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LUMEN FIDEI LA FEDE COME CAMMINO

Fulvio De Giorgi

La fede è l’incontro personale con la persona vivente di Gesù: è accoglierlo come Signore, come Liberatore. Gesù è il Pedagogo e la Pedagogia: è via, verità e vita. La pedagogia della fede sarà anche istruzione sulle verità rivelate e credute, ma prima ancora è adesione a Gesù-via (al suo Insegnamento-via) e dunque cristoconformazione: innesto personale e vivente in Gesù-vita.
Papa Francesco, sulla scorta della Parola e della grande Tradizione cristiana, presenta così la fede sia come cammino (Gesù-via) sia come luce che illumina quel cammino (Gesù-verità): ma il cammino non si può sperimentare se non camminando, cioè realizzando nella propria vita l’incontro e l’abbraccio d’assenso con la Persona di Gesù (Gesù-vita).

Un rapporto dialettico
Il rapporto tra luce e cammino è un rapporto dialettico, secondo una struttura temporale sincronica: non nella logica della diacronia (pur distendendosi nella diacronia e qualificandolacome ‘vita di fede’, sequela di Cristo e cioè ‘storia di salvezza’). Scrive il papa Francesco: “La fede è, inoltre, conoscenza legata al trascorrere del tempo, di cui la parola ha bisogno per pronunciarsi: è conoscenza che s’impara solo in un cammino di sequela” (Lumen fidei, n. 29). Ma l’aspetto pedagogico è tutto sul cammino, che la luce rende possibile e abilita. Non si può insegnare la luce, si può insegnare il cammino: mostrandolo. Mostrare al buio non porta a nulla, mostrare alla luce indica una condizione di possibilità reale.

La luce non appartiene alla struttura naturale dell’essere umano, è donata soprannaturalmente da Dio: fa vedere il cammino (vedere i nn. 4 e 7). La risposta libera del credente è incamminarsi per quella via. “La fede, che riceviamo da Dio come dono soprannaturale, appare come luce per la strada, luce che orienta il nostro cammino nel tempo”. “La fede ci apre il cammino e accompagna i nostri passi nella storia”. “È per questo che, se vogliamo capire che cosa è la fede, dobbiamo raccontare il suo percorso, la via degli uomini credenti” (nn. 4 e 8).

La stella che mostra gli orizzonti
“Com’è questa via che la fede schiude davanti a noi? Da dove viene la sua luce potente che consente di illuminare il cammino di una vita riuscita e feconda, piena di frutto?” (n. 7). Con la sua enciclica il papa ha voluto, soprattutto, rispondere a questi interrogativi: “Proprio di questa luce della fede vorrei parlare, perché cresca per illuminare il presente fino a diventare stella che mostra gli orizzonti del nostro cammino, in un tempo in cui l’uomo è particolarmente bisognoso di luce” (n. 4).
Come, dunque, Dio ‘trasmette’ la sua luce all’occhio spirituale dell’uomo? Non lo inonda di luce dall’esterno. Potremmo dire che è una luce interiore che si accende. È una luce creata che però è accesa da una Luce increata. Come Gesù, il Figlio, è Dio vero da Dio vero, generato non creato, Luce da Luce: così Egli nasce nel fondo del cuore del credente, generato non creato, Luce da Luce. È con questa generazione spirituale interiore di Cristo – ben espressa nella mistica renana – che si trasmette la Luce della fede. Scrive il papa: “La fede sa che Dio si è fatto molto vicino a noi, che Cristo ci è stato dato come grande dono che ci trasforma interiormente, che abita in noi, e così ci dona la luce che illumina l’origine e la fine della vita, l’intero arco del cammino umano” (n. 20).

