CHARTA OECUMENICA
NUOVE VIE PER L’ECUMENISMO IN EUROPA
Gabriella Cecchetto
Vent’anni fa vedeva la luce a Strasburgo il 22 aprile la “Charta Oecumenica”. Linee guida per la crescita della collaborazione tra le Chiese in Europa”, voluta dalle tre grandi tradizioni cristiane europee: cattolica, ortodossa, protestante.
Un contesto altamente simbolico
Perché a Strasburgo? Strasburgo è una città abituata agli incroci delle lingue, delle culture, delle fedi diverse in cui l’ecumenismo è di casa, è la città simbolo della riconciliazione franco-tedesca dopo l’occupazione nazista; inoltre, è la capitale dei diritti umani, poiché oltre ad essere sede del Parlamento Europeo, ospita anche il Consiglio d’Europa, originato dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo del 1949, nel cui ambito ha sede la Corte Europea dei diritti dell’uomo.
Perché domenica 22 aprile? Il settimo Incontro Ecumenico Europeo, nel cui ambito nacque la “Charta” ebbe luogo a Strasburgo, da martedì 17 a domenica 22 aprile, all’indomani della celebrazione della Pasqua 2001, che in quell’anno cadeva nello stesso giorno – il 15 aprile – per tutte le Chiese cristiane, evento che si ripeterà nuovamente soltanto nel 2025.
In tale contesto altamente simbolico venne firmata ufficialmente l’attesa “Charta”, nella cattedrale luterana francese di Saint Thomas, all’interno del culto ecumenico conclusivo, dal Metropolita di Parigi, Jérémie Caligiorgis, del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli, presidente della KEK (Conferenza delle Chiese d’Europa), che raccoglie le Chiese ortodosse e protestanti, e dall’Arcivescovo di Praga, cardinale Miloslav Vlk, presidente del CCEE (Consiglio delle conferenze episcopali d’Europa) che raduna le chiese cattoliche.
Due esperienze fondative
La “Charta” nasce dalla coscienza che le Chiese non hanno risposte credibili ai gravi problemi legati ai temi della giustizia, della pace e della salvaguardia del Creato, non solo, essendo disunite o addirittura in conflitto tra loro, non sono credibili nel loro annuncio e testimonianza del Vangelo: “E’ in gioco l’essenza stessa delle Chiese ed il futuro del cristianesimo”, si disse allora.
La Prima Assemblea Ecumenica Europea di Basilea, “Pace nella giustizia” (1989) e la Seconda di Graz, “Riconciliazione, dono di Dio” (1997), autentiche assemblee di popolo ecumenico, sono state le due esperienze fondative per la redazione della “Charta”.
Decisivo il documento finale di Graz, in cui tra l’altro si legge: “La difficile situazione in cui versa attualmente per varie ragioni la comunione ecumenica richiede che si prendano consapevolmente delle contromisure. Sembra necessario coltivare una cultura ecumenica del vivere e lavorare insieme e stabilire a tale scopo un fondamento vincolante”, per cui si raccomanda alle Chiese: “di redigere un documento comune che contenga i diritti e i doveri ecumenici fondamentali e di dedurre una serie di direttive, regole e criteri che possano aiutare le Chiese, i loro responsabili e tutti i loro membri a distinguere fra proselitismo e testimonianza cristiana, nonché fra fondamentalismo e autentica fedeltà alla fede e a configurare, infine, in spirito ecumenico le relazioni fra le Chiese maggioritarie e le Chiese minoritarie”. Ecco già delinearsi il profilo della “Charta”.
Un confronto lungo e appassionato
I due “organismi di comunione”, la KEK e il CCEE, all’indomani di Graz, affidano la responsabilità del progetto al gruppo di lavoro misto. In tutto quattro anni di studio e di confronti appassionati.
Il documento viene predisposto e fatto oggetto di un’ampia consultazione tra le 125 Chiese e le organizzazioni membri della KEK e le 34 conferenze episcopali del CCEE e dei vari organismi europei che hanno inviato le loro osservazioni. È seguita una lunga, ulteriore elaborazione per giungere al testo da firmare.
