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ECUMENISMO LA TAPPA DI BUSAN

Luigi Sandri

Qual è lo stato dell’ecumenismo, oggi? Alla vigilia della «Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani» (18-25 gennaio p.v.), un termometro abbastanza preciso, pur senza essere esaustivo, per valutare la situazione, può essere considerata la 10ª Assemblea generale del Consiglio ecumenico delle Chiese (Cec), svoltasi a Busan (Corea del Sud) dal 30 ottobre all’8 novembre 2013, per riflettere su “Dio della vita, guidaci alla giustizia e alla pace”. Presenti circa duemilasettecento persone, tra le quali 902 delegate e delegati delle 345 Chiese membro (ortodosse, anglicane, protestanti, a altre). La Chiesa cattolica romana non fa parte dell’organismo – il cui quartier generale è a Ginevra – e tuttavia collabora con il Cec in vari modi e in diversi campi. Papa Francesco ha inviato a Busan una delegazione di venticinque persone e un cordiale messaggio beneaugu-rante.

Il contesto coreano dell’Assemblea
Dal 1953, la penisola coreana è divisa in due Stati: la Corea del Nord, in mano ad una dinastia comunista che schiaccia le libertà politiche e la libertà religiosa, e che, investendo enormi somme negli armamenti nucleari, lascia alla fame milioni di cittadini; e la Corea del Sud, paese ogni tanto striato da regimi autoritari, e oggi diventato una delle potenze emergenti in Asia, con uno sviluppo economico – seppure segnato da disuguaglianze – rilevantissimo; e, anche, con una visibilissima crescita dei cristiani (neo-pentecostali e presbiteriani, in particolare). Poco più che simbolica cinquant’anni fa, questa presenza oggi rappresenta il 30% della popolazione (il 10% i cattolici), ed è in continua espansione, caratterizzata tra l’altro dalla costruzione di templi  modernissimi, con una capacità di oltre ottomila posti a sedere, la domenica sempre pieni. Ma crescono anche i gruppi cristiani fondamentalisti, che quotidianamente hanno manifestato ai lati del luogo ove si svolgeva l’Assemblea, gridando: “Il Cec uccide la Chiesa. Sostiene comunisti e omosessuali. E’ il diavolo”.

Il dialogo teologico sull’autorità nelle Chiese
Per favorire sul piano teologico la riconciliazione, nel rispetto di legittime diversità, il Cec si serve in particolare di Fede e Costituzione, una commissione che studia appunto i problemi teologici e/o dottrinali, offrendo poi le sue conclusioni alle Chiese, che possono o meno accogliere le sue proposte. Tra i centoventi membri di Fede e Costituzione vi sono dodici teologi cattolico-romani, e questo fa intuire come certe sue affermazioni abbiano una particolare importanza.
Ebbene, Fede e Costituzione, dopo un impegnativo lavoro in incubazione da anni, formalmente iniziato nel 1993 e portato a termine nel 2012 a Penang (Malaysia), ha elaborato La Chiesa: verso una visione comune, un testo di convergenza che si innesta su Battesimo, eucaristia, ministero concluso nel 1982 a Lima.
Analogamente a quello peruviano che arrivava a significativi consensi su tre temi capitali, quello malaysiano registra importanti assonanze sulla comprensione teologica della Chiesa, sul suo “identikit”. Ma permangono punti irrisolti: tra essi il testo indica il problema dell’autorità nella Chiesa e nelle Chiese e, dunque, in prospettiva, del primato petrino. L’Assemblea di Busan ha lodato il lavoro di Fede e Costituzione, vivamente raccomandandolo allo studio e alla riflessione delle Chiese.

