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L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE
È GIÀ TRA NOI

Giancarla Codrignani

L’intelligenza è già un problema, soprattutto se la scuola dovesse ridursi al merito. Infatti l’umano è diverso in tutti i suoi esemplari, non solo negli animali e nelle piante “che non ce n’è nessuna in tutto uguale all’altro”, ma per le possibilità di essere tutti ugualmente presenti in una società civile e diversamente responsabili delle modificazioni di sistema.

Le estensioni strumentali
L’umano ha giuste pretese e cerca collaborazioni strumentali diversificate che lo aiutino a “fare cose” e per questo ha inventato le macchine: in età ellenistica si potevano avere fontane che versassero acqua o vino da diverse uscite. Poteva utilizzare la conoscenza della fisica per altri usi produttivi? Certamente sì, ma non serviva in società in cui per produrre beni e servizi bastavano gli schiavi. Gli scienziati sanno che il cammino della scienza è sicuro, mentre il progresso è condizionato dall’evoluzione delle invenzioni: bisogna, appunto, “scoprirle”.

Abbiamo inventato le macchine calcolatrici e telefoniche, diversificatesi nelle generazioni; dagli scatoloni dei primi computer sono usciti il pc portatile e lo smartphone, strumenti di sicuro vantaggio per tutti. Solo che il mezzo è il messaggio e adesso comprendiamo meglio che cosa ha voluto dire Mc Luhan a metà degli anni Sessanta (del secolo scorso). Dopo più o meno sessant’anni non siamo più gli stessi: anche se i princîpi non cambiano, loro camminano con noi e le nostre modificazioni.

Tra media e algoritmi
Basta nominare in termini sociologici la televisione per cogliere le trasformazioni d’impiego del tempo e l’ampliamento della conoscenza del mondo: la globalizzazione non significa solo la celerità negli incroci finanziari, ma anche che nel luogo più remoto si è visto lo sbarco sulla luna o l’apertura del Concilio in san Pietro o il crollo delle torri gemelle. È migliorata la nostra cultura o è solo modificato il costume? Lasciando aperti gli interrogativi, la tecnologia è andata oltre perché la conoscenza va oltre da sola, non si ferma né con le paure né con le Inquisizioni.

Viviamo di media ma il latino non ci aiuta più a capire la parola: medium è, appunto “il mezzo”: come la tv che è stata generalista e ci andavano dentro ragazzini e nonni; oggi gli anziani possono ancora rifiutarsi di accedere ai nuovi “mezzi” comunicativi, ma i giovani si sono spostati su altre innovazioni, più complesse e diverse: naturalmente la generazione che distruggeva i giocattoli per capire come funzionavano è lontana da quella a cui non par vero di saper smanettare come non sanno neppure gli insegnanti.

La gente normale rischia di andare a sbattere per strada contro altre persone “normali a modo loro” che non abbandonano il “mezzo” a cui affidano la propria identità, conversando a voce alta, come una volta facevano, senza smartphone, i matti.

Se andiamo a ritirare denaro con il bancomat siamo più o meno protetti, ma se chiamiamo amazon per farci portare un libro o una pizza, diamo alla rete un segnale che ci denuda e ci fa arrivare tutte le pubblicità relative alle tue preferenze e attività, visto che ormai i tuoi dati sono anche i suoi e trasferibili. Con i dati si possono ormai vincere o perdere le elezioni. Ed essere indotti a votare e boicottare chi conviene alla macchina.

Saltando di paradigma, se la gestione del risparmio sarà affidata agli algoritmi – nome che preoccupa, ma è sempre lo stesso, fatale sviluppo tecnologico, forse le banche non falliranno, ma possiamo scommettere che, prima di violare la riservatezza dei depositi collocati nei “paradisi fiscali”, passeranno anni di dilazioni politiche. Intanto sarebbe bene avere in Europa un’unica legge fiscale e accordarsi internazionalmente per inesorabili imposizioni, non trasferibili, sui profitti delle multinazionali della comunicazione.

Comunque il processo di trasformazione di civiltà sarà lungo e ne usciremo cambiati perfino antropologicamente: bisogna accompagnarne l’evoluzione anticipandone, se possibile, non la competenza meccanico-matematica, ma il significato umano.

La trappola della rete
La “rete”, intanto, è un tesoro di straordinario valore, ma è anche una trappola. Basta saperlo. Come la tv: aveva una funzione quando abbassava l’analfabetismo con il maestro Manzi perfino con “lascia o raddoppia”. Ora propone le serie a pagamento Netflix, migliori dei talk show, ma il servizio pubblico – non solo in Italia – non sa inventare nuova qualità. Per questo è giustamente in crisi per i giovani nativi digitali, che, però, non sanno, in genere (fatte salve le buone scuole) di essere dei pesciolini ingenui che corrono (e ancor più correranno i giovanissimi che stanno frequentando le elementari) pericoli molto peggiori dell’antico operaio che cercava di sottrarsi al potere delle multinazionali iscrivendosi al sindacato e lottando per migliori condizioni umane.

Le macchine sono anche cultura: aiutano la didattica ad eliminare il nozionismo e uno smartphone contiene più della Treccani. La pedagogia insegna anche agli adulti che stare ore intere connessi o fare chat su what’s up sono investimenti di ore di vita. Non è il cellulare responsabile degli invii che si mandano in classe gli studenti, se, quando la lezione è interessante, non succede. I meccanismi indotti diventano automatismi e banalizzano ogni relazione.

Platone non voleva i letterati e i poeti nel governo della sua Repubblica perché è gente abituata a falsificare la realtà, capace di mentire: la pedagogia dice che se troviamo sui social qualcosa che ci persuade non è detto che sia vero: Trump si era messo d’accordo con Putin per arrivare con quel mezzo alla Casa Bianca.

