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APPROFONDIMENTI “ERETICI”
SULLA FORMAZIONE DEI PRESBITERI CATTOLICI

Cesare Baldi 

L’editoriale sulla formazione dei presbiteri cattolici, a firma di Riccardo Larini, non mi è sembrato abbastanza “eretico”, nel senso etimologico di chi prende posizione, opera una scelta; mi permetto così di reagire alle proposte pubblicate per approfondirle e concretizzarle.

Impegnato in tempi diversi e differenti latitudini nella formazione di clero e religiosi, condivido integralmente l’analisi avanzata dall’editoriale in questione, al punto da tirarne delle conseguenze operative, per abbozzare un disegno altrettanto eretico e innovativo di percorso formativo.

Per non restare a bocca asciutta
Una prima considerazione fondamentale, che attraversa l’intera riflessione di Larini, è la necessità di superare il clericalismo che inficia profondamente la formazione dei preti cattolici, facendone una casta separata dal popolo di Dio, i soli cui competono i tre munera (insegnare, santificare e governare), sacralizzando così il loro ministero.

Tralascio qui la questione relativa alla funzione del “governare”, che l’autore assume senza opporsi, ma su cui a mio parere varrebbe la pena discutere, benché pacificamente accolta dal codice di diritto canonico e dall’ultimo direttorio dei vescovi. Condivido invece pienamente la sua affermazione che “senza cambiamenti dottrinali non sarà realmente possibile debellare il clericalismo” e aggiungo che, in particolare, è necessaria un’evoluzione coerente dell’ecclesiologia di comunione emersa dal concilio.

Detto ciò, non posso che condividere la sua affermazione sulla necessità di “rivedere radicalmente il curriculum degli studi necessari per accedere all’ordinazione presbiterale, liberandosi dell’ossessione di fare dei ministri ordinati gli impossibili (e decisamente improbabili) esperti di tutto”.

Ugualmente condivisibile è la conseguente proposta di una “formazione umana più solida”, non centrata sull’ormai discutibile (almeno nella forma attuale) obbligo di celibato e non indebolita da una formazione teologica “dialettica e apologetica”, come giustamente le qualifica. Ma è proprio a questo punto, risvegliato opportunamente l’interesse del lettore, il suo editoriale s’interrompe, lasciandoci tutti a bocca asciutta! Tutto chiaro fin qui, ma ora che si fa? Ecco allora il motivo di questo scritto: provo ad abbozzare alcune proposte concrete, sulla base delle mie seppur limitate esperienze di insegnamento.

Desacralizzare la figura del prete
Una prima pista di sviluppo per “decongestionare” la formazione del clero dal punto di vista contenutistico mi sembra dettata dalla necessità di distoglierla dall’attuale concentrazione esclusiva sulle verità acquisite (più che sulla verità sinfonica da ricercare, come giustamente sottolinea Larini): dotare i futuri presbiteri di una solida coscienza delle verità di fede non è sufficiente a renderli idonei al ministero presbiterale.

Credo che la verità di quest’affermazione sia evidente, ma mi sembra sia altrettanto evidente che i responsabili della formazione dei presbiteri non ne vogliano tener conto. Per farlo, a mio avviso, occorre percorrere due piste complementari: una di ordine contenutistico e una di ordine formale. Occorre cioè intervenire da una parte sui contenuti della formazione e dall’altra sulla configurazione ministeriale a cui questa formazione è finalizzata.

Cominciamo dall’aspetto formale: se vogliamo desacralizzare la figura del presbitero, a mio avviso si deve tornare a distinguere le funzioni che storicamente si sono concentrate su di lui: quella liturgica, quella catechetica e quella caritativa. Queste tre funzioni fondamentali hanno dato origine a tre figure ministeriali differenti: il sacerdote (ministero ordinato), il catechista (di recente assunto alla configurazione ministeriale) e il diacono (che il Vaticano II ha riaffermato come primo grado del ministero ordinato).

La vocazione ministeriale della Chiesa
Separando queste tre funzioni necessarie alla vita ecclesiale, si annulla la tentazione del sacerdote di monopolizzare nelle sue mani l’intero servizio pastorale e si afferma a chiare lettere la vocazione ministeriale della Chiesa nel suo insieme.

Con tale impostazione la formazione dei presbiteri cattolici non è più “esclusiva” per l’unica figura clericale, ma si apre a tutti i laici che vogliano svolgere uno dei tre ministeri fondamentali. Se tutto il popolo di Dio è chiamato a partecipare alla stessa missione e lo Spirito suscita in chiunque vocazioni di “speciale consacrazione”, allora tutti coloro a cui la comunità ecclesiale riconosce un carisma particolare e a cui vuole affidare un ministero particolare devono poter accedere alla formazione adeguata e non riservata ai soli presbiteri. Tale formazione, ampia e articolata, deve perciò prevedere tre sbocchi differenti (i sacerdoti, i catechisti e i diaconi), cui competono altrettante forme diverse di ministero, complementari e integrantesi quanto si voglia. Postilla: considerare il ministero diaconale una figura a sé stante, dovrebbe prevedere la scomparsa del “diaconato transeunte” per tutti i candidati al sacerdozio, proprio perché si tratta di un ministero differente e non solo di un “grado” inferiore dell’unico ministero sacerdotale.

