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Rotoli del Mar Morto

PASSIONE: DA DIO ALL’UMANITÀ,
DALL’UMANITÀ A DIO

Ernesto Borghi

Per chi cerca di essere cristiano, la settimana che va dalla Domenica delle Palme alla Domenica di Pasqua è, come è noto, quella religiosamente più importante dell’intero anno. In una logica “didattico-pedagogica” evidente la liturgia presenta l’epilogo decisivo dell’esistenza del Nazareno, articolando in una settimana la parabola delineabile dall’ingresso “trionfale” a Gerusalemme al momento, sorprendentemente gioioso, dell’annuncio della risurrezione e delle apparizioni di Risuscitato.

“Passione” come appassionamento e sofferenza
Basta leggere le versioni evangeliche sinottiche [1] per avere la percezione che il ministero di Gesù di Nazareth a Gerusalemme si è sviluppato in un tempo notevolmente più ampio che pochi giorni, mentre appare storicamente realistico immaginare che l’iter tra l’Ultima cena e l’annuncio della risurrezione si sia svolto in tre giorni.

In questo quadro quale è il comune denominatore fondamentale di questa settimana, di grandissima possibile risonanza individuale e collettiva? Parrà banale detto così, ma è la “passione” del Dio di Gesù Cristo per gli esseri umani, a cominciare da quella vissuta dal Nazareno per tutti coloro che egli ha incontrato nel corso della sua vita. È “Passione” come appassionamento e “passione” come sofferenza: dall’amore costante e concreto per gli esseri umani al dolore indispensabile per essere fedele alla scelta di abbracciare tutti, diremmo oggi, senza “se” e senza “ma”.

Tale discorso pare chiaro, se ripercorriamo sinteticamente alcuni aspetti delle letture proposte nella Domenica delle Palme e nel triduo pasquale, tenendo conto delle differenze riscontrabili tra rito romano e rito ambrosiano.

Il servo sofferente
La Domenica delle Palme, i testi tratti dal libro di Isaia (cfr. 50,4-7; 52,13-43,12), i brani delle epistole (cfr. Fil 2,6-11; Eb 12,1b-3) e quelli evangelici (cfr. Mt 26,14-27,66; Gv 11,55-12,11) tratteggiano – fondamentale è l’interpretazione/rilettura che le origini cristiane propongono di alcune radici giudaiche – i connotati di dedizione e sofferenza di colui che si accinge a dare la vita.

L’eloquenza sintetica dell’immagine del servo sofferente del Signore e la potenza espressiva del passo della lettera ai Filippesi come quella emblematica di Eb 12,1b-3, introducono, in modo diverso, ma analogamente intenso, ai due brani evangelici – nel rito romano Mt 26,14-27,66; nel rito ambrosiano Gv 11,55-12,11 – capaci di far attraversare, il primo narrativamente, il secondo prospetticamente, l’intera parabola esistenziale del Nazareno sino alla morte.

Il convivio della disponibilità totale
Il Giovedi santo, nel contesto della ricca proposta biblica dei due riti, emergono la memoria paolina dell’Ultima cena – il testo neotestamentariamente più antico in proposito – e il senso della donazione di sé di Gesù nella logica del servizio, tanto nella lavanda dei piedi quanto nell’arco narrativo che va, in Matteo, dai preparativi dell’ultimo pasto con i discepoli sino al tragico rinnegamento di Pietro.

Quella cena è, contemporaneamente, la circostanza culminante di tante occasioni conviviali, di ampio respiro sociale e culturale, vissute dal Nazareno negli anni precedenti e il punto di partenza del percorso verso il culmine, dalla morte alla vita, della sua esistenza.

Tanto nel rito romano quanto in quello ambrosiano questo discorso può essere colto efficamente. E, nella continuità con quanto di drammaticamente altruistico presentano i due diversi testi evangelici, appare evidente – lo si nota, per contrasto, anche considerando il testo del profeta Giona, prima lettura della liturgia ambrosiana di questo giorno – che il cuore del valore celebrato è una scelta etica precisa: evidenziare che il senso fondamentale dell’esistenza di chi intende essere radicalmente umano è la disponibilità a mettersi a disposizione altrui fino in fondo, quando questa opzione ha effettivamente segnato l’orientamento fondamentale della vita stessa.

