IL SINODO CONTINUA
Franco Ferrari
“Il Sinodo continua” è il messaggio finale che i cardinali Hollerich e Grech, hanno consegnato alla Chiesa nella conferenza stampa di chiusura dei lavori sinodali e di presentazione dei 155 paragrafi del Documento finale (DF), votato dall’Assemblea con la richiesta maggioranza dei due terzi, dopo aver esaminato oltre 1.000 emendamenti.
Il sinodo continua, ma come?
Un percorso è già definito ed è quello dei 10 gruppi di studio che consegneranno i loro risultati al papa entro il 25 giugno 2025.
Tra la prima e la seconda sessione di questa XVI Assemblea del Sinodo, il papa – viste le “molteplici e importanti questioni teologiche, non prive di ripercussioni giuridiche e pastorali”, proposte dal Documento di sintesi – ha costituito 10 gruppi di studio che dovranno relazionare entro il 25 giugno del prossimo anno.
Questo “trasferimento” delle questioni dall’aula sinodale agli esperti non è stato privo di problemi. La Segreteria generale aveva previsto, in apertura della sessione, che ogni gruppo relazionasse sullo stato dei lavori, ma i padri e le madri sinodali sono rimasti insoddisfatti e hanno chiesto di poter incontrare i singoli gruppi. Nel rigido calendario dei lavori è stato perciò trovato uno spazio per questo incontro di cui poco si è saputo.
Il cardinale Grech è corso poi ai ripari con un comunicato nel quale diceva che tutti potranno “far pervenire contributi, osservazioni, proposte, soprattutto ogni fedele e ogni gruppo, associazione, movimento o comunità potrà partecipare con il proprio contributo”. La Segreteria del Sinodo li farà avere ai gruppi interessati.
A tutti e dieci i gruppi sono stati affidati ampi e fondamentali campi di ricerca con l’impegno di lavorare coinvolgendo i Dicasteri della Curia e sulla base di tracce di lavoro già definite dalla Segreteria del Sinodo. Tra questi se ne segnalano alcuni in particolare.
La figura e il ministero del vescovo (Gruppo 7) verranno approfonditi in relazione ai criteri di selezione e al come possano entrare nel procedimento di scelta le varie componenti del Popolo di Dio, il presbiterio, gli organismi di partecipazione e la Conferenza episcopale.
Le questioni etiche controverse (Gruppo 9), – fine vita, intelligenza artificiale, orientamento sessuale, … -, dovranno essere affrontate rileggendo “le categorie tradizionali dell’antropologia” ed “articolando meglio la circolarità tra dottrina e pastorale”.
Al gruppo che si occuperà della questione ecumenica (n.10) sono affidati tre grandi temi: l’ospitalità eucaristica, il rapporto tra primato e sinodalità con una particolare attenzione al “modo di intendere il ministero petrino al servizio dell’unità”.
Una rinnovata attenzione è poi riservata alle relazioni con le Chiese orientali cattoliche (armena, copta, siriaca, maronita, …), in particolare per le questioni relative alla diaspora dei loro fedeli e per l’esigenza di creare un Consiglio dei Patriarchi presso il papa (Gruppo 2).
Accanto ai dieci gruppi vi sono, poi, la commissione canonistica, che deve fare proposte di modifiche del diritto canonico e il gruppo di studio sulla poligamia, affidato al Symposium delle Chiese africane (SECAM).
Una particolare rilevanza, date le molte critiche emerse dalle consultazioni, dovrebbe avere il Gruppo sulla liturgia, richiesto al n. 27 del Documento finale, ma al momento ancora in fieri.
Siamo, dunque, di fronte ad un grande work in progress del quale non è ancora possibile prevedere gli esiti.
Conoscere e tradurre operativamente
La seconda via, che spetta ai vescovi percorrere, sembra essere l’implementazione del DF nelle diocesi, o meglio tra il Popolo di Dio, che è il riferimento vero e vivo, non “burocratico”, della Chiesa sinodale.
Il Vescovo di Roma non farà un’Esortazione apostolica perché vuole “riconoscere il valore del cammino sinodale compiuto, che tramite questo Documento – ha detto nel saluto conclusivo – consegno al santo popolo fedele di Dio”. Nel breve discorso Francesco ha indicato anche tre vie da percorrere con un avvertimento.
