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PENSANDO A BOSE
E ALLA CHIESA

Franco Ferrari

Per Bose questi sono i giorni della tribolazione e della prova.
La Chiesa universale, la Chiesa italiana, il cammino ecumenico, la ricerca liturgica, la lectio divina (che vuol dire la centralità della Parola), i molti che negli oltre cinquant’anni di vita della comunità sono passati e spesso tornati a Bose e nelle altre fraternità (Assisi, Cellole, Ostuni, Civitella), tutti dobbiamo molto a questa realtà frutto del Concilio e al suo fondatore Enzo Bianchi.

Turbamento e gratitudine
Di fronte a quanto è accaduto si viene presi da molti sentimenti contrastanti e da un forte sconcerto, acuito in particolare dalle scarse informazioni ufficiali e dal silenzio dei vescovi italiani, che non sembrano giovare a una presa di coscienza del Popolo di Dio. Ogni questione di grande rilievo che riguarda una comunità, come questa di cui stiamo scrivendo, non può mai essere una questione privata. Interessa tutta la Chiesa.

Superato il turbamento iniziale, la ragione ci aiuta a tenere in primo piano il senso di gratitudine per il cammino di Chiesa che Bose ci lascia intravvedere. Un futuro possibile, che intercetta nel profondo i segni dei tempi (non la moda del tempo), che anticipa – come è proprio di chi nella Chiesa vuole essere segno del “già e non ancora” – linguaggi e pratiche che dovrebbero farsi strada per consentire alla Chiesa di parlare alle future generazioni e di ritornare ad essere una.

Non si può che sperare che l’atto di sofferta obbedienza compiuto da Bianchi e dai suoi tre confratelli possa riportare serenità a Bose e che il tempo aiuti la necessaria riconciliazione.

Il futuro in una Lettera 
Al momento l’attenzione più che alle dinamiche interne, per le quali occorre rispetto più che una ricerca inquisitoria che a poco servirebbe (si veda in proposito intervista a prof. Larini), si dovrebbe appuntare su ciò che interessa la dinamica ecclesiale che in un certo senso supera Bose e il suo fondatore.

Centrale, in proposito, è quanto si legge nel comunicato di Bose del 26 maggio in questo passaggio: “Con lettera del Segretario di Stato al Priore e alla Comunità, inoltre, la Santa Sede ha tracciato un cammino di avvenire e di speranza, indicando le linee portanti di un processo di rinnovamento, che confidiamo infonderà rinnovato slancio alla nostra vita monastica ed ecumenica”. Lo stesso comunicato informa anche del fatto che uno dei visitatori apostolici, il padre canossiano Amedeo Cencini, è stato nominato delegato pontificio con pieni poteri, non è fuori luogo, pertanto, ritenere che le “linee portanti di un processo di rinnovamento” contenute nella lettera del cardinale Parolin, troveranno una loro puntuale realizzazione.

L’affermazione “processo di rinnovamento” senza la precisazione dei suoi contenuti può lasciare adito ad interpretazioni completamente opposte: una nel segno dell’innovazione e un’altra nel segno della conservazione o della “normalizzazione”. È anche questa ambivalenza che renderebbe opportuna la pubblicazione del testo della Lettera o quantomeno, per restare negli standard di riservatezza della comunicazione della Santa Sede, un comunicato che presenti i contenuti di questo “rinnovamento”.

Un rinnovamento nel segno di Francesco?
Rinnovamento è una parola chiave dei documenti e dei discorsi di papa Francesco. Nel suo testo programmatico, “La gioia del Vangelo” (Evangelii gaudium), il rinnovamento ricorre spesso e viene messo in relazione con l’esigenza di una riforma; le esemplificazioni poi sono sempre in contrapposizione alle visioni statiche e superate della pastorale, con un esplicito invito a non restare “ancorati alla nostalgia di strutture e abitudini che non sono più portatrici di vita nel mondo attuale”. Il rinnovamento è perciò definito con una direzione precisa. Francesco sogna un cambiamento profondo che trasformi “le consuetudini, gli stili, il linguaggio”. E l’invito è “ad essere audaci e creativi in questo compito” (nell’ordine EG 26, 108, 27, 33).