Presenze e assenze nei pressi della Croce
Il Venerdì santo, alcuni passaggi del libro isaiano sempre relativi al servo sofferente del Signore – 52,13-53,12 nel rito romano, lo stesso brano, preceduto da 49,24-50,10 nel rito ambrosiano – sono l’essenziale, imprescindibile introduzione, il radicamento culturale e spirituale giusto e doveroso alla riflessione concernente la passione e morte di croce del Nazareno [3].

Il dato della sofferenza di Gesù è ovviamente quello dominante, secondo le categorie di radicamento giudaico, e nella prospettiva del compimento delle Scritture, del piano divino sulla vicenda del Nazareno stesso. La presenza delle donne, in assenza totale di tutti i maschi che avevano accompagnato Gesù nel suo ministero per le strade della Galilea, Samaria e Giudea, conclude il racconto matteano.

In Giovanni, nella morte del Figlio di Dio e nelle fasi immediatamente successive sono presenti, oltre alla componente femminile, i maschi che, per ragioni, varie avevano ragioni importanti per “restare con lui”: il discepolo amato da Gesù (= Giovanni, anche se del nome non vi è indicazione esplicita); Giuseppe di Arimatea e Nicodemo. E l’assenza di coloro che avrebbero dovuto avere motivi fondanti per non fuggire, comune denominatore nelle versioni evangeliche canoniche, appare, al di là della storicità del fatto, una scelta narrativa assai eloquente. Essa interpella da vicino chiunque, dal I sec. d.C. ad oggi, si dicesse discepolo di Gesù Cristo con eccessiva disinvoltura…

Per un rapporto di fiducia reciproca
Pasqua: stimolanti ed intensi sono gli itinerari di letture della veglia culminante della liturgia e vita cristiane, con differenze significative tra i due riti cattolici sin qui menzionati (più evocativamente profetico-esistenziale quello romano, più marcatamente storico-narrativo quello ambrosiano). E appare davvero eloquente il significato complessivo delle letture sostanzialmente “comuni”, dall’inizio della veglia sino all’annuncio della risurrezione. Quali sono?

Si tratta del racconto della creazione (Gen 1,1-2,2 o 2,3a), della legatura di Isacco (Gen 22,1-18 o 22,1-19) di una sequenza tratta da Is 54-55 (54,5-14/55,1-11 nel rito romano, Is 54,17c-55,11 in quello ambrosiano) e della prima parte di Mt 28 (vv. 1-7 nel rito romano, vv. 1-10 in quello ambrosiano). Al di là di qualsiasi forzatura interpretativa si nota come il rapporto tra Dio e l’umanità si fondi sulla fiducia divina nell’umano e nella richiesta di costruire la vita umana su una fiducia analoga verso il Divino della creazione, del trionfo della vita sulla morte In questo senso la presenza, in entrambi i contesti liturgici di questo passo isaiano è davvero interessante (versione CEI 2008):

«55. 5 Ecco tu chiamerai gente che non conoscevi;
accorreranno a te popoli che non ti conoscevano
a causa del Signore, tuo Dio,
del Santo di Israele, perché egli ti ha onorato.
6 Cercate il Signore, mentre si fa trovare,
invocatelo, mentre è vicino.
7 L’empio abbandoni la sua via
e l’uomo iniquo i suoi pensieri;
ritorni al Signore che avrà misericordia di lui
e al nostro Dio che largamente perdona.
8 Perché i miei pensieri non sono i vostri pensieri,
le vostre vie non sono le mie vie – oracolo del Signore.
9 Quanto il cielo sovrasta la terra,
tanto le mie vie sovrastano le vostre vie,
i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri.
10 Come infatti la pioggia e la neve
scendono dal cielo e non vi ritornano
senza avere irrigato la terra,
senza averla fecondata e fatta germogliare,
perché dia il seme al seminatore
e pane da mangiare,
11 così sarà della parola
uscita dalla mia bocca:
non ritornerà a me senza effetto,
senza aver operato ciò che desidero
e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata».

Un annuncio decisivo
La relazione che il Dio di Gesù Cristo propone alle donne e agli uomini dell’antichità come a quelli del nostro tempo, con tutte le differenze culturali, sociali e religiose dal I al XXI secolo d.C. – trova nel radicamento in questo testo, intensamente giudaico, altamente esistenziale una serie di indicazioni educative sotto il profilo dell’esercizio della libertà personale e collettiva e del discernimento del bene e del male nelle vicende di ogni giorno.