Divisi su ministeri femminili e omosessualità
Al di là di convergenze e divergenze sul piano strettamente teologico e/o dottrinale, oggi le Chiese sono provocate da problemi di prassi, di bruciante attualità, ogni giorno crescenti: i ministeri femminili e l’omosessualità.
Le Chiese anglicane, e quelle legate alla Riforma, in gran parte hanno aperto il pastorato e l’episcopato alle donne: ipotesi inammissibile per l’Ortodossia (oltre che, almeno a livello ufficiale, per la Chiesa romana). Le due questioni, a Busan, non sono state affrontate direttamente in documenti dell’Assemblea; ma a mettere il piede nel piatto ci ha pensato il metropolita Hilarion di Volokolamsk, presidente del Dipartimento per gli affari ecclesiastici esterni del patriarcato di Mosca, in sostanza il «ministro degli esteri» della Chiesa russa. Intervenendo in plenaria, ha affermato: «Il laicismo militante attacca non solo i santuari e i simboli religiosi, reclamando la loro eliminazione dallo spazio pubblico. Una delle principali mire della sua attività è la distruzione deliberata dei concetti tradizionali di matrimonio e di famiglia… La Bibbia non conosce altre forme di matrimonio che l’unione tra uomo e donna, e considera peccato la convivenza di persone dello stesso sesso… Sfortunatamente, oggi non tutte le Chiese cristiane hanno il coraggio di difendere gli ideali biblici contro la moda, contro la ideologia laica predominante».

Nelle Chiese per le donne il cammino è ancora incerto
Ben diversa la prospettiva di Cecilia Castillo Nanjari, della Mision Iglesia Pentecostal del Cile, e coordinatrice continentale della Pastorale delle donne e giustizia di genere del Consejo Latinoamericano de Iglesias (Clai): «In relazione alle donne, le Chiese continuano a voler controllare la loro sessualità, il loro corpo e la riproduzione, come pure a sostenere un unico concetto di famiglia che però non rispecchia le varie realtà. Debbo purtroppo constatare che fino ad oggi in America latina, e in altre regioni del mondo, il riconoscimento integrale dei diritti umani delle donne non è stato debitamente dibattuto e adottato nelle Chiese, le quali si basano su letture bibliche androcentriche decontestualizzate… Annunciare il vangelo della vita ha a che vedere con le esperienze della gioventù che denunciano le cattive pratiche anchilosate delle nostre Chiese e società patriarcali, annunciando che vi sono cambiamenti di paradigmi e tempi nuovi tra le generazioni».

In pellegrinaggio verso la giustizia e la pace
Ascoltate alcune relazioni in plenaria – tra esse, quella del segretario del Cec, il pastore luterano norvegese Olav Fykse Tveit, e poi del brasiliano Walter Altmann, moderatore del Comitato centrale (l’assemblea di centocinquanta persone che tra un’Assemblea e l’altra rappresenta la massima autorità del Cec) – i partecipanti alla 10ª Assemblea si sono poi suddivisi in decine e decine di gruppi di lavoro per approfondire altrettanti temi: alcuni di carattere teologico, i più di carattere geopolitico o sociale. In questo senso, si può dire che (quasi) tutti i problemi gravi oggi incombenti su mondo siano stati affrontati: l’interminabile conflitto israelo-palestinese, la crisi nei paesi dei Grandi Laghi africani, la difficile situazione dei cristiani in Pakistan, il contrasto Sudan/Sud-Sudan, le stragi in Nigeria, i diritti infranti dei popoli indigeni, la corsa agli armamenti, le persecuzioni anti-cristiane, le violenze contro le donne, l’Aids, la divisione della penisola coreana… Quest’ultimo tema era, com’è ovvio, particolarmente sentito.
Il grande incontro di Busan si è concluso con un messaggio che invita i fedeli di tutte le Chiese ad iniziare un “pellegrinaggio verso la giustizia e la pace” che dovrebbe condurle fino alla 11ª Assemblea generale, che si terrà forse in Medio Oriente (a Gerusalemme?) nel 2020, sperando che, allora, la pace oggi là sognata sia realtà.

Luigi Sandri
Vaticanista per Ecumenical News International. Scrive per la rivista Confronti e per i quotidiani Alto Adige e Trentino.  E’ stato corrispondente dell’Ansa da Mosca e da Tel Aviv. Ha pubblicato recentemente il volume: Dal Gerusalemme I al Vaticano II. I Concili nella storia tra vangelo e potere (Il Margine, Trento 2013).


3 Commenti su “ECUMENISMO LA TAPPA DI BUSAN”

  1. Sarò ingenuo e semplicistico, ma credo che le diversità teologiche, dottrinali e disciplinari non siano ostacoli all’unità, che dovrebbe consistere semplicemente nella reciproca, completa e trasparente accettazione. Ciascuna chiesa dovrebbe continuare a sostenere le proprie regole e convinzioni su ministeri, donne, sacramenti e liturgie, purché non siano in contrasto con il Vangelo.

