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NELLA CHIESA DEVE CRESCERE
L’OPINIONE PUBBLICA

Dino Calderone

“Lo Stato della Città del Vaticano come forma di governo, la Curia, quello che è, è l’ultima corte europea di una monarchia assoluta, l’ultima. Le altre sono ormai monarchie costituzionali. La corte si diluisce e qui ci sono ancora strutture di corte, che sono ciò che deve cadere”. È quanto dichiara papa Francesco nell’intervista a Televisa, pubblicata sull’Osservatore Romano del 28 maggio 2019.

Non sappiamo se la volontà espressa dal papa di “costituzionalizzare” la monarchia papale possa essere esteso anche alla chiesa come comunità di fedeli, ma certo il “ciò che deve cadere” nello Stato e nella Curia è in stretto rapporto con il tema della “democratizzazione” della vita ecclesiale che non è nato con papa Francesco e con l’attuale cammino sinodale.

Possibilità e limiti della democrazia ecclesiale
Nel 1970 viene pubblicato Democrazia nella Chiesa, un breve ma denso testo scritto a quattro mani dal teologo Joseph Ratzinger e dal sociologo Hans Maier. Il testo ha un sottotitolo, Possibilità e limiti, che evidenzia un atteggiamento di discernimento e di apertura, almeno parziale, dei due studiosi. Nel 2000 il testo viene ripubblicato con alcuni aggiornamenti e integrazioni degli autori.

Questo libretto è un buon punto di riferimento per continuare il confronto iniziato oltre 50 anni fa. Maier propone di discutere e sperimentare quattro campi che risultano in analogia tra Chiesa e Stato: la costituzione fondamentale ecclesiale; lo stato di diritto; la divisione dei poteri; la collaborazione dei laici.

Per il primo punto, scrive Maier, c’è un “diritto costituzionale immutabile” che viene sottratto alla contesa dei partiti e viene escluso dall’area delle decisioni democratiche maggioritarie. Occorre tenere presente infatti che in una democrazia non è possibile votare su tutto e che ci sono cose che non solo non possono ma non devono essere ammesse alle procedure di voto.

È questa una considerazione essenziale per poter cogliere, almeno in parte, una possibile analogia fra Chiesa e Stato. Per esempio, il fatto che l’Italia sia una Repubblica democratica indivisibile, impedisce di mettere a votazione (in parlamento o attraverso procedura referendaria) sia la forma repubblicana che l’indivisibilità della nazione, ma non impedisce l’esistenza di partiti che si richiamano alla monarchia o di chi (Lega Nord per l’indipendenza della Padania) propone la secessione.

Ma anche in questo ambito non tutto è possibile. Il secondo comma dell’art. 75 della Costituzione precisa che non è ammesso il referendum in alcune materie (leggi tributarie, bilancio, etc.). Inoltre, secondo la disposizione XII della Costituzione: “è vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista”.

In Germania, l’art. 21 della legge fondamentale sancisce l’incostituzionalità di quei partiti “che, per le loro finalità o per il comportamento dei loro aderenti, tentano di pregiudicare o eliminare l’ordinamento fondamentale democratico e liberale o di minacciare l’esistenza della Repubblica Federale di Germania”. Questi divieti non impediscono comunque in alcun modo la discussione e il libero confronto perfino su questi temi.

Ordinamento di diritto o di potere? 
In analogia con lo Stato costituzionale, per la Chiesa è impossibile, scrive Maier, “disporre del mandato e del testamento lasciato da Cristo”. Qui però risalta una notevole e significativa differenza: per la Chiesa è impossibile non solo mutare ciò che è immutabile, ma anche poter discutere ciò che è dichiarato immutabile e definitivo come, per esempio, i dogmi.

Il Canone 752 del Codice di Diritto Canonico del 1983 stabilisce, addirittura: “non proprio un assenso di fede, ma un religioso ossequio dell’intelletto e della volontà deve essere prestato alla dottrina, che sia il Sommo Pontefice sia il Collegio dei Vescovi enunciano circa la fede e i costumi, esercitando il magistero autentico, anche se non intendono proclamarla con atto definitivo; i fedeli perciò procurino di evitare quello che con essa non concorda”.

Su questo punto il giurista tedesco Bockenforde ha scritto che questo dovere di obbedienza è un elemento nuovo e peggiorativo rispetto al vecchio Codice di diritto canonico del 1917 per cui: “rimangono escluse ogni discussione e ogni critica che abbiano carattere pubblico, persino in forma di dibattito scientifico” (Bockenforde, Cristianesimo, libertà, democrazia, Morcelliana, 2007, pp 117-118).