E il passo di Mt 28 propone [4], alla fede di chi l’ascolta in queste occasioni liturgiche culminanti, ma anche in qualsiasi altra occasione possibile, l’annuncio decisivo: chi è ritornato alla vita da morte è lo stesso che ha vissuto per gli altri tutta l’esistenza. Il Dio di Gesù Cristo ha vinto la morte non perchè, da lì in poi, fisicamente parlando, non si debba morire più. La sua vicenda, arrivata all’apice con la notizia della sua risurrezione, mostra che l’amore mantiene le relazioni al di là della fine biologica e di questo amore si può fare la logica fondamentale della quotidianità personale.

La “passione” dei nostri giorni
Dico questo con particolare riferimento alle giornate che stiamo trascorrendo in questi primi tragici mesi del 2020. Essi hanno una connotazione di “passione” assolutamente al di là di quanto è capitato di vivere in tanti anni precedenti. Come si manifesta la passione avvolgente di Dio verso gli esseri umani? In molti modi, uno dei quali è certamente lo splendido slancio, personale e professionale, ai di là di qualsiasi dovere lavorativo, di tante operatrici e di tanti operatori sanitari e sociali, intenti a sostenere, tra varie difficoltà, milioni di loro simili nella battaglia contro il contagio e tutte le sue conseguenze fisiche e psicologiche. Non solo. La passione di Dio per l’umanità si rivela nel moltiplicarsi di situazioni in cui si riannodano relazioni umane sopite da tempo, sovente, da tanto tempo, nel proliferare di azioni in cui la solidarietà fattiva verso l’esistenza degli altri trova strade anche impensabili prima di questa terribile contingenza.

Non nutriamo facili illusioni e immotivate speranze: può essere che, quando saremo fuori da questo buissimo tunnel, l’egoismo disumano, fatto di idolatria verso il denaro e verso il successo esteriore, ritorni a profilarsi in tutta la sua negatività, come se nulla fosse successo. Ma, in questa settimana santa 2020, tutti coloro che credono realmente che Gesù di Nazareth è risuscitato, sono ulteriormente motivati ad assumersi un impegno maggiore che in passato: fare di tutto per aprire la strada a opportunità crescenti, sempre più intelligenti ed appassionate, di un amore che vinca la morte e continui costantemente a vincerla. Perché? Il motivo è semplice da comprendere: questo amore è il movente che può aiutare chi è in difficoltà, quale che sia, a sostenere la sua condizione difficile e può costruire momenti di celebrazione gioiosa della vita…E quanto ci sia bisogno, dell’una e dell’altra cosa, oggi, è davvero sotto gli occhi e davanti al cuore di tutti…

Ernesto Borghi
Presidente dell’Associazione Biblica della Svizzera italiana (http://absi.ch/new)
Coordinatore area Europa del Sud e dell’Ovest della Federazione Biblica Cattolica (https://c-b-f.org/) e della formazione biblica nella Diocesi di Lugano

[Pubblicato il 4 aprile 2020; immagine ripresa dal sito reccom.org]

– – – – – Note
[1] Mc 11,1-16,8; Mt 21,1-28,10; Lc 19,28-24,12.
[2] Chi desiderasse approfondire la rilevanza di questi testi del libro di Isaia e il rapporto tra questi passi primo-testamentari e la figura di Gesù di Nazareth, oltre a poter attingere ad una bibliografia assai ampia, può visitare il canale youtube “Associazione Biblica della Svizzera Italiana” alla voce “Ciclo: il servo sofferente del Signore”. Troverà tre conferenze divulgative sul tema in questione.
[3] Nel rito ambrosiano è proposta in Mt 27,1-56 e nel rito romano secondo la narrazione di Gv 18,1-19,42.
[4] Chi desiderasse approfondire la lettura di Mt 26-28 con un’apertura di orizzonte tra parole bibliche, arti figurative e tradizioni musicali, può visitare, dal 7 aprile 2020 in poi, il canale youtube dell’ “Associazione Biblica della Svizzera Italiana” alla voce “Per leggere Matteo 26-28: testi evangelici, immagini, tradizioni musicali”.

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