  2. Sono profondamente d’accordo. Se una religione o una confessione non metabolizza che la fede dell’altro ha la sua autenticità e questa autenticità ha lo stesso valore della propria autenticità non potrà mai essere l’ecumenismo.
    Claudio Michelotti

  3. La debolezza del messaggio finale dimostra le difficoltà dei lavori dell’assemblea, incentrata, oltre che sui conflitti su cui non è difficile trovare un’intesa condivisa, su questioni che dividono (e mortificano) le chiese come i ministeri femminili e l’omosessualità, che ancora intrigano anche il pur coraggioso anglicanesimo. Ma il “segno” più eclatante per indicare l’arretratezza del dibattito in corso è la mancata condivisione dell’eucaristia. E l’inconsistenza del dibattito teologico. Non è il caso di ricordare che internet conta oltre 30.000 credenze religiose nel mondo. Sembra assurdo restare divisi tra credenti che confessano lo stesso Gesù Cristo e accolgono lo stesso battesimo; mentre sarebbe urgente colmare l’abisso che divide la fede in Dio tra culti e fedi diverse nei confronti delle quali converrebbe usare non più solo interesse, rispetto e tolleranza, ma allentamento dei presupposti dogmatici di verità che rendono le religioni fortezze da difendere. Non a caso anche a Busan emergono i fondamentalismi di chi percepisce il passo della storia come minaccia.
    Oggi tutte le religioni sono al palo. Le tradizioni sopravvivono diventando razionalmente illeggibili: in non pochi casi si consolidano in credenze più o meno superstiziose e rappresentano convenzioni non più realmente sentite ma pur sempre consolatorie oppure pericolosamente inclini alla radicalizzazione. L’urto della modernità, la complessità sociale, la percezione globalizzata del mondo, la crescita dell’istruzione pongono domande a cui le teologie non sono preparate a rispondere. Un test è lo stesso documento finale di Busan: non basta esecrare guerre e armamenti o essere “insieme per la vita”, se ciascuna chiesa non parte dal riconoscimento della propria mancanza di certezze su che cosa mai siano la vita e la morte e sulla necessità di potenziare rinnovandolo il bisogno simbolico che ci caratterizza tutti. Gli stessi riti vanno risignificati e per questo, per i cattolici, uno dei mancati adempimenti del Concilio Vaticano II è proprio la mancata riforma liturgica. Chi non adempie il precetto della messa domenicale non ha abbandonato la fede: semplicemente non la trova lì. E così chi vi assiste e riceve l’eucaristia imboccato come i neonati non riceve senso per vivere coerentemente una settimana. Non siamo più gli stessi della messa tridentina. Gesù non ha inventato la messa: ha solo chiesto di fare memoria. Non sono più gli stessi nemmeno gli sprovveduti: nei paesi occidentali tutti hanno almeno la licenza media se non la laurea, mentre nei paesi del non-sviluppo (?) girano i cellulari e si digita.
    Allora a quanti credono nell’ecumenismo si prospetta un nuovo livello di ricerca. Intanto la parola resta ostica anche per i non analfabeti. In secondo luogo forse si dovrebbe riandare all’origine della parola: la traduzione letterale riconduce all’universale, al globale, alla mondialità. Inventata in area cristiana allude alla dimensione universalizzante del Cristianesimo, una visione che, anche se non induce a conversione e dominio, resta poco plurale. E’ ben noto che il termine fa semplice riferimento ad una difficile fratellanza/unione tra chiese cristiane; ma proprio l’incapacità a rafforzare l’unità nella differenza può trovare una composizione nella visione di un orizzonte più ampio (che oggi è il solo orizzonte a cui guardare) aperto a tutte le fedi. Ognuno conosce Dio nella propria lingua e gli dà nomi diversi e solo l’ignoranza fa dire che l’islamico crede in Allah e non nel “nostro” Dio. Perfino il politeismo distingue le forze di un divino intuitivamente unico. Come costruire la pace o anche solo contribuire al suo realizzarsi, se non impostiamo le relazioni di fede sul rispetto della libertà religiosa?

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