Lo svuotamento dei diritti, dei principi e della coscienza
Un’informazione recente mi colpisce: una femminista egiziana, Mona Eltahawy, ha pubblicato una sua denuncia contro il patriarcato, MosqueMeToo, (ha subito aggressione sessuale durante il pellegrinaggio alla Mecca, il luogo “santo” dell’Islam), in seguito alla quale ha subito un arresto brutale da cui si è salvata lanciando un hashtag su Twitter che si è diffuso in un attimo e le ha salvato la vita, ma è stato acquisito dal proprietario della piattaforma Elon Musk: è un abuso di diritti dell’utente, ma Trump ha potuto permettersi i mezzi per violare i principi democratici, la ragazza egiziana non può nulla contro Twitter e il suo padrone.

I diritti restano orfani finché il problema non viene affrontato con leggi universali (per ora i diritti sono universali anche se inapplicati: non basta più la legislazione nazionale o europea ad applicarli).

Le coscienze ignare possono essere invase: non dobbiamo permetterlo. Non è mai abbastanza la conoscenza del significato delle cose occorrenti ai tempi nostri. Se dopo il covid, tanti ascoltano la messa in tv, stiamo attenti: ai tempi del Concilio il card. Lercaro prevedeva, inascoltato da chi doveva farsene carico, la riforma della liturgia. Allo stesso modo oggi papa Francesco vorrebbe che fossimo “sinodali” in presenza: il rischio è non percepire che quella riforma era così necessaria che oggi siamo disposti a privatizzare il rito più comunitario della sequela.

Nella società civile l’antipolitica gestita via-cellulari ha svuotato i partiti della sinistra, quelli che obbligano a pensare, e scompare la voglia di partecipazione. È il cambiamento d’epoca cercato dall’uomo per essere più libero del suo tempo e più creativo del suo ingegno. Non per chiudersi con i terminali elettronici in pochi metri quadri, estraneo agli altri, il prossimo, estraneo alla politica e al governo delle istituzioni: suddito.

Anche a Pompei i graffiti cercavano di indurre a votare Tizio e Caio; ma la propaganda non è più la stessa se la suggestione ti arriva in casa attraverso vie sensibili non identificabili: o sei attrezzato mentalmente o ci caschi.

La “marcia su Roma” Mussolini oggi la farebbe così. Nel 1922 al populismo degli slogan seguirono le violenze e gli assassinii; oggi potrebbe succedere perché si passa il pomeriggio a chattare senza sentirsi in colpa. Paradosso, ma è vero anche il contrario: non dovevano cascarci nemmeno il secolo scorso: i principi non si tradiscono se le conosci.

Il metaverso 
Ma dispiace sapere che i nostri bambini si stiano già anestetizzando: è il messaggio e urge imparare a decodificarlo. Chi usa i media non è in realtà il padrone dell’oggetto se non per averlo comperato: può diventarne il servo, se messaggia odio e vendetta, inventa fantasmi per ingannare il prossimo o usa la propria competenza per falsare la realtà e trasmette fake news secondo gli interessi dei poteri forti; ma anche se si crede libero perché, dopo una giornata di lavoro online, si rilassa con un gioco elettronico. E c’è di peggio: dico così perché sono politica e vorrei che ci fosse in giro abbastanza capacità da prevenire i danni di “cose” che arrivano più o meno da sole. Infatti Zuckenberg, padrone di facebook, nella competizione accelerata dei media, ha inventato il metaverso: la potenza del virtuale consente di usare non la propria voce, le proprie foto per comunicare a distanza; meno male che ci sono gli streaming per partecipare al vivo (live) a convegni e dibattiti o consigli di amministrazione senza prendere treni.

Adesso si può entrare dentro le situazioni di persona, proiettandoci la propria controfigura, un “doppio”, l’avatar. Il vertice del solipsismo. Un divertimento? Non so. Certamente siamo entrarti in società dell’immagine; ma la finzione che appaga l’io conserva la socialità? E l’immagine non devasta il logos?

Ma il linguaggio resta umano
Comunque sono anche capace di rimanere incantata: a Bologna recentemente il Presidente della Repubblica ha inaugurato Leonardo, uno dei pochissimi megacomputer ultrapotenti del mondo: a regime potrà fare 250mila miliardi di operazioni al secondo. A dirlo un trauma da cui tornare a pensare in termini umani: la macchina, la potenza e l’uso sono scelte dell’uomo, che deve sapere dove vuole andare, anche se sta fermo. Tuttavia ci fa pensare che tra poco potremo andare nei più remoti paesi del mondo, anche dove si parlano lingue minoritarie semisconosciute con macchinette traduttrici che ci consentiranno di comunicare alla pari con la gente del luogo.

Ma mica tutto è traducibile: fortunatamente il linguaggio è sempre umano e inventa cose che un pc, per quanto ultrapotente, non capirà mai. Avete in mente come parla il papa? definisce indietristi i reazionari, dice che nella chiesa ci sono i zizzanieri, che la società costringe a mafiarsi: un pc non ce la fa, Francesco è imbattibile!

Giancarla Codrignani
Giornalista, socia fondatrice e membro del Consiglio direttivo di Viandanti

[pubblicato il 13 gennaio 2023]
[L’immagine che correda l’articolo è ripresa dal sito: coe.int ]

1 Commento su “L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE
È GIÀ TRA NOI”

  1. La società (anche quella ecclesiale) “costringe” a mafiarsi… così i poverini mafiosizzati sono anche deresponsabilizzati. Consola (e deresponsabilizza) pensare che sia il cellulare ad aver causato la crisi dei partiti di sinistra. Per fortuna nelle nostre alte sfere platoniche non ci sono poeti.

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