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SS. Pietro e Paolo, part. di un mosaico (XII-XIII sec.) del Duomo di Monreale.

TEMI DEL SINODO IL RAPPORTO TRA PASTORALE E DOTTRINA NELLA VITA ECCLESIALE

Carlo Molari

SS. Pietro e Paolo, part. di un mosaico (XII-XIII sec.) del Duomo di Monreale.
In questi giorni si discute molto nella Chiesa cattolica sul rapporto tra esigenze pastorali e fedeltà dottrinali. Lo stimolo alla discussione è venuto sia dall’insistenza con cui Papa Francesco sottolinea il carattere pastorale della missione ecclesiale, sia dall’urgenza di conciliare le verità credute o i principi morali difesi con il richiesto adattamento ad alcune situazioni vitali ambigue o divergenti.

La sensibilità pastorale
Nell’omelia della Messa di introduzione alla Assemblea dei Vescovi italiani il 18 maggio scorso Papa Francesco ha detto: “Essere Pastori vuol dire anche disporsi a camminare in mezzo e dietro al gregge: capaci di ascoltare il silenzioso racconto di chi soffre e di sostenere il passo di chi teme di non farcela; attenti a rialzare, a rassicurare e a infondere speranza. Dalla condivisione con gli umili la nostra fede esce sempre rafforzata: mettiamo da parte, quindi, ogni forma di supponenza, per chinarci su quanti il Signore ha affidato alla nostra sollecitudine”. Nel discorso a conclusione dell’Assemblea il 23 maggio ha aggiunto: “La sensibilità ecclesiale si manifesta anche nelle scelte pastorali e nella elaborazione dei Documenti – i nostri -, ove non deve prevalere l’aspetto teoretico-dottrinale astratto, quasi che i nostri orientamenti non siano destinati al nostro Popolo o al nostro Paese – ma soltanto ad alcuni studiosi e specialisti – invece dobbiamo perseguire lo sforzo di tradurle in proposte concrete e comprensibili”. È un forte richiamo alla sensibilità pastorale.

Vita e dottrina
Guida pastorale e insegnamento sono due dimensioni della vita ecclesiale profondamente collegate fra di loro: si condizionano e si alimentano reciprocamente. Il loro rapporto è un aspetto dell’intreccio tra vita concreta e verità professata, prassi e dottrina, esperienza e riflessione. Non c’è pratica che non metta in moto una riflessione e non c’è dottrina che non esiga un’azione coerente.

Le difficoltà emergono continuamente perché sia la dottrina che l’azione sono imperfette e difettose. I principali ostacoli sorgono quando la dottrina pretende di essere assoluta o definitiva sempre e dovunque, e quando la guida pastorale esige la perfezione totale e cade nel rigorismo. Ogni dottrina come è conosciuta e formulata dagli uomini è sempre imperfetta e relativa e ogni azione ha sempre aspetti carenti. Anche le dottrine più sublimi e le scelte più eroiche contengono elementi difettosi. Possono avviare processi storici ma non possono presumere di essere definitive. Chi pretende che esista una perfezione definitiva e assoluta distrugge la vita perché la blocca.

La tensione tra idee e realtà
Papa Francesco in tre paragrafi dell’Esortazione apostolica Evangelii Gaudium (nn. 231-233) chiarendo la “tensione bipolare tra l’idea e la realtà” ha offerto alcuni criteri per valutare concretamente il loro rapporto. Il principio che inquadra tutta la riflessione è che “la realtà è più importante dell’idea” o “è superiore all’idea” perché “la realtà semplicemente è, l’idea si elabora” (n. 231). Ciò significa che la realtà è prima delle dottrine perché queste emergono dalle esperienze che l’uomo compie, dal rapporto vitale egli che stabilisce con la realtà. D’altra parte questo rapporto è spesso alimentato da illusioni, inquinato da pregiudizi e impoverito da compromessi perché la realtà stessa è imperfetta, involuta, condizionata dal male. Nell’elaborazione delle dottrine, inoltre, si introducono spesso componenti che inquinano ulteriormente la stessa esperienza mentre la si compie. Ne derivano “diverse forme di occultamento della realtà”. Il Papa ne elenca alcune di vario segno: “i purismi angelicati, i totalitarismi del relativo, i nominalismi dichiarazionisti, i progetti più formali che reali, i fondamentalismi antistorici, gli eticismi senza bontà, gli intellettualismi senza saggezza” (n. 231).

Le dottrine in ogni caso o “le elaborazioni concettuali” sono funzionali alla comprensione del reale. Esse infatti sono necessarie per “cogliere, comprendere e dirigere la realtà” (n. 232). Il criterio indicato dal Papa per valutare concretamente questa funzione delle idee è il coinvolgimento personale: “l’idea staccata dalla realtà origina idealismi e nominalismi inefficaci, che al massimo classificano o definiscono, ma non coinvolgono. Ciò che coinvolge è la realtà illuminata dal ragionamento” (n. 232). Quando ciò accade si passa “dal nominalismo formale all’oggettività armoniosa” (Ib). Altrimenti “si manipola la verità” (Ib) o si cade nell’astratto.

