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Fabrizio Filiberti
Nei primi giorni dopo il drammatico recente terremoto, il vescovo di Ascoli Piceno mons. Giovanni D’Ercole si è chiesto: “Dio, ora che si fa?”. Nella domanda vi è il senso della teologia della storia, della Parola che “piacque a Dio” rivelare in “eventi e parole intimamente connessi” (Dei Verbum, 2).
Una tradizione imbevuta di Bibbia
È anche l’idea potente, risalente all’Esodo, di un Dio che “vide la sofferenza del suo popolo” e “se ne prese pensiero”. Il Dio biblico “è” (come Essere), in quel “esserci” accanto alle sue creature (come azione provvidente). Quanto sia complesso riconoscerLo tale, nel largo fossato della storia, nell’incomprensibile presenza del male e dei mali, è del tutto evidente.
Stringe il cuore condividere la gioia di quel padre che, il giorno dopo, ringrazia con fede “Qualcuno” che dall’alto ha provveduto a salvare una sua figlia; aggiungendo, con un fremito d’incapacità di darsene ragione – se non in un implicito “sia fatta la Sua volontà”, inshallah – che l’altra figlia, più piccola, è rimasta sotto le macerie. Nemmeno Lui ha potuto fare di più...
Cosa c’entra tutto questo con la Bibbia? Il retroterra proviene dalla lunga tradizione cristiana che si è imbevuta di Bibbia. La tradizione liturgica e la dotta teologia, l’arte sacra, hanno disseminato in modo grandioso un lessico, delle immagini, e soprattutto una visione del mondo (e dell’altro mondo) di cui siamo indelebilmente figli.
L’irruzione dell’ermenutica e delle scienze
Qualcosa, però, oggi, in tutto ...