A Strasburgo gli oltre 250 partecipanti, metà rappresentanti ufficiali delle Chiese e metà giovani sotto i trent’anni si sono scambiati, nei gruppi di lavoro, esperienze e testimonianze e alla fine molti giovani hanno espresso il loro ringraziamento ai responsabili delle Chiese per aver accettato il dialogo con un atteggiamento di grande semplicità. L’incontro riuscì ad essere veramente un luogo di scambio e dialogo sia tra le Chiese sia tra le generazioni.
Il Documento finale di Graz raccomandava di “rendere partecipi i giovani e affidare loro la visione ecumenica del futuro e della continuazione del processo conciliare per la giustizia, la pace e la salvaguardia del Creato”.
Il settimo Incontro Ecumenico Europeo, nato dal desiderio della KEK e del CCEE di riflettere sul significato della fede in Gesù Cristo nel mondo odierno, è stato anche la risposta a quella raccomandazione sui giovani.
Un testo breve ed originale
Luogo, tempo, determinazione della KEK e del CCEE hanno reso possibile la stesura della “Charta” e con essa la realizzazione del sogno delle Chiese europee agli albori del terzo millennio: tracciare nuove vie per l’ecumene in Europa.
La “Charta Oecumenica” ha dato ali a questo sogno, nell’essenzialità, concretezza e pacatezza del suo linguaggio. Il testo è breve, decisamente originale rispetto ai documenti abituali delle Chiese; “la sua forza risiede nella sua identità multipla, in quanto formato dalle Chiese d’Europa”.
Costituisce “un vocabolario minimo, accessibile a chiunque e utile a nutrire la comune speranza fondata in Cristo”. Non è un documento per gli specialisti ma un testo di divulgazione ecumenica che, tradotto dall’originale in tedesco in ben 30 lingue (arabo ed esperanto compresi) ha superato, quanto al successo editoriale, il BEM (Battesimo Eucarestia Ministero) di Lima1982.
“Il testo si sviluppa in tre parti: la prima formula la base teologica dell’impegno ecumenico; la seconda esprime i passi da fare per la crescita della collaborazione e dell’unità visibile tra i cristiani e le Chiese; la terza – la più ampia – delinea i contributi fondamentali che le Chiese sono chiamate ad offrire all’Europa”. L’ispirazione di fondo di ogni parte e la sua chiave interpretativa è espressa da una citazione della Scrittura che segue il titolo.
In questa scelta la “Charta” mette a frutto anche il lungo lavoro – quasi un trentennio – che ha portato alla dichiarazione congiunta luterano-cattolica sulla Giustificazione, firmata ad Augsburg il 31 ottobre 1999. Allora l’accordo fu raggiunto partendo dalla Parola di Dio e mettendo sotto il suo giudizio i temi ed i problemi sul tappeto. Tale metodologia la si ritrova anche nella “Charta”: solo la Parola di Dio è stato il punto di partenza condiviso da tutti.
Gli impegni e il valore della Charta
I compiti ecumenici sono segnalati in dodici punti che riguardano: le relazioni interne ai cristiani e alle loro Chiese, l’impegno per l’unità visibile (1-6); il rapporto con la politica e la società, la missione comune in un’Europa ormai secolarizzata (7-8); infine, le relazioni interreligiose, la testimonianza cristiana nella costituzione della futura società europea, riconoscendo il diritto di libertà religiosa dei singoli e di ciascuna confessione, ripudiando il nazionalismo e il razzismo, salvaguardando il Creato, approfondendo la comunione con l’Ebraismo e curando i rapporti con l’Islam (9-12).
Il documento non ha autorità teologica, né dogmatica, né giuridica, ha piuttosto un’autorevolezza particolare a livello pastorale, costituendo comunque “una raccomandazione forte, un invito esigente”, una sorta di costituzione ecumenica. La sua normatività dipende dalla auto-obbligazione delle Chiese cristiane europee, che viene espressa dalla formula “Ci impegniamo – molto più forte nel tedesco originale Wir verpflichten uns, ci auto-obblighiamo – in risposta ad ogni enunciazione programmatica”.
Nella “Charta” per venti volte ricorrono espressioni in cui l’azione – annunciare, contribuire, dibattere – è accompagnata dall’avverbio “insieme” per ribadire venti volte la volontà delle Chiese europee di operare nel concreto l’una accanto all’altra.