Il nodo della formazione umana
Veniamo allora alla struttura di questa formazione, ovvero ai contenuti: senza stravolgere l’attuale ciclo formativo, credo sia possibile precisare un percorso integrato di due trienni, uno comune e l’altro di specializzazione. Propedeutica a tale percorso, dovrebbe però essere prevista una formazione umana, integrata nei cammini di pastorale giovanile ordinaria, in parrocchia e in diocesi: il cosiddetto “progetto formativo”, non può essere ad esclusivo appannaggio di alcuni movimenti ecclesiali, ma costituire il fondamentale percorso di qualsiasi laico cattolico che si voglia impegnare anche solo in modo occasionale in un servizio pastorale.

La formazione umana, insomma, non può concentrarsi nei pochi anni di “formazione specifica” di chi andrà a svolgere un ministero all’interno della comunità ecclesiale, ma dev’essere prevista e integrata nello sviluppo di un “normale” percorso formativo ecclesiale, in particolare per i più giovani e non finalizzato alla sola celebrazione di un sacramento. Prendere parte alla comunità ecclesiale dovrebbe significare automaticamente entrare in un percorso formativo, fatto di momenti espositivi (catechesi), attività concrete (carità) e momenti celebrativi (liturgia).

Una formazione diversificata
Da questa prima formazione di base possono scaturire già le vocazioni o i carismi speciali, cioè quelle capacità che lo Spirito suscita e la comunità riconosce nei suoi membri, in vista dell’uno o dell’altro dei tre ministeri. Si distinguono così le capacità di “aiutare a celebrare”, “aiutare a comprendere” e “aiutare a stare insieme” (più che governare) ed è su queste capacità che occorrerebbe instradare i candidati in un primo triennio di carattere tecnico-pratico, centrato sulle scienze della comunicazione, sulle scienze dell’organizzazione, sulle scienze pedagogiche e sull’introduzione alla teologia.

Questo primo triennio può avvalersi ovviamente delle formazioni universitarie già in essere, opportunamente integrate con corsi specifici di introduzione alla teologia e da corsi di teologia fondamentale, teologia pratica e missiologia, che sono alla base del fondamento dottrinale specifico successivo.

Questo primo triennio però deve concentrarsi sul percorso pratico anche attraverso veri e propri tirocini, non necessariamente di vita comune (cui peraltro i candidati non saranno tenuti nel ministero ordinario), quanto di collaborazione e cooperazione tra loro e con altri, su specifici terreni di attività dove saranno sottoposti a giudizio anche dalla comunità cristiana e dove alcune figure di osservatori competenti sapranno esaminare la loro azione e la loro idoneità.

Il “triennio di specializzazione” invece verterà sulle discipline teologiche, esegetiche, giuridiche e pastorali. Durante questo triennio i candidati, pur avendo corsi comuni, perseguiranno ciascuno la propria specializzazione: i sacerdoti si specializzeranno in campo liturgico, sacramentale, spirituale e psicologico; i catechisti approfondiranno le questioni filosofiche, dogmatiche, morali, ecumeniche e interreligiose; i diaconi si specializzeranno negli aspetti antropologici, sociologici, ecologici, etici e politici della fede. Il triennio non sarà solo speculativo, ma svilupperà dei “seminari” operativi in cui i candidati dovranno mettere alla prova le competenze acquisite, con interventi pubblici, in cui non saranno lasciati a se stessi ma accompagnati da chi li sta seguendo, come brevi tirocini.

** ** **

Ecco alcune suggestioni, che ovviamente non hanno alcuna pretesa né di completezza né di sistematicità, ma sono un semplice approfondimento altrettanto “eretico” dell’editoriale di Larini.

Cesare Baldi
Presbitero della diocesi di Novara. Collabora con la Caritas diocesana di Novara.
Autore del volume “Riunire i dispersi. Lineamenti di pastorale missionaria”, tab edizioni, Roma 2021

Articoli correlati presenti nel sito:
Riccardo Larini, Riflessioni “eretiche” sulla formazione dei presbiteri cattolici
Piana Giannino, Un testimone del Vangelo per li uomini d’oggi
Fulvio De Giorgi, 
Chi semina vento raccoglie tempesta, ovvero la mancata selezione dei preti
Marco Guzzi
Ri-formare i cristiani a partire dai presbiteri

Un libro per approfondire:
MichaelDavide Semeraro, 
Preti senza battesimo? Una provocazione, non un giudizio
San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 2018, pp. 156.

