Dio e mi piace il nostro confronto. Come mi piace questa opportunità offerta da Paola. Un caro saluto Franca Marcomin

  11. Grazie a Paola Cavallari che, con le sue preziose parole, ci aiuta a riflettere. Le chiacchiere vuote non servono, lamenti e recriminazioni neppure, bene invece spendere luminose parole per aprire spazi di riflessione e di dialogo. E’ già fin troppo tardi…..dovremo, fra pochi anni, assistere allo squallido spettacolo di un più forte coinvolgimento femminile nella Chiesa dovuto esclusivamente alla mancanza di uomini? Gesù non ci ha mostrato questo!

  12. Ho letto con estremo interesse lo scritto di Paola Cavallari, io non sono religiosa, ma non per questo ho rinunciato a una ricerca spirituale, anzi. Quanto scrive mi pare la fotocopia esatta di quello che accade nella vita “civile”.Un’analisi molto lucida.Dovremmo fidarci di più di noi stesse, della nostra mente e dei nostri originali punti di vista. Grazie.
    Daniela

  13. Io dico semplicemente una cosa: noi donne dovremmo farci sentire di più negli attuali movimenti di riforma della Curia che il Papa sta attuando… ora è il momento favorevole… muoviamoci… tutte insieme…

  14. Il mondo cammina, ma la Chiesa, come diceva bene il Cardinale Martini, resta indietro di almeno 200 anni…..e forse più.
    Speriamo che la ripresa, iniziata con la coraggiosa iniziativa di Papa Francesco, riguardi anche questo punto, che è stato un tabù per secoli, tabù innominabile e intoccabile, come bene sostiene Paola Cavallari

  15. Laiche ben formate e che sempre hanno amato la chiesa possono trovarsi del tutto emarginate perchè non plaudenti sempre e comunque,a ragione e a torto di fronte a chi dirige. Chi non è disposta alla dipendenza è resa velata e senza voce di fronte a presbiteri poco o mal preparati o chiusi nel si è sempre fatto così….. a volte si è aiutato nell’ombra senza che questo sia servito a nulla. Gli uomini di Chiesa non sanno neppure farsi amare nella giusta distanza, vogliono solo il plauso, ma in Gv 5,44 si legge “E come potete credere voi che prendete gloria gli uni dagli altri e non cercate la gloria che viene da Dio solo?” pare che i certi ambienti non lo abbiano mai letto… ma il Signore continua a fare i suoi doni liberamente….
    Paola Cavallari ha fatto bene la sintesi, per cui chiudo.

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