Il processo di ricezione della Charta
La “Charta” è un documento molto concreto, 26 gli impegni che propone, ed è un documento aperto: più del testo scritto infatti conta il processo di ricezione che le Chiese sanno attuare in ogni realtà ecclesiale loro propria.
Una breve storia della ricezione della “Charta” indica un grande e diffuso entusiasmo iniziale “che ridava freschezza e speranza come forse avvenne dopo la Conferenza missionaria mondiale di Edimburgo (1910), agli albori dell’ecumenismo, o negli anni immediatamente successivi al Concilio Vaticano II”; in numerosi paesi, soprattutto dell’Europa centrale, l’area più diffusamente sensibile all’ecumenismo, la “Charta” è stata stabilmente accolta nella vita quotidiana delle comunità di base, producendo un cristianesimo vissuto ecumenicamente; in Russia, invece, non ha avuto una positiva accoglienza; nel Sud dell’Europa è stata formalmente accolta ma poi è rimasta chiusa nel cassetto.
L’Italia per molti aspetti condivide l’atteggiamento dell’area geografica a cui appartiene, ma si possono anche elencare significativi esempi di segno diverso, il più incoraggiante dei quali è il diffondersi dei Consigli delle Chiese cristiane, che hanno tutti la “Charta” nel loro DNA, in tutto si tratta di 16 organismi (l’ultimo ad essere stato costituito è quello di Mantova il 28 novembre 2021) convintamente impegnati nel movimento ecumenico; la loro attività più visibile è la preparazione della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani (Spuc), ogni anno dal 18 al 25 gennaio, insieme alla Giornata per l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo ebraico cristiano (17 gennaio).
Anche la Chiesa Evangelica Luterana in Italia (CELI) ha inserito, nel 2004, la “Charta” nella sua Costituzione.
Altri effetti nello spirito della Charta
Ancora nello spirito della “Charta” può essere considerato l’“Appello ecumenico contro la violenza sulle donne”, sottoscritto il 9 marzo 2015 al Senato della Repubblica Italiana da cattolici, ortodossi, protestanti che motiva, ogni anno, le molte iniziative ecclesiali nell’ambito della “Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne” (25 novembre). Lo stesso si può dire per la preghiera ecumenica in occasione della “Giornata mondiale del creato” (1° settembre).
Dal 2016 sono operativi i corridoi umanitari per far giungere migranti in Italia in sicurezza; promossi dalla Comunità di sant’Egidio (cattolici), dalla Federazione delle Chiese evangeliche in Italia e Tavola valdese in accordo con i Ministeri degli Interni ed Esteri, hanno messo in salvo 2050 persone; una goccia nel mare ma segno forte nell’indicare una modalità umana nel trattare il problema delle migrazioni.
Non ci si può lamentare dei primi venti anni di vita della “Charta”, non è stato fatto poco, l’impulso che essa ha dato continua ad alimentare l’ecumenismo come un’esperienza di base, una qualità e uno stile che devono impregnare di sé tutta la pastorale e incoraggiare il cambiamento della mentalità, perché le Chiese non possono più camminare da sole.
Un testo ancora pieno di vita e vigore
L’ecumenismo è un processo lento, difficile, che esige molta pazienza, ma anche gioioso perché le prospettive sono immense. La “Charta Oecumenica” ha solo vent’anni ed ha tutta l’energia necessaria per perseverare nel cammino verso l’unità della Chiesa.
Come ha affermato monsignor Aldo Giordano, nel 2001 segretario della CCEE e uno degli attori più impegnati nella redazione del testo (morto di Covid il 2 dicembre 2021): ”Dopo vent’anni la Charta Oecumenica ha la maturità e la giovinezza per essere rilanciata, per suscitare una nuova onda di studi, di dialoghi, incontri, azioni concrete, progetti (…), ancora oggi può aiutare a rilanciare il tema della costruzione europea e della sua vocazione storica per il pianeta terra, affrontando insieme gravi e decisivi temi per il futuro dell’umanità”.
Gabriella Cecchetto
Membro della Commissione diocesana per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso di Venezia e dell’Associazione “Amici di don Germano”, che aderisce alla Rete dei Viandanti.
[pubblicato il 21 dicembre 2021]
[L’immagine che correda l’articolo è ripresa dal sito: http://www.christianunity.va]