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studiare la Parola

NON DI SOLO PANE (EUCARISTICO) VIVE L’UOMO…

Fabrizio Filiberti

studiare la Parola

Nei primi giorni dopo il drammatico recente terremoto, il vescovo di Ascoli Piceno mons. Giovanni D’Ercole si è chiesto: “Dio, ora che si fa?”. Nella domanda vi è il senso della teologia della storia, della Parola che “piacque a Dio” rivelare in “eventi e parole intimamente connessi” (Dei Verbum, 2).

Una tradizione imbevuta di Bibbia
È anche l’idea potente, risalente all’Esodo, di un Dio che “vide la sofferenza del suo popolo” e “se ne prese pensiero”. Il Dio biblico “è” (come Essere), in quel “esserci” accanto alle sue creature (come azione provvidente). Quanto sia complesso riconoscerLo tale, nel largo fossato della storia, nell’incomprensibile presenza del male e dei mali, è del tutto evidente.

Stringe il cuore condividere la gioia di quel padre che, il giorno dopo, ringrazia con fede “Qualcuno” che dall’alto ha provveduto a salvare una sua figlia; aggiungendo, con un fremito d’incapacità di darsene ragione – se non in un implicito “sia fatta la Sua volontà”, inshallah – che l’altra figlia, più piccola, è rimasta sotto le macerie. Nemmeno Lui ha potuto fare di più…

Cosa c’entra tutto questo con la Bibbia? Il retroterra proviene dalla lunga tradizione cristiana che si è imbevuta di Bibbia. La tradizione liturgica e la dotta teologia, l’arte sacra, hanno disseminato in modo grandioso un lessico, delle immagini, e soprattutto una visione del mondo (e dell’altro mondo) di cui siamo indelebilmente figli.

L’irruzione dell’ermenutica e delle scienze
Qualcosa, però, oggi, in tutto questo patrimonio non funziona, urta con altre precomprensioni che ciascuno matura per cultura ed esperienza. Non si tratta tanto dell’avanzato secolarismo e dell’evaporare della fede.

Si tratta, per semplificare, dell’impatto dovuto almeno a due irruzioni nello spazio della Scrittura: l’ermeneutica biblica (in primis la lettura storico-critica) e le risultanze delle scienze (ultimamente la fisica dell’infinitamente grande e dell’infinitamente piccolo).

Come mettere insieme, nell’atto di lettura, l’autonomia degli eventi e l’eteronomia della volontà divina esibita dalla Scrittura? La Bibbia chiama creazione ciò che per l’uomo contemporaneo potrebbe essere ridotto a mera natura. Da Galileo in poi ne siamo avvertiti.

Una storia di eventi e parole
I problemi sono molteplici e non è la sede per enumerarli. Solo come esempio, la questione storica. Dei Verbum parla di “eventi e parole intimamente connessi”, cioè, la storia, gli “eventi” (l’uscita dall’Egitto, le parole profetiche, le guarigioni ecc.), sono veicolati da “parole” – la lettera del testo – che pretendono attendibilità, veridicità. Si riconosce che gli agiografi hanno usato generi letterari “in varia maniera storici” (DV, 12), cioè non tutti e sempre “storici” nel senso di rimandare a fatti insindacabili sul piano storiografico.

In verità, se si parla di liberazione, guarigione, intervento divino, se ne parla “in ordine alla nostra salvezza” (Dv, 11), relegando la vera significanza ad uno spazio sottratto all’evidenza e affidato all’ermeneutica delle “parole della fede” (nelle diverse linee: allegoria, tipologia, fino alle successive ermeneutiche moderne. Cfr. Pontificia Commissione Biblica, L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa, 1993). Già questa ormai assodata acquisizione di metodo sarebbe importante, ma quanto è patrimonio del popolo di Dio?

Radicare la fede nella Scrittura
L’ignoranza biblica dei cattolici è notoria e, nonostante Concilio e Sinodi, nonostante la rivoluzione culturale degli ultimi quarant’anni, l’apertura delle facoltà teologiche, la diffusione di cenacoli biblici ecc., non sembra che la Chiesa, le diocesi, le parrocchie, abbiano preso sul serio la questione biblica, la necessità di radicare la fede del popolo nella Scrittura, prima e in forza della stessa Tradizione.

Per il cristiano, certo, è Gesù di Nazaret la Parola fatta carne: la sua esistenza, la sua morte e risurrezione, fondano qualunque altra interpretazione dell’evento salvifico che è il Cristo stesso, Vangelo del Regno. La Scrittura è dunque generata da questa Parola vivente che la Chiesa accoglie e serve nella sua Tradizione.

Questo, contro ogni preteso biblicismo che cade facilmente nel fondamentalismo. Il cristianesimo non è una religione del Libro. Ma è ad esso che la fede confessante della Chiesa consegna la memoria Jesu (così si diceva alle origini).

Ritornare alla Parola
Ritornare alla Bibbia significa allora non solo ritornare al volume, alla lettera, ma tornare alla Parola che emerge da quegli “eventi-parole” leggendola, dice ancora la Dei Verbum, “nello stesso Spirito in cui è stata scritta”. Questo rimando non è riducibile all’autorità di un pur riconosciuto Magistero. Rimane lettura affidata a tutti, Parola alla quale la Tradizione è sottomessa nella consapevole precarietà di ogni atto ermeneutico che accumula voci, metodi, volti della verità, più che opporli.

C’è, dunque, un lavoro interpretativo professionalmente specializzato degli esegeti, dei teologi, e – sicuramente – del Magistero (in stretto dialogo). È compito però di ogni christifideles – in specie di chi si assume un ministero – farsi lettore assiduo della Scrittura, assimilandone lo spirito, il linguaggio, lo sguardo.

Oggi questo compito chiede un metodo adeguato di accostamento al mondo della Bibbia: senza pretese di tecnicismo scientifico, un sapersi muovere in essa almeno consapevole di come le parole dicano la Parola incarnata. Un approccio non occasionale o elitario. Abito del credente. Pastoralmente, al di là di un accresciuto livello di accesso ai testi, di qualche sincera perorazione, se ne ha scarsa evidenza nelle comunità.

L’urgenza del ministero biblico
Occorre quindi promuovere un accesso diretto alla Bibbia che coltivi non sono la venerazione, ma la competenza nello sfogliarla. Un ministero biblico capillare è una delle urgenze costitutive delle comunità. Non possono mancare, in ogni territorio pastorale, occasioni e luoghi dove si spezza il pane della Parola in quanto Scrittura, continuamente e senza fini contingenti, se non l’ascolto di essa.

Non perché non debbano esservi o non vi siano occasioni preziose (lo è stato certo l’anno della Misericordia). Ma perché, come l’actio che la Parola ispira, esse seguono all’ascolto, alla lectio, alla meditatio, alla rimuginatio. Soprattutto perché occorre attestare il senso fondativo della Scrittura nella vita della Chiesa, assicurandole un diritto di presenza, una sacramentalità (paragonabile a quella eucaristica) non per la solita élite intellettuale o monacale, ma per ogni christifideles che voglia partecipare consapevolmente al triplice munus di Cristo: sacerdotale, profetico, regale.

Nell’anniversario del 500° della Riforma tutto ciò suona molto protestante? Può darsi, ma è detto: Non di solo pane vive l’uomo…

Fabrizio Filiberti
Presidente “Città di Dio” Associazione ecumenica di cultura religiosa – Invorio (NO). L’Associazione “Città di Dio” aderisce alla Rete dei Viandanti.
Membro del Gruppo di riflessione e proposta dell’Associazione Viandanti. 

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