La radice battesimale
E questa trasmissione ha un’essenziale struttura sacramentale (“si deve anche dire che la fede ha una struttura sacramentale”, n. 40), più propriamente battesimale, proprio in quanto trasmissione della luce della fede. È il battesimo, amministrato nella fede della comunità, che inserisce in Gesù, con-forma a lui e abilita il cristiano a seguirlo. Con il battesimo Gesù vive nel cristiano e il cristiano vive in Gesù. È questa la ‘formazione cristiana’ in senso proprio: liberazione da ogni schiavitù, comprese le schiavitù pedagogiche e oppressive, comprese le dinamiche educative intese come legami generativi naturali, non liberalmente scelti, compresi i familismi chiusi, gli autoritarismi costrittivi, gli scolasticismi de-formanti, gli adultismi che deformano l’infanzia e gli infantilismi che deformano l’adultità.
Il battesimo è formativo perché trasmette la luce sull’essenza della fede-creduta e abilita al cammino della fede-credente. È perciò non un atto pedagogico esteriore ed estrinseco, più o meno simbolico, è realmente e intrinsecamente il sacramento pedagogico, che cioè contiene la pedagogia della fede, la dinamica mistica e misterica del suo Insegnamento-via.

Una struttura incarnata
Quali sono gli elementi battesimali che ci introducono in questa nuova “forma di insegnamento”? Sul catecumeno s’invoca in primo luogo il nome della Trinità: Padre, Figlio e Spirito Santo. Si offre così fin dall’inizio una sintesi del cammino della fede. Il Dio che ha chiamato Abramo e ha voluto chiamarsi suo Dio; il Dio che ha rivelato il suo nome a Mosè; il Dio che nel consegnarci suo Figlio ci ha rivelato pienamente il mistero del suo Nome, dona al battezzato una nuova identità filiale. Appare in questo modo il senso dell’azione che si compie nel Battesimo, l’immersione nell’acqua: l’acqua è, allo stesso tempo, simbolo di morte, che ci invita a passare per la conversione dell’“io”, in vista della sua apertura a un “Io” più grande; ma è anche simbolo di vita, del grembo in cui rinasciamo seguendo Cristo nella sua nuova esistenza. In questo modo, attraverso l’immersione nell’acqua, il Battesimo ci parla della struttura incarnata della fede. L’azione di Cristo ci tocca nella nostra realtà personale, trasformandoci radicalmente, rendendoci figli adottivi di Dio, partecipi della natura divina; modifica così tutti i nostri rapporti, la nostra situazione concreta nel mondo e nel cosmo, aprendoli alla sua stessa vita di comunione (cfr. n. 42)

La pedagogia del camminare insieme
La dinamica pedagogica – la pedagogia della fede – è, poi, nel momento dell’insegnare a camminare: è una pedagogia sulla strada, in cammino, sorretta da una spiritualità della strada, cioè dell’umiltà e dell’incontro.
Questa pedagogia della strada è caratterizzata dalla libertà e dalla compagnia: stando accanto e camminando insieme. Come fa il genitore quando il figlio impara appunto a camminare: non può sostituirsi a lui, non può camminare per lui, non può neppure sorreggerlo continuamente; deve lasciarlo libero di camminare da solo, eventualmente di traballare e perfino di cadere. Ma può essergli accanto per incoraggiare, innanzi tutto camminando anche lui e accompagnandolo fianco a fianco:  “L’amore divino possiede i tratti del padre che porta suo figlio lungo il cammino (cfr Dt 1,31)” (n. 12).
La luce della fede illumina, dunque, un cammino che è personale, ma non è individualistico e in solitudine, quasi fosse in un egoismo della salvezza: è anzi esperienza di salvezza e d’amore donata all’umanità intera, a tutti gli uomini e le donne: “La fede è un dono gratuito di Dio che chiede l’umiltà e il coraggio di fidarsi e affidarsi, per vedere il luminoso cammino dell’incontro tra Dio e gli uomini, la storia della salvezza” (n. 14).
Non sono però il Popolo o suoi ‘funzionari’ a ciò deputati che istruiscono nella fede i loro concittadini: ma è la luce della fede che educa, istituisce, il credente e perciò costituisce il Popolo di Dio (Eb 8, 10-11), come Popolo libero.
La luce pasquale – della Pasqua di Israele liberatrice dalla schiavitù dell’Egitto e della Pasqua di Cristo liberatrice dalla schiavitù del peccato – illumina, dunque, la pedagogia della fede come pedagogia comunitaria della liberazione, come pedagogia di un Popolo che sperimenta la sua liberazione dalle oppressioni, da ogni schiavitù conseguenza del peccato, da ogni struttura sociale di peccato.