Di e su Bose/Enzo Bianchi si possono dire molte cose, non certamente che non sia stato audace e creativo nel realizzare il cambiamento dando vita ad una comunità monastica mista e interconfessionale. Anche nel rinnovamento del linguaggio (liturgia, salterio, …), che è una vera emergenza per la trasmissione della fede. Annota in proposito il Vescovo di Roma: “gli enormi e rapidi cambiamenti culturali richiedono che prestiamo una costante attenzione per cercare di esprimere le verità di sempre in un linguaggio che consenta di riconoscere la sua permanente novità. […] ascoltando un linguaggio completamente ortodosso, quello che i fedeli ricevono […] è qualcosa che non corrisponde al vero Vangelo di Gesù Cristo. […] In tal modo, siamo fedeli a una formulazione ma non trasmettiamo la sostanza. […] il rinnovamento delle forme di espressione si rende necessario per trasmettere all’uomo di oggi il messaggio evangelico nel suo immutabile significato” (EG 41).

Il “processo di rinnovamento” di cui parla la Lettera avrà questo respiro?
Tutti ce lo auguriamo, anche se per ora la domanda non ha una risposta. 

Normalizzazione o un rinnovato slancio?
Ogni atto creativo ed audace facilmente, nella sua fase originaria (e 50 anni per un’istituzione si può dire siano ancora l’infanzia), ha bisogno di definizioni istituzionali “leggere” per non imbrigliare il suo spirito in forme vetuste alle quali vuole, invece, portare nuova linfa. Questo è forse il vero nodo al quale Bose viene posta di fronte, come prima ancora altre forme innovative, una per tutte quella di Francesco d’Assisi.

La preghiera nella vicinanza  alla quale ci invitano i fratelli di Bose (Il nostro cammino1.6.2020) sembra indicarci proprio questo nodo. Ci chiedono di pregare affinché la “Comunità nel suo insieme possa proseguire nel solco del suo carisma fondativo: fedele alla sua vocazione di comunità monastica ecumenica di fratelli e sorelle di diverse confessioni cristiane”.

Ogni grande istituzione, la Chiesa per particolare che sia è una di queste, cerca di “normalizzare”, cioè di riportare nell’alveo di norme e regole precise il nuovo; questo avviene a volte in senso negativo e repressivo, a volte, dipende dalla lungimiranza di chi detiene il potere, nel positivo intento di assicurare al nuovo la possibilità di svilupparsi e di portare frutto a tutti. Il “rinnovato slancio” in cui si confida a Bose.

Un rinnovamento di cui ha bisogno anche la Chiesa
“Rinnovare” Bose sembra una tautologia, in quanto Bose è già di per sé il rinnovamento. La Chiesa, il Vescovo di Roma (che sembra essersi esposto anche personalmente nella vicenda) impegnandosi in un “processo di rinnovamento” di questa comunità non può contemporaneamente non impegnarsi in un processo analogo per le norme della Chiesa.

Se Roma vuole veramente, e non abbiamo ancora motivo per dubitarne, portare un aiuto a Bose “tenendo conto della rilevanza ecclesiale ed ecumenica della Comunità… e dell’importanza che essa continui a svolgere il ruolo che le è riconosciuto” non può pensare di restare nella sola prospettiva del diritto costituito e “proteggere” Bose traghettandola da “Associazione privata di fedeli” alle forme di monachesimo già conosciute.

La sfida non riguarda invece l’esigenza di una riforma delle leggi vigenti per accogliere il nuovo che in questi cinquant’anni ha dato buona prova di sé? Occorrerà, forse, avere il coraggio di percorrere la strada di un diritto che segue e accompagna l’esperienza, cioè del “diritto costituendo” (de iure condendo) di cui parlano i giuristi, al fine di dare la giusta collocazione a Bose.