Ciò che deve cadere, quindi, riguarda solo il Canone 752? Più complessivamente, secondo questo studioso, il diritto canonico deve “riconoscere ogni individuo come soggetto personale, autonomo e che ha il diritto di essere ascoltato…dirimere controversie con un giudice imparziale e indipendente…dare sempre una fondazione alle sentenze, sia giuridiche che amministrative. Senza questi presupposti il diritto canonico non è “un ordinamento di diritto” ma un “ordinamento di potere” (p. 120).

L’opinione pubblica, una necessità vitale
Occorre ricordare che termini chiave dell’ecclesiologia conciliare come comunione, fraternità, sinodalità, collegialità, popolo di Dio, partecipazione, servizio, non possono essere intesi in maniera riduttivamente spirituale, ma devono trasformarsi in comportamenti concreti. Ci sono ambiti nei quali esistono forme di democrazia attestate già dalla tradizione più antica che sarebbe urgente riprendere e sviluppare.

La prima e forse più urgente riguarda la possibilità che il singolo fedele possa difendersi dall’arbitrio del proprio parroco, vescovo, ufficio curiale. Il principio di origine medievale secondo cui “ciò che tocca tutti deve essere trattato da tutti”, potrebbe interagire oggi in maniera feconda con l’esistenza moderna dell’opinione pubblica.

Pio XII nel 1950, in un discorso rivolto ai giornalisti cattolici, dichiarò: “noi vorremmo infine aggiungere ancora una parola per quanto concerne l’opinione pubblica nell’ambito stesso della Chiesa (naturalmente, nelle materie lasciate alla libera discussione). Di ciò non possono stupirsi se non coloro che non conoscono la Chiesa o la conoscono male. Essa infatti è un corpo vivente, e qualche cosa mancherebbe alla sua vita se le facesse difetto l’opinione pubblica: mancanza, questa, il cui demerito ricadrebbe sui Pastori e sui fedeli”.

Per un libero scambio di opinioni
Nel documento post conciliare Communio et Progressio del 1971, si legge: «chi ha responsabilità nella Chiesa procuri d’intensificare nella comunità il libero scambio di parola e di legittime opinioni ed emani pertanto norme che favoriscano le condizioni necessarie per questo scopo».

La formazione di un’opinione pubblica libera presuppone una molteplicità di centri come giornali, riviste, associazioni, interessati non solo a fare circolare idee ma anche a controllare chi governa perché non è giusto lasciare senza controllo l’amministrazione ed il governo di parrocchie, diocesi, ma si deve esigere il massimo di pubblicità degli atti di governo interni alla chiesa.

Se il battezzato non può esercitare il diritto di valutare le azioni del parroco e del vescovo e fare conoscere pubblicamente ciò che ne pensa, siamo di fronte ad una visione assolutista dell’autorità che non sopporta la presenza dell’opinione pubblica. Non si può escludere la comunità ecclesiale da un confronto serio e leale su tante questioni anche scottanti come se l’origine divina della chiesa le garantisse infallibilità sul piano storico ed umano, una vera eresia questa, una specie di monofisismo ecclesiale che della duplice dimensione della chiesa coglie solo la dimensione divina.

Per esempio, ad oltre cinque anni dalla pubblicazione di Amoris Laetitia, a che punto è la sua attuazione nelle singole diocesi? Cosa possono fare i fedeli laici delle diverse chiese locali per stimolare la recezione di questa importante Esortazione apostolica?

Speriamo che i timori che hanno impedito di accogliere prontamente la proposta del papa di indire un sinodo per l’Italia siano del tutto scomparsi e che l’attuale cammino sinodale rappresenti una grande occasione di rigenerazione, anche per fare cadere ciò che non aiuta la fraternità e la libertà nella Chiesa, a partire dalla libertà di opinione.

Dino Calderone
Membro del gruppo “In cammino: per le riforme di papa Francesco” (Messina), che aderisce alla Rete dei Viandanti 

[Pubblicato il 28.2.2023]
[L’immagine che correda l’articolo è ripresa dal sit0: www.ildolomiti.it]

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Franco Ferrari, Vox ovium, Vox gregis
Alberto B. Simoni
, Opinione pubblica nella Chiesa: mettersi alla prova

1 Commento su “NELLA CHIESA DEVE CRESCERE
L’OPINIONE PUBBLICA”

  1. Trovo che il tema della democrazia e dell’opinione pubblica sia urgente e fondamentale per il pericolo mortale della Chiesa fondata in realtà non da Pietro ma da GESÙ CRISTO con il principio democratico che il maggiore sia colui che serve sul serio il minore,lavandogli in modo icastico e non ipocrita i piedi. Su questo cammino verso il Regno dei Cieli che non sta solo nei cieli ma é anche in mezzo a noi la vox populi,che è anche vox Dei non può esser emarginata e sottovalutato se si vuol capire la religione non solo come fede ma anche, come insegnava papa Ratzinger, con la ragionevolezza e il buon senso dei puri di cuore che,beati loro!,vedono Dio.

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