Una pedagogia strutturalmente anti-integralistica
Tuttavia, il forte grembo comunitario in cui si sperimenta e si vive il cammino della fede, non deve portare a chiusure comunitaristiche, a logiche identitarie che separano, allontanano, rendono nemici, non deve condurre a superbie morali e perciò a fariseismi discriminatori. L’integralismo che richiede uno status privilegiato per la propria fede non è cristiano, non è certo nella luce del Crocifisso Risorto, che sempre converte il cuore all’umiltà e perciò all’incontro, sulla strada, all’accoglienza, al dialogo e alla convivialità.
La pedagogia della fede apre al dialogo con tutti, anche con i diversamente credenti e con chi, nell’autoconsapevolezza della propria coscienza, non si rivolge con l’abbraccio dell’assenso al Signore. È la stessa luce della fede che illumina un cammino sempre aperto e senza barriere, in cui si può giungere pure in tempi diversi e da sentieri diversi: “Poiché la fede si configura come via, essa riguarda anche la vita degli uomini che, pur non credendo, desiderano credere e non cessano di cercare. Nella misura in cui si aprono all’amore con cuore sincero e si mettono in cammino con quella luce che riescono a cogliere, già vivono, senza saperlo, nella strada verso la fede” (n. 35).
Ecco una pedagogia della fede strutturalmente anti-integralistica, in via preventiva e perenne: non proselitismo della ricchezza, ma contagio luminoso della povertà.

Fulvio De Giorgi
Docente di Storia dell’Educazione all’Università di Modena e Reggio Emilia, coordinatore del Gruppo di Riflessione e Proposta di Viandanti.

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Il testo dell’editoriale riproduce in parte, per gentile concessione dell’autore,  il contributo “Lumen de lumine. La pedagogia della fede” apparso in Lumen fidei. L’Enciclica sulla fede (La Scuola, Brescia 2013), un commento di diversi studiosi alla prima Enciclica di papa Francesco con l’introduzione di Bruno Forte.

2 Commenti su “LUMEN FIDEI LA FEDE COME CAMMINO”

  1. La fede che si apre al credente quando ha fatto l’incontro con la persona di Gesù, certamente illumina la vita e coinvolge ogni gesto che nella quotidianità viviamo. Non sempre però questa luce è responsabilmente vissuta. Quante volte bisogna andare alla sorgente, attingere fiducia e forza per continuare a credere. La comunità, è certamente il luogo dell’incontro e dello scambio per affrontare dubbi, per cercare insieme, per vivere insieme l’amore fraterno. La nostra vita è percorsa molte volte da sofferenza, la fede ha bisogno di essere condivisa per sostenere le fatiche che viviamo.
    Giovanna Marsetti

  2. Una prima osservazione molto cauta, perché non ho letto l’enciclica ma solo questo articolo. L’affermazione citata (nn. 4 e 7) che “la luce non appartiene alla struttura naturale dell’essere umano” mi lascia perplesso, come la “sacramentalità della fede”. Dipende da come si intende. Mi persuade il pensiero di Panikkar, che “la fede è la costitutiva apertura dell’uomo verso la trascendenza (un Essere personale; una Realtà che ci comprende). È la consapevolezza di essere in/finito, non/già/finito, e dunque di poter crescere. Ogni uomo è aperto a questo “più”. È un’apertura esistenziale, di cui ogni uomo è capace. L’atto di fede, che salva, è l’atto con cui l’uomo si riconosce non/finito, non perfetto. Ogni uomo, poi, cerca di far cristallizzare questa visione in proposizioni, in formulazioni. Queste sono le credenze, diverse dalla fede, anche se la fede che non si esprime in credenze può restare vaga, inefficace”. Anche il pensiero universalistico di Bori non toglie nulla al proprium di Cristo, ma si basa su Gv 1,9 (la luce illumina ogni uomo), poi mille condizioni la specificano, la sviluppano, la impediscono. E’ la grande questione naturale-soprannaturale. Rinvio a Bori, CV, 1937-2012, alle pagg.49 e 122. Ma, ripeto, è un’osservazione molto cauta.
    Grazie del lavoro. Enrico Peyretti

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