Il documento va fatto conoscere, compito affidato ai sinodali: “sarete soprattutto voi, assieme a tanti altri, a renderlo accessibile nelle Chiese locali”. Il Documento contiene già “indicazioni molto concrete” ed è necessario che “le parole condivise siano accompagnate dai fatti. E questo è il cammino”. Terzo: in questo tempo tempestoso e guerrafondaio la Chiesa deve essere testimone di una convivenza pacifica “imparando a dare forma reale alla convivialità delle differenze”. Quelle differenze o pluralità che questo Sinodo, in particolare, ha portato in evidenza in tutti i suoi passaggi: dalla consultazione iniziale a questa sessione conclusiva.
Occorre ancora tempo e ascolto
L’avvertimento è che sulle questioni più complesse, in sostanza quelle rimandate ai dieci gruppi di studio, “c’è bisogno di tempo, per giungere a scelte che coinvolgono la Chiesa tutta”. Francesco ha anche rassicurato dicendo che non è il “modo classico di rimandare all’infinito” e che lui continuerà “ad ascoltare i Vescovi e le Chiese affidate a loro”. Sulle modalità e sulla tempistica di questo ascolto non è facile fare previsioni.
La necessità di ulteriore tempo per decidere, se da un lato è comprensibile data la complessità dei problemi sollevati, dall’altro lascia un legittimo spazio alla delusione di molti nell’opinione pubblica ecclesiale. Delusione, irritazione, sapore agrodolce sono i termini usati dai commentatori per parlare delle conclusioni del Sinodo.
Che ci potesse essere delusione era noto a tutti, basta leggere l’ultima meditazione che il padre domenicano Radcliffe ha tenuto all’Assemblea prima di iniziare l’esame del DF: “Potremmo essere delusi dalle decisioni del Sinodo” e ancora “anche se siete delusi dal risultato del Sinodo, la provvidenza di Dio è all’opera”.
Indubbiamente questo è stato un sinodo difficile, perché difficile è ridisegnare una forma di Chiesa che sia sinodale, a piramide capovolta, che combatta il clericalismo. Le paure e le divisioni, che nemmeno il metodo della “conversazione nello spirito” è riuscito a sopire del tutto, sono state ammesse implicitamente col refrain “non dobbiamo avere paura del disaccordo”, inoltre basta leggere in filigrana i testi di tutte le meditazioni tenute ai padri e alle madri sinodali durante le due sessioni: una sorta di pressing spirituale.
Il nodo del diaconato femminile
La questione del diaconato femminile resta aperta, complessa, imbarazzante e rinviata nel tempo. La Relazione di sintesi, documento conclusivo della prima sessione, la rilevava come problema sul quale non c’era accordo e proponeva di “proseguire la ricerca teologica e pastorale” (cap. 9).
Il papa, ricevuta la Relazione, ne ha affidato l’approfondimento ad uno dei 10 gruppi di studio, il gruppo 5 (Alcune questioni teologiche e canonistiche intorno a specifiche forme ministeriali).
Del gruppo – coordinato dal Dicastero per la dottrina della Fede e nello specifico dal Segretario della sezione dottrinale, mons. Armando Matteo -, a differenza di tutti gli altri nove non conosciamo la composizione perché il Dicastero ha comunicato che “ha avviato lo studio secondo le procedure stabilite nel suo Regolamento proprio”.
Il prefetto Fernandez nella relazione che ha fatto all’assemblea sinodale ha detto che “il Dicastero ritiene che non vi sia ancora spazio per una decisione positiva del Magistero sull’accesso delle donne al diaconato Questa è una considerazione che è stata recentemente confermata pubblicamente dallo stesso Pontefice. In ogni caso resta aperta la possibilità di proseguire il lavoro di approfondimento”.
I partecipanti all’assemblea non sono rimasti molto soddisfatti di questo come degli altri aggiornamenti sui lavori dei gruppi di studio e hanno chiesto di poterli incontrare. I sinodali che erano interessati al gruppo cinque si sono però dovuti accontentare di dialogare con alcuni officiali del Dicastero.
La reazione dei partecipanti, tra i quali alcuni vescovi, deve essere stata particolarmente concitata perché tre giorni dopo, il 21 ottobre, il cardinale Fernandez si è dovuto giustificare in Assemblea. Ma con la sua comunicazione ha tolto anche alcuni sassolini dalla pantofola pontifica.
Fernandez ha detto che il papa vuole che prima del diaconato vengano esplorate le possibilità per una reale responsabilizzazione delle donne. Ancora oggi molte, forse troppe diocesi non attuano quanto è già possibile: per l’accolitato “molte volte sono i preti che non vogliono presentare donne al vescovo”; per le catechiste “che sostengono le comunità in assenza di preti e svolgono diverse funzioni” pochissime Conferenze episcopali hanno dato corso.
