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Rembrandt, Cena di Emmaus (1629). Parigi, Museo Jacquemart-André.

ESSERE, DIVENTARE VIANDANTI
STO ALLA PORTA E BUSSO

Marco Bertè

 Nel cammino verso la nostra Assemblea soci, che si terrà il 30 novembre, stiamo pubblicando a puntate le riflessioni, o meglio la lunga meditazione sull’essere viandanti, che Marco Bertè, uno dei soci fondatori,  ci ha donato con questa dedica: “Una meditazione dedicata agli amici dell’Associazione Viandanti, con il piacere di ricordare un’idea e un’amicizia”. Una preparazione remota della quale ringraziamo molto Marco. [V]

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«Convertiti. Ecco: sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui e lui con me» (Ap 3,2). È meditando queste parole, rivolte alla chiesa di Laodicea, che il viandante coglie il senso del credere, personale e comunitario, ovunque e comunque si dia.
Possiamo immaginare due scene. Nella prima siamo all’aperto, forse in una radura, in mezzo ad un bosco. Al centro c’è una casa. La porta è chiusa. Uno, il Vivente, sta appoggiato alla porta e bussa. Bussa e chiama. Vorrebbe entrare, incontrare chi è dentro, stare con lui. Ma la porta rimane chiusa. Chi è dentro sembra voler escludere chi sta fuori.
La seconda scena mostra i due cenare assieme, conversare, accogliersi l’un l’altro. Cosa è avvenuto? È avvenuto che chi stava dentro, in apparenza chiuso in se stesso, nella sua casa, finalmente si è come destato, ha ascoltato la voce che chiamava, ha aperto la porta. Ed è avvenuto l’incontro.

È Lui che sta alla porta
Non c’è dubbio che l’iniziativa che rende possibile il credere sia divina. E’ Lui, Dio, che sta alla porta, Lui che bussa e fa intendere la sua voce. Lui che ci chiama e desidera incontrarci. Non siamo noi a cercarLo e chiamarLo. Se anche qualche volta lo facciamo o crediamo di farlo, se proviamo ad uscire da noi stessi, ad aprire quella porta che ci ostiniamo a tenere chiusa, se ci avventuriamo a cercarlo, ad inseguire possibili tracce della Sua presenza, – questo accade perché non ci accorgiamo che Lui è già lì, alla nostra porta e bussa e chiama. Ed avendolo vicino, presso di noi, in noi stessi, lo cerchiamo altrove, esponendoci a smarrirci.
Un rischio cui sembra alludere Luca, quando negli Atti racconta (ricostruisce? costruisce?) il discorso di Paolo agli ateniesi, all’Areopago. Egli infatti (Luca) fa dire a Paolo che Dio ha creato gli uomini «perché cerchino Dio, se mai, tastando qua e là come ciechi, arrivino a trovarlo, benché non sia lontano da ciascuno di noi» (Atti 17,27).
È dunque Lui, Dio stesso, che si rivolge a noi per primo, desideroso di essere ospitato. Noi, da parte nostra, abbiamo solo la possibilità di accoglierlo, di ospitarlo. Ma solo se ascoltiamo la sua voce ed apriamo la porta. Liberamente, senza costrizioni. Se questo avviene, se e quando avverrà, allora entrerà, verrà da noi, cenerà con noi.
Dice il testo: «io verrò da lui e cenerò con lui e lui con me». Che significa: entrerò nella sua casa, staremo assieme, ci accoglieremo e ospiteremo l’un l’altro, parteciperemo ognuno alla vita dell’altro. Il credere diventa un evento ed una esperienza di reciproca ospitalità. L’uomo è accolto, mantenendo la sua umanità, nel mistero abissale divino e questo è accolto nell’uomo, per quanto a questi possibile, mantenendosi nel mistero. Ognuno accoglie l’altro e ne è accolto rimanendo se stesso. Questo evento e questa esperienza – questa reciproca ospitalità – è la radice da cui sorgono, si sviluppano e si consolidano le fedi e le chiese, ma anche, necessariamente, il loro differenziarsi e contrapporsi.