Una questione di otri
Il problema non è nuovo già nelle comunità cristiane dei primi tempi, per le quali scrive Luca, doveva esserci una questione analoga. Luca, infatti, alla parabola in cui parla del vino nuovo che fa scoppiare gli otri vecchi e pertanto “il vino nuovo va messo in otri nuovi!” (5,38), aggiunge questa sentenza: “Colui che beve vino vecchio non vuole il nuovo, perché dice: il vecchio e migliore” (5, 39). E il commentatore annota “L’esigenza di un salto di qualità per un’esperienza cristiana autentica è sottesa a quest’ultima sentenza”. Infatti al sommelier lucano sembra sfuggire che per poter bere del buon vino vecchio occorre conservare bene il nuovo.

Rimanda vagamente alla diatriba degli otri anche quanto Francesco, vescovo di Roma, scrive al numero 26 de La gioia del Vangelo: “Ci sono strutture ecclesiali che possono arrivare a condizionare un dinamismo evangelizzatore; ugualmente, le buone strutture servono quando c’è una vita che le anima, le sostiene e le giudica”. Una vitalità ben presente a Bose, della quale in molti (battezzati-laici, vescovi, cardinali e i massimi esponenti delle altre confessioni cristiane) sembrano essersi accorti in tutti questi anni.

In attesa che si trovi l’otre giusto, noi dobbiamo vigilare e anche accogliere l’invito di Bose a pregare affinché  “possa proseguire nel solco del suo carisma fondativo: fedele alla sua vocazione di comunità monastica ecumenica di fratelli e sorelle di diverse confessioni cristiane”.

Franco Ferrari
Presidente Associazione Viandanti

[pubblicato il 10 giugno 2020; l’immagine è ripresa dal sito appuntamentialessandrini.wordpress.com]

Nel sito la pagina Bose offre documentazione e commenti sulla situazione.

5 Commenti su “PENSANDO A BOSE
E ALLA CHIESA”

  1. Il sottotitolo dell’opera “Dal Gerusalemme I al Vaticano III”, è “I concili nella storia tra Vangelo e potere”. POTERE è una parola intrigante. Nel preparare la recensione per la rivista “l’Invito” ho chiesto agli amici: “ditemi, in un soffio, con quale connotazione Luigi Sandri, l’autore, usa la parola ‘potere’: positivo, negativo, neutro?” Mi hanno risposto in molti, argomentando. Cito l’incipit di Tullio De Mauro: “I poteri sono plurali: del pontefice e della curia romana, delle chiese nazionali e degli ordini religiosi, dell’orientamento del clero , degli orientamenti dei fedeli…fino al ‘quarto potere’, i mezzi di informazione”. Il potere si esercita anche nella comunità di Bose, un esempio di ricezione del Concilio Vaticano II, “in quanto la funzione del potere è connaturata alla Chiesa stessa” (sono le parole in risposta di Luca Kocci). Oggi Bose è chiamata a una sfida di grande valore, ecclesiale, culturale, politico: testimoniare che le tensioni fra diversi, ineliminabili, non sono distruttive, ma costruttive. Il dibattito sul “potere” è su l’Invito n.235 /2014 (www.linvito.altervista.org).

    1. Lo penso anch’io: ci sono poteri collegati alle estreme destre che non hanno mai accettato il Concilio Vaticano II ed il cammino ecumenico, uno dei suoi frutti più belli

      1. Cara Gina, qui la destra estrema conta poco, il concilio vaticano II, è stato contrastato da Montini e sopresso da Wojtyla… oggi confronto ai tempi di Paolo VI, possiamo prendere la Comunione anche in mano e abbiamo le ministranti femmine (chierichette), per il resto siamo fermi a cinquantanni fa’….

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