L’incarnazione, principio fondamentale
In prospettiva specificamente cristiana il principio fondamentale per valutare la tensione fra prassi e dottrina in ordine alla evangelizzazione è l’incarnazione.

La energia creatrice e la Parola rivelatrice (Logos, Dabar) non diventano idea ma storia, non si esprimono in dottrine assolute ma in eventi imperfetti e relativi. Il richiamo implicito è alla Costituzione Dei Verbum del Concilio Vaticano II secondo la quale “l’economia della rivelazione avviene con eventi e parole intimamente connessi tra loro, in modo che le opere compiute da Dio nella storia della salvezza, manifestano e rafforzano la dottrina e le realtà significate dalle parole, e le parole dichiarano le opere e chiariscono il mistero in esse contenuto” (DV 2; EV 1, 873).

Ne deriva che “il criterio di realtà, di una Parola già incarnata e che sempre cerca di incarnarsi, è essenziale all’evangelizzazione” (n. 233). Questa prospettiva “ci porta, da un lato, a valorizzare la storia della Chiesa come storia di salvezza, a fare memoria dei nostri santi che hanno inculturato il Vangelo nella vita dei nostri popoli, a raccogliere la ricca tradizione bimillenaria della Chiesa, senza pretendere di elaborare un pensiero disgiunto da questo tesoro, come se volessimo inventare il Vangelo” (n. 233).

Questo cammino è sempre accompagnato dalla provvisorietà per i limiti, l’imperfezione e il male.

L’esperienza del popolo credente
Per comprendere a fondo questo messaggio credo sia utile un richiamo alla Teologia del popolo, una particolare forma della teologia della liberazione sviluppata in Argentina nella seconda metà del secolo scorso, soprattutto dal teologo Rafael Tello, che Bergoglio diciasettenne ha conosciuto e stimato. Divenuto suo Vescovo il Cardinale Bergoglio ne ha valorizzato il pensiero anche nella stesura del documento conclusivo della quinta assemblea dell’Episcopato Latino americano svoltosi ad Aparecida.

Nella Facoltà di teologia di Buenos Aires il 12 maggio 2010 lo ha difeso pubblicamente riabilitandone il pensiero. Ha sostenuto tra l’altro che “la pietà popolare è una forza attivamente evangelizzatrice che possiede nel suo interno un efficace antidoto davanti all’avanzare del secolarismo” e ha citato a conferma il documento di Aparecida secondo il quale “in questa spiritualità c’è un ‘un ricco potenziale di santità e di giustizia sociale’” (DA 262) per cui “ ‘la pietà popolare, […] nell’ambiente secolarizzato in cui vivono i nostri popoli, continua a essere una grandiosa confessione del Dio vivente che agisce nella storia, e un canale di trasmissione della fede’ ” (DA 264) (Bergoglio J. M., Prefazione in Bianchi E.C., Introduzione alla teologia del popolo, Emi, Bologna 2015, pp. 13-22, qui p. 19).

L’esperienza del popolo credente è talmente importante da essere in grado di sopportare anche errori e superstizioni. La Parola incarnandosi, infatti, assume i limiti della kenosi e quindi le insufficienze e gli errori dei modelli umani. Componenti culturali inquinanti e deformanti esistono anche nella sacra Scrittura ma questo non impedisce che in essa risuoni la Parola di Dio. Ciò vale anche per il Magistero della Chiesa, per la teologia, e soprattutto per la pietà o spiritualità popolare.

Un cammino tra imperfezioni ed errori
Tello, parafrasando s. Tommaso sostiene che “le persone che vivono il cristianesimo popolare ‘non devono essere esaminate sui più minuti articoli di fede’ e che ‘non si deve loro imputare a colpa, se sono cadute in errore per ignoranza’ ” (Ib., p. 189 cita Summa Theologiae II.II q.2, a. 6 ad 2um). Evidentemente è opportuno istruire i fedeli con tutti i mezzi possibili, ma non si può pretendere la perfezione della dottrina, data la complessità delle formule dottrinali accumulate lungo la storia. “La fede cattolica del nostro popolo […] implicitamente può contenere molte conseguenze (specialmente di comportamento umano) che non sono esplicitamente conosciute, e siccome non lo sono è facile che siano soppiantate da altri giudizi e criteri provenienti da un’esperienza naturale largamente radicata, che è estranea alla fede. E in questo non sono imputabili, infatti la loro stessa «semplicità» impedisce loro di conoscere la connessione logica necessaria tra la verità professata e il loro contenuto implicito” (Ib., pp. 189 s.).

Anche dal punto di vista pratico ci sono situazioni di errore che non possono essere eliminate. Ci sono situazioni nelle quali qualsiasi scelta si compia si sbaglia. Ci sono condizioni di vita nelle quali la scelta del male minore è l’unica possibile. Ma tutto ciò non impedisce che la vita di fede di coloro che vivono queste situazioni possa essere autentica e possa costituire un punto di riferimento di quel senso del Giusto, del Bene del Vero e del Bello che guida la Chiesa nella storia. Il cammino della Chiesa procede fra imperfezioni, errori e peccati ma là dove la fede viene vissuta lo Spirito guida alla pienezza di vita.

Carlo Molari
Teologo

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