Un’ospitalità reciproca
Ma torniamo al capitolo terzo dell’Apocalisse (versetto 2). Non vi è in esso, né vogliamo cogliervi, alcuna traccia d’una fede, d’una chiesa, d’una religione che voglia porsi come unica vera. Ogni uomo, ogni essere che voglia rivolgersi a Dio, a un Dio comunque concepito o immaginato, può riconoscersi in esso. Può, attraverso queste parole, rivolgersi a Lui. Anche se, come la chiesa di Laodicea, cui sono rivolte, è tiepido, né caldo né freddo, ma disposto a convertirsi. L’immagine di un Dio che sta alla porta, che bussa, che attende che qualcuno oda la sua voce e gli apra, un Dio desideroso di entrare per cenare con chi gli ha aperto, – è un Dio che chiede di essere accolto e che, in quanto accolto, egli stesso accoglie.
È questo il Dio che accoglie il viandante. Si faccia bene attenzione a questa frase: in essa possiamo intendere come soggetto, ma anche come oggetto, sia Dio che il viandante. Siamo in presenza di una accoglienza reciproca o, come si è detto, di una reciproca ospitalità.
Lo stesso fatto – dovremmo dire: lo stesso mistero – lo possiamo ritrovare verso la conclusione dell’Apocalisse. “Ecco la dimora di Dio con gli uomini! Egli dimorerà tra di loro ed essi saranno il suo popolo ed egli sarà Dio con loro” (Ap., 21,3).
Là, in Apocalisse 3, Dio cena con l’uomo, qui, in Apocapilsse 21, Dio dimora con loro. Accoglienza reciproca, reciproca ospitalità, qui e là. Anche qui nessuna traccia di una fede, di una chiesa, di una religione che si presenti come l’unica vera. Ciò che può rendere sorelle le fedi, le chiese, le religioni è che tutte realizzino e celebrino, pur nella diversità delle forme e degli accenti, l’accoglienza reciproca, la reciproca ospitalità. Con Dio e tra di loro. È a questo dunque che si volge il cammino del viandante?

Una luce vivente
Improvvisamente una grande luce investe il viandante. Ed investe con lui gli amici che l’hanno accompagnato lungo l’intero cammino. Si trova con loro in un’ampia radura. Alza lo sguardo e cerca di scorgere, nel bosco che hanno davanti e se possibile al di là di quello, onde si origini questa grande luce. Ma non vedono ciò che cercano.
Di ciò che cercano sembra proprio non esservi traccia. Anche se la grande luce sembra non essere immobile, ma in divenire, vivente. Così la vedono gli amici, come il viandante. Il quale, però, non pago, continua a guardare e cercare. E così, pian piano, intravvede qualcosa. Oh, non l’origine della grande luce, ma qualcosa che l’attrae, che stimola la sua curiosità. Intravvede (o ricorda, o immagina, o desidera?) delinearsi nella luce come dei profili – deboli ma visibili – di ciò che ha attraversato, incontrato, frequentato lungo la via percorsa.
Dapprima campi e prati, pianure e montagne, paesi e città, i luoghi in cui è passato e dove, poco o tanto, ha sostato. E, naturalmente, le persone che ha incontrato e con cui ha camminato e scambiato esperienze, racconti, impressioni. E tra queste anche figure particolari, impegnate in percorsi formativi, pellegrinaggi, migrazioni, spesso fuggendo pericoli e paure. E vere e proprie personalità, come Ulisse ed Abramo, intenti l’uno a tornare verso casa da luoghi lontani e, l’altro, a muoversi verso l’ignoto.
E ancora, tra i profili delineati nella grande luce, il viandante può riconoscere le storie di Abramo (ancora!), di Giacobbe e di Giobbe. Storie “assolute”, che narrano di Dio che mette alla prova l’uomo e dell’uomo che mette alla prova Dio. Dio per trasformare l’uomo, l’uomo per riconoscere Dio e farsi da lui riconoscere.

L’assolutamente Altro
Da ultimo, segnato più in profondità nella luce, sta il Gesù dei Vangeli, in dialogo – e, sembrerebbe, in lotta – col Padre e con gli uomini. Tutto questo appare riconoscibile nella grande luce che investe ed avvolge il viandante. Che cosa significa? Che cosa può dirci? Quali insegnamenti possiamo trarne?
Probabilmente, anzitutto, che quella grande luce non ha origini altre da sé. Ed infatti non vediamo né possiamo vedere onde nasca e viva. E però vediamo che tutto ciò in cui ci muoviamo e di cui abbiamo una qualche esperienza è altro da noi ed è essa, la grande luce, che ce lo fa vedere.
Anche di noi stessi, forse, essendo in qualche misura altro da noi, ignoti a noi stessi, la grande luce che ci avvolge mostra qualcosa. Sta in se stessa e ci avvolge per dirci chi siamo, dove siamo, che cosa possiamo essere o diventare. E si rivela come l’Altro, l’assolutamente altro, lo Straniero. Che può farci venire alla luce proprio perché Altro, assolutamente Altro, Straniero. E si fa altro ad ogni attimo, in ogni momento diviene, è l’Evento che sempre si rinnova, rinasce, si mostra.

Marco Bertè
Socio fondatore di Viandanti e membro del gruppo “Oggi la Chiesa” (Parma) che aderisce alla Rete dei Viandanti.
[Parte settima]

Essere, diventare viandanti
1. Camminare verso dove?
2. Ulisse e Abramo
3. Il contendere dell’uomo con Dio
4.L’itineranza e la lotta di Gesù
5. Verso l’Alterità’?
6. Noi, “quelli della Via

– – Nota – – – –
Questo editoriale è tratto da un testo più ampio intitolato, Essere, diventare viandanti. Verso dove? La versione integrale, in cartaceo, verrà consegnata ai partecipanti della prossima Assemblea dei soci di “Viandanti” (Parma, 30 novembre 2024).

[Pubblicato il 24.11.2024]
[L’immagine che correda l’articolo è ripresa dal sito: www.it.wikipedia.org]

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