[pubblicato il 2 giugno 2022]
[L’immagine che correda l’articolo è ripresa dal sito: www.vaticannews.va]

5 Commenti su “APPROFONDIMENTI “ERETICI”
SULLA FORMAZIONE DEI PRESBITERI CATTOLICI”

  1. Aggiungo ancora qualche riflessione sulle suggestioni di Cesare Baldi.
    Scrive l’amico Cesare
    “Separando queste tre funzioni (presbiterale, catechetica e caritativa NDR) necessarie alla vita ecclesiale, si annulla la tentazione del sacerdote di monopolizzare nelle sue mani l’intero servizio pastorale”
    Eh, sarebbe bello… Non è impossibile trovare un parroco che abbia delegato la catechesi e le opere di carità: è impossibile trovare un parroco che non si senta a capo dei catechisti e degli operatori di carità della sua parrocchia. Separare le tre funzioni è condizione necessaria ma non sufficiente: fino a che il parroco è capo di fatto e di diritto, feudatario della propria parrocchia, non si potrà procedere molto.
    Tanto più che egli è di solito l’unico ad avere la firma sul conto corrente bancario della parrocchia.

    Scrive ancora l’amico Cesare
    ‘Allora tutti coloro a cui la comunità ecclesiale riconosce un carisma particolare e a cui vuole affidare un ministero particolare devono poter accedere alla formazione adeguata e non riservata ai soli presbiteri’.
    In realtà non mi pare che ci siano ostacoli di accedere a tale formazione: nella mia diocesi ci sono corsi di teologia per laici presso il seminario, sennonché sono frequentati più che altro da candidati ad un confortevole posto di insegnante di religione, utile a far quadrare il bilancio familiare, ma perfettamente inutile per la comunità ecclesiale da cui tali candidati provengono (da cui provengono? Mah.. frequento la mia parrocchia da che ero bambino e gli insegnanti di religione dei miei figli non li conosco).

    Scrive ancora l’amico Cesare
    “gli aspiranti (presbiteri o diaconi o catechisti) dovrebbero compiere dei tirocini dove saranno sottoposti a giudizio anche dalla comunità cristiana”
    Questo è un vero tabù: che gli aspiranti presbiteri debbano essere posti sottoposti al giudizio della comunità é poco meno che una bestemmia in chiesa: sembra un totem inscalfibile che a decidere dell’idoneità di un cristiano ad essere presbitero debbano essere solo presbiteri. Anche solo adombrare un giudizio comunitario sembra proprio blasfemia. E così ci troviamo sul pulpito individui incapaci, insipienti e inadatti, burocrati dai capelli tinti che ci massacrano le palle con omelie farneticanti, deliri onirici che rendono impraticabile la celebrazione anche ai più cocciuti. Ma la fame di funzionari ecclesiastici è più forte di tutto questo, come sappiamo. E mai nessuno che chieda conto di come le comunità si svuotino e i giovani fuggano appena dopo la cresima. Purtroppo anche i laici su questo aspetto tengono la bocca chiusa.

    In conclusione mi sembra che il tema della ministerialità non sacerdotale sia davvero la chiave di volta per un futuro possibile della nostra chiesa. Solo quando i nostri parroci accoglieranno con lo stesso entusiasmo – che oggi accordano solo ad un giovane aspirante al seminario – anche un giovane che voglia fare il catechista o l’operatore di carità ‘toto corde’ e non solo negli avanzi di tempo esattamente come ‘toto corde’ e non solo nei ritagli di tempo si fa il prete, solo allora potremo iniziare a immaginare la fine del clericalismo. Perché oggi che un giovane possa pensare di fare il prete lo possiamo immaginare, ma che possa fare il catechista o l’operatore di carità ‘incardinato’ (sì, proprio così, come si dice di un presbitero) in una diocesi forse non riusciamo neppure ad immaginarlo.

    1. Caro Stefano, se non fosse decisamente azzardato, mi verrebbe da dire “…non sei lontano dal regno dei cieli!” …ma al di là della battuta, condivido le tue osservazioni che ritengo pertinenti e fondate. Il vero nodo è ecclesiologico (ministerialità, soggettività giuridica della comunità, ruolo della donna, ecc.), ma ho il piacere di dirti quanto ho scoperto ultimamente, cioè che il nostro caro amico vescovo Adriano, nella prelatura di Saõ Felix do Araguaia, sta realizzando da anni un cammino di formazione (non un seminario) per candidati presbiteri, laici e laiche, molto innovativo e molto “ministeriale”. Una vera boccata di ossigeno per questa nostra logora istituzione. Dovremmo “capitalizzare” di più queste esperienze illuminanti!

  2. Un bell’articolo dell’amico Cesare, mi pare che indichi una direzione giusta anche per i laici
    Se è vero che ‘tutti coloro a cui la comunità ecclesiale riconosce un carisma particolare e a cui vuole affidare un ministero particolare devono poter accedere alla formazione adeguata e non riservata ai soli presbiteri’
    c’è molto da fare e pensare anche da parte dei laici, perchè anche per essi (per noi) le cose da cambiare sono molte.

  3. Ottime proposte, ma la gerarchia pensa che possa intendere un cambiamento? No, si continuerà a fare come si è sempre fatto, è più semplice e assicura il potere totalmente ai presbiteri.

  4. Ottimo articolo. Una raccomandazione: che i nuovi aspiranti ai ministeri ecclesiali studino le Scritture seguendo i criteri più aggiornati, in particolare quelli offerti dalla esegesi storico-critica. Ci sono molte nuove acquisizioni che riguardano i ministeri nella Chiesa e il loro fondamento . Grazie

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