Infine, sul diaconato maschile (ripristinato dal Concilio, 1962-65) si è domandato: “in quante diocesi del mondo è stato accolto?” e dove ci sono “quante volte sono solo chierichetti ordinati?”. Per poi concludere: “Questi pochi esempi ci fanno capire che affrettarsi a chiedere l’ordinazione di diaconesse non è oggi la risposta più importante per promuovere le donne”. Come a dire: occorre ancora smantellare molti pregiudizi e resistenze prima di fare un ulteriore passo avanti.
E in conclusione anche il Documento finale, al n. 60, pur lanciando l’avvertimento che “non si potrà fermare quello che viene dallo Spirito Santo”, dice che la questione “resta aperta”.
Un punto di non ritorno
Superando le delusioni rispetto alle attese e anche se le lacune, come annota il padre sinodale e teologo Dianich, “sono troppe, a dire il vero, e troppo vaste”, possiamo dire che il DF e l’esperienza dei quattro anni di cammino sinodale segnino alcuni punti di non ritorno.
La Chiesa non potrà che essere una nella diversità. La consapevolezza della grande varietà che già esiste nella Chiesa è andata maturando durante il percorso sinodale: dagli esiti della consultazione, al passaggio nelle sette Assemblee continentali fino alla chiara assunzione nel DF (nn. 36-39).
In relazione alla diversità sta poi la forte indicazione sul decentramento (nn. 124-136), che passa per: il riconoscimento di competenze alle Conferenze episcopali; la ripresa dei Concili particolari; l’attenzione all’esperienza delle Assemblee continentali; la definizione delle materie riservate al papa e quelle da “restituire” ai vescovi.
Un terzo aspetto riguarda gli organismi di partecipazione (nn. 103-108) che vengono giudicati “uno degli ambiti più promettenti” per l’attuazione degli orientamenti del Sinodo. Il DF al n. 108 propone che il Sinodo diocesano diventi uno strumento per “la regolare consultazione da parte del vescovo” del popolo di Dio a lui affidato.
Collegata alla partecipazione è l’introduzione di una cultura e di pratiche di trasparenza, rendicontazione e valutazione (nn. 95-102), non solo a livello economico (pubblicazione di bilanci certificati), ma anche sulla tutela dei minori e sull’attività pastorale, di tutti i ministeri e dei vari incarichi ecclesiali.
Infine, ma non da ultimo, l’impegno ecumenico per la ricerca dell’unità con le altre Chiese dovrà essere intensificato. L’Assemblea ha valutato positivamente i progressi degli ultimi sessant’anni (nn. 40, 122, 137-138). Inoltre, il dialogo interreligioso:” la Chiesa sinodale è chiamata ad “aprirsi alle relazioni con le altre tradizioni religiose” per uno “scambio dei doni (nn. 41-42, 123).
Si tratta di cinque grandi aree che designano l’identità della Chiesa sinodale. Per diverse di queste si potrà procedere anche subito alla loro traduzione operativa. Ora, però, si tratta di leggere e approfondire il DF, come ha chiesto il papa, affinché le parole diventino fatti. Questa è la nuova sfida. La paIla, se così si può dire, passa sia ai vescovi sia al popolo di Dio. E incontreranno le stesse paure e le stesse resistenze che hanno conosciuto i padri e le madri sinodali.
Franco Ferrari
Presidente di Viandanti
Il presente articolo è stato pubblicato sul numero di novembre-dicembre (6/2024 ) di “Missione Oggi”, rivista edita dai Missionari Saveriani.
Si ringrazia la direzione per la gentile concessione.
[Pubblicato l’ 8.12.2024]
[L’immagine che correda l’articolo è ripresa dal sito: https://www.st-peters-basilica-tickets.com/it/]
Voglio lasciare un commento a lode dell’ operato del vostro sito e delle comunicazioni che fate pervenire ad amici che raggiungete da anni, com’è il mio caso.
Abito in una città Salerno che si avvale di tanta storia per fare conferma della funzione della Chiesa locale. Ma questa Chiesa sembra nascondersi nelle forti mura a corredo della cattedrale dedicata a San Matteo.
Attraverso i materiali che avete pubblicato ho seguito i lavori del Sinodo ma niente è apparso ad opera della chiesa locale che avesse almeno la funzione di dare informazioni. O forse c’ è qualche metodo che seleziona i credenti, escludendo estranei alle logiche “conservatrici”. Grazie e saluti